2017 - 04 - 08: Prof. Michele Russo - Il culto di Maria SS. in agosto nella valle e nell'agro ericino

Sabato 8 aprile 2017 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, addobbata con '' L'albero di Pasqua '' in occasione delle festività pasquali, con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci, di ospiti e di simpatizzanti si è tenuto il settimanale incontro previsto dal programma delle attività del XXXI Corso di cultura nel 35° anno dalla fondazione.  

Il relatore della serata Prof. Michele Russo, socio del sodalizio, preside in quiescenza, giornalista e studioso di storia locale è stato accolto e salutato dai presenti e dal Presidente con cordialità ed interesse considerara la tematica della serata.

Prima di cedergli la parola il Prof. Valenti, chiedendogli scusa, ha approfittato per comunicare ai soci alcune informazioni organizzative:
- L'escursione a Cerda prevista per il 25 aprile p.v. per vari motivi è stata annullata e laddove possibile in sostituzione potrà essere organizzata un'altra attività
- Il viaggio lungo previsto per quest'anno nei Paesi Baltici è in fase di organizzazione e non appena possibile saranno fornite notizie più dettagliate
- Il giorno 13 aprile p.v. in collaborazione con il Rotary Clubs di Trapani nella sede dell'Associazione alle ore 19.00 è prevista una conferenza su '' Tesori dei Misteri - Restauri e ricordi '' tenuta dal Signor Platimiro Fiorenza a cui i soci sono stati pregati di intervenire.

Avuta la parola il Prof. Russo ha ringraziato tutti i presenti, soci, amici e colleghi ed anche l'Associazione che per la settima volta gli ha consentito e con piacere di partecipare alle sue attività culturali e divulgative.

La relazione, che di seguito si riporta integralmente, è stata accompagnata dalla proiezione di una interessante serie di diapositive che di seguito si riportano gentilmente rese anche loro disponibili dal Prof. Russo.

'' Michele Russo: Il culto di Maria SS.ma in Agosto nella Valle e nell’Agro Ericino

In tanti Paesi del mondo cattolico il mese dedicato alle celebrazioni della Madonna, madre di Gesù Cristo, è Maggio; per gli abitanti della Valle e dell’Agro Ericino, invece, è Agosto il mese in cui ricadono due importanti festeggiamenti legati alla devozione mariana: quella di Maria SS.ma Annunziata, meglio conosciuta come Maria SS.ma di Trapani e quella di Santa Maria Deipara (o Dei genitrix), venerata sotto il nome di Maria SS.ma di Custonaci, patrona dell’Agro ericino.

Tali devozioni derivano, come vuole la tradizione, dalla soppressione dell’antico culto per Venere Ericina, la quale aveva soppiantato le precedenti religioni che, nello scorrere dei secoli, si erano succedute ad Erice.

Come in tutti i Paesi, anche ad Erice, nei primi anni della sua storia, venivano professati culti di origine agro-pastorale e, fra questi, come si può dedurre dai numerosi reperti fittili ritrovati attorno al Castello normanno, il più diffuso era quello elimo di Cibele, divinità proveniente dalla Frigia, in Asia Minore, identificata con la greca Rea, moglie di Crono, la dea creatrice che aveva dato origine all’intero universo senza bisogno di intervento maschile, vergine inviolata e tuttavia madre degli dei, raffigurata nella iconografia, seduta in trono, come una “ matrona severa e maestosa, bella e affabile ”.

Tale divinità, venendo a contatto col culto locale di Cerere o Demetra, ben presto ne assorbì gli attributi e le due divinità si trasformarono in una nuova dea col nome di Grande Madre, che venne rappresentata iconograficamente come una donna che allatta.

Successivamente a questo primitivo culto si sovrapposero le religioni trasportate dai traffici e dai rapporti con le diverse città del bacino del Mediterraneo.

Fra tutti i culti, portati dai naviganti, che approdarono a Trapani e che ebbero rapporti con Erice, quello che ebbe il sopravvento fu il culto della fenicia Tanit, o Astarte che si fuse col primitivo culto di Cibele, divenendo Tanit Rabbat, la Grande Signora facendo suoi gli appellativi che prima erano stati di Cibele. Così venne adorata come Aschtoreth, datrice di lunga vita e Rkyym, forza dei viventi. Essendo,  inoltre, una divinità portata da un popolo navigante ebbe anche l’appellativo di Euploia cioè protettrice della buona navigazione. Il culto di tale divinità prevedeva, inoltre,  la prostituzione sacra, così ad Erice venne innalzato un altare alla divinità e il Themenos, l’area sacra, con le sue adiacenze, divenne il luogo dove ritrovare i valori dell’amore e della pace.

A mano a mano che più stabili divennero i legami tra i popoli, prima nell’ambito fenicio-punico e successivamente nel mondo romano, il culto della dea dell’amore si affermò sempre di più ad Erice, tanto che non riuscirono a sottrarsial suo fascino non solo i naviganti, ma neanche i consoli e i magistrati che venivano in Sicilia. E fu allora che al culto di Astarte si sovrappose quello di Venere, che durò fino a quando, in conseguenza della diffusione della nuova religione cattolica, la Dea veniva “cacciata” dall’antica sede ericina ed il suo themenos, secondo una leggenda diffusa nel Medioevo, si diceva fosse crollato miracolosamente la notte della nascita di Gesù Cristo. L’antico sacello non era come si presenta adesso, che è una ricostruzione del periodo normanno, ma, secondo l’immagine raffigurata in una moneta del console Caio Considio Noniano del 63 - 62 a.C., era un grande altare scoperto circondato da colonne.  

Tale costruzione fu abbattuta intorno al 330 D.C., probabilmente per ordine dell’imperatore Costantino, il quale successivamente, con le pietre divelte, fece costruire, nel versante rivolto verso Trapani, una chiesetta fuori le mura dedicata a Santa Maria Deipara, come si legge nella lapide, murata, nel 1685, su una parete esterna dell’attuale Duomo, per iniziativa dell’allora arciprete Vito Calvino. In tale lapide si legge: “Alla veneranda Assunta Deipara queste croci staccate dal patrio tempio di venere (vennero) dedicate da Costantino durante il suo regno nell’anno di Cristo 320. Giovanni XIII diede decoro con indulgenze. Affinchè il tempo non cancellasse dalla memoria il ricordo di essi Don Vito Calvino arciprete pose nell’anno 1685”. 

Tale chiesa fu, successivamente, ampliata ed assieme alla torre di avvistamento, che era divenuta nel frattempo campanile, era stata inglobata nel prolungamento della nuova cinta muraria voluta dal re Federico d’Aragona.

 Infine, nel 1339, la chiesa prese il nome di Matrice.

Tuttavia, per il clero il tentativo di diffondere la devozione per la Vergine Maria e di cancellare il ricordo della divinità pagana trovò molte difficoltà. A nulla valse innalzare dentro l’area sacra del tempio di Erice una chiesetta dedicata alla Madonna, prima sotto il titolo di “Sancta Maria ad nives”, a ricordo di una grande nevicata avvenuta a Roma il 04 Agosto del 352 d. C., poi sotto quello della Stella ed infine in quello dell’Assunta e fissarne, secondo il calendario romano, la data della festa ad Agosto. In conseguenza di ciò, il culto di Venere si trasferì presso un santuario minore della Dea, che si trovava alle falde del Monte, all’inizio della salita dell’antica mulattiera per Erice, dove la Divinità della Fecondazione e dell’Amore, in Agosto, continuò a richiamare da tutte le contrade vicine le popolazioni dell’Agro.

Ci si rese, inoltre, conto che per far dimenticare la devozione verso Venere Ericina non era bastevole ampliare l’antica chiesa vicino Porta Trapani né valorizzarla denominandola prima “Ecclesia Sanctae Mariae Majuri” e poi dedicandola al “Transito di Nostra Donna”, ma era necessario far buon viso a cattivo gioco, mantenendo sotto il Cristianesimo riti che erano duri a morire perché radicati da tempo negli animi degli Ericini .

Allora, l’antico piccolo tempio di Venere ai piedi della montagna, nei possedimenti del notaio Domenico Ribaldo, nel 1200, ormai in rovina, venne ricostruito e divenne  una chiesetta dedicata  prima a Santa Caterina all’arena e poi alla Madonna dell’Annunziataa lu urgu” (alla palude Cepea) e donata ai monaci del Karmel che vi portarono, nel 1250, una Madonna, dipinta su tavola. Nel culto di tale immagine fu facile trasferirvi l’anima greco/romana e punica della “filommeidès Venus euploia” (sorridente Venere della buona navigazione). In seguito tale immagine, chiamata confidenzialmente dal popolo “Maria la trapanesa”, (come per distinguerla incosciamente dalla Madonna del Monte),  divenne protettrice dei marinai e dei naviganti in genere che abitavano la Valle di Erice e la sua iconografia venne rappresentata in piedi, come una “ canefora ”, una donna colonna, con una statua marmorea ritta come un faro, con un volto sorridente e con gli occhi quasi irraggianti luce, indicante allegoricamente la via della buona navigazione e della salvezza. Le sue celebrazioni vennero fissate il 25 Marzo a ricordo delle solennità romane che il 23 Aprile si celebravano nel tempio di Porta Collina a Roma, chiamate “Vinalia Iovis”, che ricalcavano la Catagòchia, la festa di Primavera che si celebrava ad Erice con le ierodule e l’arrivo delle colombe sacre dal tempio africano di Sicca Venerea. A tale scopo, la ricorrenza era solennizzata con grande pompa con una “fiera franca”, che si teneva il 23 Aprile, in ottemperanza ad un decreto del re Federico d’Aragona del 1302. Successivamente, nel 1315, tale fiera venne spostata al 15 Agosto di ogni anno per aumentare la devozione verso l’Assunta.  Poi, dal 6 Dicembre 1630, le celebrazioni sacre della festività furono fissate per il 16 Agosto e furono contemporaneamente accordate indulgenze a quanti fossero intervenuti in quel giorno di festa.

Infine, il 24 Aprile 1776, a seguito di un periodo di prolungata siccità placata dall’intervento “divino” dell’Immacolata, l’Assunta veniva eletta Patrona di Trapani e portata in processione per le vie della città e al porto a benedire il “suo” mare, tutte le barche che vi erano ormeggiate e tutti coloro che lavoravano nel mare.

Sul “sacro Monte”, invece, “nella sede vicina alle stelle”, come ci racconta Virgilio che aveva voluto Enea nel dedicare l’altare alla madre, rimaneva l’anima della Grande Madre, frutto dell’unione di Cibele con Cerere,la dea della vegetazione, e, successivamente, con la Venere fenicia, la “Tanit Rabbat” (Grande Signora) con i suoi appellativi di “Aschtoreth” (datrice di lunga vita) e “Rkyym” (forza dei viventi).

Scissa, a questo punto, la devozione verso la divinità di Erice da quella verso l’immagine della Madonna di Trapani, la religione ad Erice, ritornava ad avere la  primitiva impronta agro - pastorale.

Bisognava, però, cancellare per sempre l’antico culto pagano.

Per una coincidenza dei fatti o (senza alcuna cattiveria da parte dello scrivente) con una “riuscita truvata” del preoccupato clero cristiano, un naufragio miracoloso ha fatto approdare, presso la baia del Bugutu, odierna baia Cornino, sotto l’attuale Custonaci, una tavola con una “santa figura”  seduta su un grande trono, immersa in un paesaggio rigoglioso e tenente in braccio in atto di allattare, il bambino, che stringe nella mano tre spighe di grano.

Così il Castronovo descrive tale evento: “Salpava dal porto di Alessandria d’Egitto un legno francese, carico di stranie preziose derrate, e molto più di un tesoro imprezzabile, il simulacro della Madre di Dio, e secondato da un vento propizio correa a gonfie vele pel Tirreno in vista delle coste ericine. Ma a lungo andare il vento rincalzò e fischiò impetuoso. È notte la più abbuiata; l’atmosfera è ingombra di nembi densissimi, vorticosi: essi vanno sempre più accavallandosi: poi un sordo rumoreggiare di tuono, ma incessante, ma spaventoso, un continuo lampeggiare; poi tempesta, uragano terribile, pioggia a diluvio, che si confonde coi marosi. Ecco monti ed abissi d’acque; sorge e si avvalla con essi il malarrivato naviglio, ed ogni sua scossa sembra l’estrema.  Ai buffi impetuosi del turbine si squarciano le vele, si frangono i remi, l’albero tentenna, precipita giù; ovunque è spavento, confusione, incertezza; morte inevitabile sta presente. Però in quella che l’uragano più imperversa, e già già precipita l’ultimo istante dell’indubbio naufragio, un raggio di speranza rianima improvviso quei meschinelli; non vedendo più soccorso sulla terra, i lor pensieri s’innalzano verso il cielo. [….] E allora un chinar la fronte e i ginocchi al simulacro di Maria, un sospirare, un piangere dirotto, un picchiar di petti, un gridar mercede alla soave Patrona dei naviganti, un votarsi a Lei che se li avesse campati da quell’imminente naufragio, nell’afferrare la sponda, ne avrebbero colà deposto l’effigie venerata, e vi avrebbero eretto una cappella. E la madre della misericordia ascoltò quel prego, accolse quel voto, e sorrise dal cielo, e al suo sorriso la tempesta si tacque, il mare tornò calmo ad un tratto. E già quel legno fortunato ancoreggia incolume alla cala di Buguto, e quei naviganti strappati da Maria in gola all’abisso scendono sul lido testimone del gran portento, e a satisfare il loro voto pigliano lingua del come fabbricare alla Vergine una cappella”.Quella sacra immagine, raccolta dagli abitanti del luogo, venne messa sopra un carro e lasciata a discrezione dei buoi che vi sono stati attaccati. La tradizione vuole che i buoi si siano fermati sul poggio di Custonaci,  in una sommità  di fronte al mare “tra cielo e terra, donde la voce di chi prega giunga più direttamente ai celesti, dove non la turbi la spensieratezza de’ soliti gaudenti”.

A ricordo di questo evento, ogni anno, gli abitanti di Custonaci rievocano tale sbarco: il lunedì che precede la festa, un veliero, trasportante la sacra rappresentazione della Madonna, venendo dal mare affiancato da numerose barche di pescatori, in modo da creare una sorta di processione, sbarca nella baia di Cornino il dipinto, che viene trasportato a spalla fino al santuario a Custonaci.

Con questo evento, ancora una volta l’immagine di Venere e quella di Maria si sovrappongono, e si reincarnano l’una sull’altra, divenendo un’unica divinità: “Venere, secondo che favoleggiarono i poeti, era nata dalla spuma del mare; e Maria di Custonaci venne parimenti dal mare”.

Negli anni successivi la venerazione delle due Madonne, quella della Valle e quella del Monte, crebbe considerevolmente, anche se il popolo non aveva del tutto rinnegato i festeggiamenti che si svolgevano per Venere.

Anche questa volta la Chiesa trovò la soluzione: bisognava non sottovalutare le celebrazioni commemorative e festive e le manifestazioni rituali annue che gli abitanti del Monte e delle contrade vicine continuavano a fare. Bastava sostituire lo spirito delle Anagòghie e delle Katagòghie, i festeggiamenti in onore di Venere Ericina con le quali si celebravano la partenza della Dea con le sue colombe verso la Libia e, quindi, il suo ritorno, dopo nove giorni. A tal fine, a detta del Carvini, è stata chiesta al Vicerè  di Sicilia l’autorizzazione a nominare “per lo sommo pontefice” due “maestri” che sovrintendessero l’annuale ricorrenza dei festeggiamenti ma, che, in pratica, dovevano “estirpare et radicibus distrudiri lo concursu grandi di la genti li quali venianu a vedere lo templo de la dia Venus” o di quello che aveva resistito al tempo e alla distruzione.



















Così, sostituendo le festività pagane, il 16 Agosto la statua della Madonna di Trapani viene solennemente portata in processione a Trapani, al suo porto, di fronte la Colombaia, per la sua “Anagòghia” verso la Libia, per soggiornare nel suo tempio di Sicca Veneria, da cui sarebbe ritornata nove giorni dopo per la sua dimora ericina, ricorrenza che, per decreto del Vescovo di Mazara Ugo Papè, viene fissata per l’ultimo Mercoledì di Agosto “ultimam feriam quartam mensis Augusti cuiuslibet anni” ( “ultimo mercoledì della quarta settimana del mese di Agosto di ogni anno) che veniva a cadere circa nove giorni dopo la festa di Trapani, giorno in cui gli Ericini e i forestieri, in un immaginario ritorno di Venere dai lidi africani, con un reale “trasporto”, accompagnano l’immagine di Maria SS.ma di Custonaci, “nuova Dea”, dal suo santuario di Custonaci al Monte, suo luogo di residenza, attraverso “le tortuose vie cittadine ”. 



















Nel corso dei secoli successivi “ i trasporti” furono spesso concomitanti con le annuali celebrazioni volute per “ il desiderio degli ericini di poter festeggiare il sacro dipinto nella propria città ”, mantenendo nell’immagine della Vergine i simboli dell’antico culto precristiano mai scomparso ad Erice: le tre spighe e l’offerta del frumento, perchè, come ricorda il Castronovo “ a Venere si offrivano in agosto dagli Ericini le primizie dei cereali; a Maria di Custonaci le primizie altresì del frumento si offrono nello stesso mese dai loro nepoti

Il 27 Agosto del 1752 il quadro di Maria di Custonaci fu incoronato, con decreto e beneplacito pontificio del Papa Benedetto XIV, dal Capitolo Vaticano. Successivamente, il 21 Luglio 1784, venne approvato da Pio VI l’Ufficio e la Messa propria ed infine nel

1844 il Papa Gregorio XVI istituì l’Altare Privilegiato perpetuo quotidiano.

Il culto cristiano di Maria aveva definitivamente non cancellato ma sostituito quello di Venere.

Tutto era stato cambiato perché nulla fosse cambiato. E tutti, clero e popolo, furono contenti, anche se, come scrisse Carducci,(14) ancora

De l’ombroso pelasgo Erice in vetta

Eterna ride ivi Afrodite ed impera

E freme tutt’amor la benedetta

Da lei costiera.''





Alla conclusione della relazione ha fatto seguito l'apertura di un dibattito a cui hanno pertecipato molti dei presenti in sala che hanno espresso anche le loro convinzioni ed apportato dei contributi personali.


Al suo termine a ricordo della serata ed a nome dell'Associazione il Prof. Valenti ha donato all'oratore il libro di E. Milana '' 33 cunti ''.

E' seguito lo scambio degli auguri pasquali considerato che per la settimana santa e la successiva il programma delle attività non ha previsto incontri e che il prossimo è stato messo in calendario sabato 22 aprile 2017 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione con il Dott. Mimmo Macaluso. 

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