2017 - 12 - 16: Prof. Salvatore Valenti - Il Latino che parliamo oggi

Sabato 16 dicembre 2017 alle ore 16.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, con la partecipazione di numerosi soci e di simpatizzanti si è tenuto l'ultimo incontro del XXXI Corso di cultura per l'anno 2017, 35° dalla fondazione, cui seguirà mercoledì 20 dicembre p.v. la Conviviale di fine anno sociale con lo scambio degli auguri di Natale e di fine ed inizio anno.

Relatore della serata è stato il Prof. Salvatore Valenti, Presidente del sodalizio, eclettico uomo di cultura, ricercatore e scrittore, che ovviamente non ha avuto bisogno di presentazione in quanto ben conosciuto ed apprezzato da tutti, che ha concluso il ciclo degli incontri con un tema dal carattere antico ma anche di attualità.

Si riporta di seguito ed integralmente il testo della relazione nonchè le diapositive proiettate a completamento di quanto veniva detto che gentilmente sono state rese disponibili per il loro inserimento nel sito dell'Associazione.  

'' IL LATINO CHE PARLIAMO OGGI '' di 
SALVATORE VALENTI

Perchè questo tema

DANTE ALIGHIERI: De Vulgari Eloquentia (1304 – 1308)  

Dante affronta per primo la questione della lingua. Il testo era stato programmato per essere scritto in 4 volumi, si interruppe al XIV capitolo del secondo volume in quanto l’autore più che procedere per linee teoriche, preferì esporre il suo pensiero per pratica (in corpore vili direbbero i latini) dà, infatti, inizio alla sua Divina Commedia e all’inferno in particolare quale esempio di nuovo linguaggio. Dante vuole provare la dignità del Volgare per usi letterari. Scopo del testo quello di unificare i 14 dialetti dell’area italiana in un unicum: il Volgare come lingua più naturale, una lingua che doveva essere comune a tutta la penisola e che l’autore chiamò la lingua del SI per contrapporla a quella che oltralpe era la lingua d’oc e d’oil. Sintetizzando possiamo dire che Dante scrive una cartina linguistica dell’Italia che va dalla Sicilia al Nord della penisola. (Sc. Poet. Sic., Scuola umbra, scuola toscana ecc…possiamo dunque considerare Dante il primo storico della nostra letteratura).

PIETRO BEMBO  (VE 20 maggio 1470 – Roma 18 gennaio 1547): Prose della volgar lingua (1525) 

Abbatte definitivamente il pregiudizio dell’eccellenza delle lingue classiche sul volgare: addita come modelli Petrarca e Boccaccio rispettivamente per la poesia e per la prosa.
Le lingue classiche le ritroviamo negli atti più importanti (atti notarili soprattutto che venivano trascritti sino all’800 inoltrato in latino con qualche concessione al latino volgare), atti ecclesiastici (formule battesimali, nuziali, di morte ecc…). Il primo documento che viene considerato l’atto di nascita dell’italiano volgare lo troviamo in una formula testimoniale che va sotto il nome di Placiti di Capua  (960 circa), relativo alla proprietà di alcune terre rivendicate dall’abbazia di Montecassino e che recita:

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”
 (so che quelle terre entro quei confini che qui sono contenuti, le ha possedute per trent’anni la parte [la persona giuridica] di San Benedetto).


Il notaio Atenolfo trascrive per tre volte la testimonianza che il giudice Arechesi aveva richiesto ai testimoni. Viene volutamente riportata in volgare perché i presenti al processo potessero capire.

La lingua italiana che cominciamo a conoscere con cognizione di causa è quella riferita a Dante Alighieri che la fa originare, soprattutto, dal connubio tra il siciliano ed il fiorentino (Scuola poetica siciliana alla corte di Federico II di Svevia (Jacopo da Lentini, (sonetto), Pier delle Vigne, Guido delle Colonne (ME), Stefano Protonotaro (ME), possiamo includervi anche quel Celo d’Alcamo (rosa fresca aulentissima).

La lingua italiana vera e propria comincia i suoi passi intorno al tredicesimo secolo come lenta trasformazione del latino volgare cioè di quella lingua parlata più che altro dal popolo.

È chiaro che parecchio è rimasto del latino cosiddetto dotto (cavallo in latino era caballus ma anche equus da cui l’italiano più corrente cavallo, cavaliere, cavalcare ecc...ma anche la forma italiana più dotta: equestre, equitazione, e così via.

In Italia le opere in lingua le ritroviamo più tardi rispetto ad altre nazione di lingua neolatina in quanto per queste (Spagna, Portogallo, Francia, Romania) infatti il latino altro non era che la sovrapposizione, per dominazione, alle lingue preesistenti (Spagna Il Il Cantor del mio Cid (1140 ca) , in Francia la Chanson de Roland prima metà dell’XI sec.).

Ma aldilà di queste dovute premesse, la domanda che spesso ci facciamo è: IL LATINO È SCOMPARSO O SPESSO LO USIAMO ANCHE NELL’USO CORRENTE SENZA MAGARI PORVI TANTA ATTENZIONE?

 Entriamo nel vivo dell’argomento.

È unanimemente riconosciuto, per logica, che una lingua si estingue quando nessuno più la parla. Tra le circa 6000 lingue esistenti al mondo, comprese quelle parlate da poche persone, quasi la metà è a rischio estinzione. Più arduo è, invece, il compito nello stabilire quando una lingua nasce perché il tutto è soggetto alla evoluzione della stessa e alla sua lenta trasformazione. Pensiamo un po’ ai popoli della preistoria: forse che essi non parlassero? Certamente si ma non è rimasto nulla della loro lingua. Si può procedere solo per processo induttivo (spiegare concetto di induzione) per le lingue indoeuropee in quanto solo ed esclusivamente ricostruito. Il processo induttivo è quello in cui diciamo è possibile riconoscere come punto di partenza, per esempio, le lingue romanze che discendono da una lingua ufficialmente riconosciuta che è quella latina.

Il latino è ai giorni nostri ancora parlato pensiamo un po’ ai riferimenti che si fanno al diritto romano, al diritto canonico, al linguaggio filosofico, al linguaggio giuridico. In filosofia non diremmo mai “penso dunque sono”, bensì cartesianamente cogito ergo sum, fa più effetto il detto socratico scio nihil scire che “so di non sapere”; fa più specie, ancora, il ciceroniano timeo Danaos et dona ferentes che la traduzione “temo i greci anche quando portano i doni” e così via. In giurisprudenza utilizzeremmo più “in dubio pro reo” piuttosto che il prosaico nel dubbio a favore dell’imputato e così via.      

Se con Cicerone entrassi in una sala cinematografica assisterei a spettacoli quali Quo vadis, Fabiola, Anno Domini, e se poi dovesse salire su un tram e leggesse obliterare il biglietto anche se cicerone lo scriveva con due T (oblitterare), termine che a differenza del tram si usava ai suoi tempi nel senso di cancellare. E se sempre l’amico mio latino si mettesse davanti alla televisione intuirebbe subito cosa volesse significare video, audio o in una tavola rotonda tra economisti reddito pro capite o sindacalisti reclamare contratti validi erga omnes (valiti per tutti), e se sentisse che il governo ha applicato quest’anno una una tantum si sarebbe sicuramente indignato e accusati i politici di sconoscere il latino in quanto una tantum vuol dire una volta soltanto e non una volta ogni tanto…. Se poi si trovasse a Piazza San Pietro sentirebbe il papa impartire la benedizione urbi et orbi e che la visita del pontefice in un dato paese era stato rinviato sine die  a causa del veto posto da un gruppo di cardinali. Cicerone avrebbe interrotto dicendo: “alt questo è un termine del nostro ordinamento costituzionale, era un diritto riservato ai tribuni per bloccare le leggi dei patrizi”.

 In un bar poi sentì le note del disco Vademecum Tango di Franco Nebbia in cui parlava di mutatis mutandis, ipse dixit, ubi maior minor cessat, temporibus illis, alea iacta est. E cosa penserebbe dell’assicurativo bonus-malus, o del curriculum vitae di un imputato richiesto dal giudice  a latere?.

Si potrebbe obiettare che il latino che abbiamo visto possa risultare una lingua classista che discrimina. Ma se questo patrimonio discrimina, perché è stato abolito, poteva benissimo rimanere rendendolo accessibile a tutti. Si dice pure che è una lingua reazionaria, che si schiera con chi avvalendosi delle proprie conoscenze linguistiche non vorrebbe far capire niente all’interlecutore. Il caso storico letterario quello di don Abbondio che per terrorizzare il povero Renzo non a conoscenza del latinorum e  che aveva a cuore il matrimonio con la sua Lucia e non altro. Il curato infatti sciorina termini quali error, conditio, votum, cognatio (vingolo di parentela di sangue), crimen, si sis affinis ecc….

Passiamo ora ad elencare alcune espressioni latine che più di frequente utilizziamo o sentiamo pronunciare:

- AB URBE CONDITA…Dalla fondazione della città: I romani contavano gli anni dalla fondazione di Roma fissata  nel 21 aprile del 753 a.c. Noi, dividiamo le date della storia con lo spartiacque avanti o dopo Cristo. Se volessimo fare un esempio potremmo dire che Cesare nato nel 100 a.c. per i romani nacque nel 653 ab u. c. I greci contavano gli anni facendo riferimento alle olimpiadi: il tizio è nato nella tale olimpiade.

- AD HOC: appunto per questo, espressamente per questo adatto alla cosa di cui si parla o che si sta facendo.

A DIVINIS sottinteso officiis: Sospensione a divinis cioè dagli uffici divini. È una pena inflitta dal codice di diritto canonico a sacerdoti che si siano resi indegni del loro ufficio.

AD KALENDAS GRAECAS: ai tempi di Augusto in Roma lo si diceva di quei debitori che non avrebbero mai magato quanto dovuto , si diceva pagheranno alle calende greche. Le calende, nel calendario greco non esistono. È come se noi dicessimo “ ti pagherò il trenta febbraio”;

- AD MAIORA: augurio rivolto a chi festeggia qualche evento;

- AD PERSONAM: esclusivo per una persona e non possono essere rivendicati da altri.

AGENDA: cose da fare, libriccino su cui segniamo appuntamenti; devi fare; dal latino agere fare nel gerundivo agendus

A LATERE: colui che sta a lato, al fianco giudice a latere

ALBUM: di colore bianco della calce su cui venivano trascritti gli avvisi di pubblico interesse. Oggi il termine, in certo senso è stato soppiantato dal termine Albo (albo municipale, professionale);

- ALIBI: (da alius altro, ibi ivi) un imputato è assolto se riesce a dimostrare che nel momento in cui si è consumato un delitto si trovava altrove;

- ALLELUIA:  esclamazione che significa giubilo (dall’ebraico Hallelu = lodate e  Iah abbreviazione di Iaweh = Dio;

AMBO: entrambi, tutte e due, gioco del lotto;

- A POSTERIORI: ciò che scaturisce da una esperienza concreta, sperimentata; il contrario:

A PRIORI:  opinioni o concetti espressi in base ad un principio teorico;

BIS: due volte ciò che si richiede per la seconda volta;

TER: Per la terza volta

- CARPE DIEM: carpe diem, quam minimum credula postero scrisse Orazio a Leuconoe:  cogli l’oggi, vivi alla giornata e nel domani credi il meno possibile;

CAVE CANEM: all’ingresso delle case romane si trovava questa scritta e la si legge anchora in parecchie case dove dimora un cane; nel trionfo di Bacco e Arianna:  Lorenzo de Medici

quant’è bella giovinezza

che si fugge tuttavia!

 chi vuol essere lieto sia

di doman non c’è certezza



- CORAM POPULO: Pilato si lavò le mani coram populo dichiarandosi innocente del sangue del Signore;

CUI PRODEST: a vantaggio di chi. (spesso molte cose si fanno se sono a vantaggio di qualcuno;

-CUM GRANO SALIS: con un grano di sale, cioè con oculatezza. Il sale è stato sempre considerato il simbolo della saggezza. Nel rito battesimale il prete mette il sale sulle labbra del neonato dicendo:ricevi il sale della sapienza. Salario i romani retribuivano anche col sale. 

- DEFICIT: è il latino più assillante per i ministri finanziari per gli amministratori in genere. Dal latino deficere mancare. La parola venne usata per la prima volta dai francesi nel ‘500 per indicare negli inventari la merce che mancava. Ma gia Giovenale (I sec. D.c.) nella satira settima: Sic Pedo conturbat, Matho deficit ( così va in rovina Pedo e Matone fallisce)

DE GUSTIBUS NON EST DISPUTANDUM: ognuno ha un proprio gusto o una preferenza e guai se così non fosse, saremmo tutti omologati.

Chiudiamo quindi con:

- DEO GRATIAS (sott. Agere, rendere): quando si ringrazia per un favore ricevuto o quando, finalmente, si ottiene qualcosa dovuta o sperata come nel mio caso che ho terminato questo impegno o nel vostro caso qualora non ne possiate più e, allora potreste dire.


DEO GRAZIAS ! ''

E' seguito quindi un interessante dibattito che ha visto la partecipazione interessata di molti dei presenti che nel suo corso hanno ricordato, oltre a quelle precedentemente citate, molte altre frasi del parlato comune di oggi.

Al suo termine, come a tutti gli altri relatori, al Prof. Valenti, a ricordo dell'evento e della serata, la Signora Rosa Calvino a nome dell'Associazione ha offerto un piatto in ceramica di Burgio.

La serata si è conclusa con i saluti di rito e con l'arrivederci a mercoledì 20 dicembre 2017 alle ore 20,00 presso il Ristorante Garten di Valderice, da raggiungere con mezzo proprio, per la Conviviale di fine anno sociale e lo scambio degli auguri per le prossime festività di fine e di inizio anno.

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