2019 - 01 - 12: Prof. Salvatore Valenti - Aspetti etico-religiosi nelle tradizioni popolari

Sabato 12 gennaio 2019 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti si sono incontrati per partecipare alla inaugurazione delle attività previste dal programma del XXXIII Corso di cultura per l'anno 2019.

Il lavori della serata sono stati aperti dal Prof. Valenti, Presidente del sodalizio, che oltre a ringraziare i presenti per la loro partecipazione ha dato loro i più cordiali saluti di benvenuto sia a nome proprio che a nome dell'Associazione. 

Esauriti i convenevoli, rivestendo anche la funzione di oratore, il Prof. Valenti ha precisato che in una Associazione la cui denominazione si rifà alla tutela delle tradizioni popolari del trapanese, non poteva, in occasione dell'inaugurazione del suo XXXIII Corso di cultura, non essere trattato un tema che a tali finalità facesse riferimento e che la scelta del relatore più idoneo a trattarlo cadesse proprio sul Presidente del sodalizio stesso.

Si riporta una breve sintesi liberamente tratta da quanto inizialmente riferito dal Prof. Valenti e successivamente ed integralmente il testo della sua relazione.

Iniziando la sua esposizione il Prof. Valenti ha voluto ricordare i personaggi che in passato si sono interessati alle tradizioni popolari siciliane come Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino e prima di essi, ma in modo più marginale e ristrettivo, Leonardo Vigo, ricordandone le figure e l'opera.

Giuseppe Pitrè, Palermo ( 1841 - 1916 ), di famiglia non agiata, lauratosi in Medicina e medico di professione, venendo a contatto per la sua attività, lavorativa con i ceti più umili della popolazione, nel contempo interessato allo studio della storia e della filologia, ebbe modo di raccogliere informazioni relative alle tradizioni popolari molte delle quali apprese anche dalla propria madre.   
La raccolta di tutte queste notizie lo portò a pubblicare dal 1871 al 1913 una serie di volumi, 25 in tutto , sotto il titolo '' Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane ''.
Nel 1910 nacque per sua iniziativa il Museo etnografico, oggi porta iò suo nome, in cui sono raccolte i materiali e gli oggetti delle sue ricerche in Sicilia. Il Museo oggi è ospitato nelle ex-stalle della Palazzina Cinese nel Parco della Favorita. 

Fu il fondadore della demologia anche denominata demopsicologia, intesa come la disciplina che studia la psicologia dei diversi popoli attraverso i costumi, i miti, le tradizioni, di cui fu docente presso l'Università di Palermo.

Analoga definizione si può praticamente dare del termine folklore, derivazione dalle parole inglesi folk (popolo) e lore ( sapere ) inteso come l'insieme delle tradizioni popolari di una regione, paese o gruppo etnico in tutte le manifestazioni culturali che ne sono espressione con riferimento a usi, costumi, leggende, credenze e pratiche religiose o magiche, racconti, proverbi e quant'altro è tramandato da tradizioni orali che si contrapponevano al sapere delle classi colte in conseguenza della mancata alfabetizzazione della maggior parte del popolo e dei meno abbienti.

Collaborò con il Pitrè anche l'altro medico Salvatore Salomoine Marino ( 1847 - 1916 ). Insieme fondarono la rivista '' Archivio storico delle tradizioni popolari siciliane '' di cui Pitrè mantenne la direzione fino al  1906. Anchè il Marino raccolse per suo conto canzoni, poesie siciliane, ecc. che pubblicò in vari volumi. 

'' Aspetti etico-religiosi nelle tradizioni popolari  '' di Salvatore Valenti

All'incontro odierno ho voluto dare un taglio particolare perché dovendo parlare di tradizioni popolari, penso non possa farsi a meno di esaminare oltre che gli aspetti prettamente antropici, anche quelli che si richiamano alla vita interiore di ognuno di noi. Mi riferisco agli aspetti etici e religiosi che, spesso, si confondono integrandosi con le antiche tradizioni popolari.

Nelle società agro-pastorali antiche e recenti, la religione ritmava, sulle ore canoniche, il tempo e il lavoro dei fedeli: dalla campana dell'alba a quella di un'ora di notte. Le abitazioni formavano un solo nucleo con una chiesa ed essa, dando il nome ad un quartiere o ad una contrada, era punto di riferimento per attività manuali e spirituali. Feste e fiere, riti e spettacoli, luminarie e processioni, pellegrinaggi ed ex voto erano i segni di uno status individuale o di gruppo, delle tradizioni o della storia.

Allora cominciamo ad esaminare dettagliatamente il valore e la simbologia che si attribuiscono ai tanti elementi che accompagnano la vita quotidiana sia essa clericale o laica ed iniziamo con la religiosità e i suoni quindi campane. Oggi di campane se ne sentono poche e, spesso, non hanno la stessa funzione di qualche tempo fa. Il loro antico linguaggio, perché di vero e proprio linguaggio si tratta, stava ad indicare, a seconda della provenienza, di quale chiesa si trattasse, a quale invito diurno o serale richiamasse, e, negli assortiti numeri dei toni e dei tocchi, quale rito o cerimonia precisasse. Si andava come orari dalle 5 antimeridiane, la campana " di lu Patrinostru ", iniziava la prima messa detta dell'Aurora e, giù giù, sino al rintocco dell'ultima campana detta " dell'appello " o " di un'ura di notti " che chiamava alla preghiera per i defunti. Non è difficile trovare in carte d'archivio diocesani notazioni di come suoni di campane si udissero durante invasioni turchesche, campane che invitavano i cittadini alle armi, la rivoluzione del '48 fu scandita dai rintocchi incitanti della chiesa della Gancia di Palermo e, nello stesso anno, quelle delle chiese trapanesi sempre in occasione della rivolta del '48. Eccezionali scampanii hanno sottolineato e sottolineano eventi storici particolari. Fu credenza che il suono delle campane allontanasse le folgori e tempeste.

Come le campane, i sonagli ebbero funzioni apotropaiche ovvero di allontanare o annullare influssi maligni. Per sonagli, scossi dal vento su una quercia sacra, parlava ai Greci l'oracolo di Dodona, di sonagli i Romani ornarono animali domestici e carri trionfali, per allontanare le forze malefiche, vesti con campanelli d'oro ebbero i Leviti ( Esodo ), campanelli appesi al collo di buoi o capre si usano ancora ai nostri giorni, campanelli si usano per le culle dei neonati, campanelli si mostrano al collo, associati a cornetti di corallo antijettatorio, col suono di un campanello è annunciato l'arrivo delle singole portate nel pranzo di " u nmitu di San Giuseppi ". Le società primitive usavano il " rombo " ( rumore ) in riti iniziatici. Il suo ronzio era come un avvertimento, per le donne e i non iniziati, a star lontani da un luogo sacro. Carattere sacro ebbe il " rombo " in Grecia e in Magna Grecia. La " troccula " si usò nella Settimana Santa durante il legamento delle campane e nelle processioni del Cristo morto, strumenti musicali, violini, pifferi, ed altro si usarono e si usano nelle sacre funzioni festive. Le " ciaramelle ", poi, con i loro suoni di ninne-nanne, rimandano a riti e culture dei tempi in cui, soffiando dentro la pelle di capra, sembrava uscisse l'ebbrezza di Pan. Strepiti in origine esorcizzatori di cattivi spiriti, ma anche esprimenti gioia liberatoria, furono quelli del tamburinaio e del trombettiere come i tamburi che precedono le processioni.  Funzione esorcizzatrice ebbero ed hanno gli scoppi di mortaretti, fucilate, scoppi di razzi frequenti ed abbondanti in ogni festa paesana.

Altro momento interessante da recuperare come memoria storica delle tradizioni popolari riguarda la religiosità e le propiziazioni.
Al suono delle campane del Cristo Risorto, al mezzogiorno del Sabato santo i genitori sollevavano in alto i loro bambini con l'implorazione propiziatoria: " figghiu, crisci / comu Cristu ch'arrivisci ".

Propiziatorie erano, nel periodo postpasquale, la benedizione delle case e, per la festa di San Marco ( 25 Aprile ), quella dei campi, benedizione di equini e del fieno la mattina del 17 Gennaio festa di Sant'Antonio abate, benedizione di cani dinanzi la statua di San Vito per scongiurare l'idrofobia.

In un rituale romano del 1523 vi si leggono le formule per le benedizioni:

dell'acqua nella vigilia dell'Epifania il 5 gennaio
- del pascolo degli animali, del sale, dell'orzo, dell'avena e altro nella festa di S. Stefano protomartire il 26 dicembre
- del vino e contro ogni sua alterazione nella festa di S. Giovanni Evangelista il 27 dicembre
- del pane, del vino, dei frutti e delle sementi nonchè della gola e di ogni su alterazione nella festa di S. Biagio l 3 di febbraio
- dell'agnello, delle carni e delle uova nella festa di Pasqua
- dei Pani di Pasqua , di S. Giuseppe nella festa dell'Itria.

Vi figurano anche formule per le benedizioni:

dei fanciulli condotti in chiesa,per la prima volta, dopo la nascita 
dei fanciulli per il primo taglio dei capelli
- della vedova che, dopo essersi segregata in casa nel periodo di lutto stretto, va per la prima volta in chiesa
- di un pranzo dato per carità
dell'acqua per gli infermi
- contro tempeste dell'aria
- di una casa nuova o vessata dal demonio
- di un letto nuziale o di una camera
- di una nave nuova
- di un pozzo nuovo
- di un pane fatto con grano di nuova annata
- di vino di nuova annata
- di un cilicio da indossare per penitenza.
Anche le Figurazioni avevano ed hanno un intento apotropaico e taumaturgico. Stampe devote si ponevano al capezzale, sulle porte, nelle stanze, nelle stalle e un po' dovunque. In sostituzione di medicine, secondo la malattia di cui si soffriva, era pratica ordinaria portare addosso l'immagine di un particolare santo, attribuendole poteri magici. 

Immagini sacre, in centinaia di " fiureddi " traducono devozioni, a volte secolari, di una famiglia, o di più famiglie residenti in un rione o in una contrada. Agli incroci di vie e presso ponti, esse esternano funzioni protettive dei viandanti. Dinanzi alle edicole mariane, ornate con ceri e fiori, si
accendono lampade e nel mese di Maggio, dedicato a Maria, si raduna il vicinato a recitare i rosari e a cantare lodi della Vergine.

Sempre tra le figurazioni possiamo inserire gli ex-voto relativi a malattie, a cadute, crolli e frane, a infortuni causati da animali, da tempeste, da
incendi, da aggressioni di malintenzionati, da pericoli bellici, in essi ( ex voto ) quasi sempre vi appare il santo elargitore della grazia entro una ghirlandetta di nubi, in uno degli angoli superiori come quelli della chiesa dell'Annunziata. Pani votivi troviamo nei banchetti di S. Giuseppe, figurazioni
devote ornano opere lignee come cori e cantorie, cattedre e pulpiti ecc...dolci figurali si confezionavano dalle claustrali in alcune feste dell'anno.

Anche i vegetali rientrano nelle tradizioni. L'uso del grano come ornamento dei sepolcri del Giovedi santo i famosi " lavureddi " stanno scomparendo. Ebbero in alcune feste pagane l'intento magico di promuovere la vegetazione.

L'uso della '' cuccia '', nel giorno di S.Lucia, è una sopravvivenza  di magia simpatica: mangiare grano cotto significò propiziare abbondanza per quello già seminato. Le prime spighe di un raccolto di grano, legate con un nastro rosso in tre mazzetti, simbolo della Trinità, si offrivano a un'immagine sacra. Si benediceva un grappolo d'uva per propiziare un'abbondante vendemmia. Con " murtidda " e " ciuri di maju " si paravano le chiese in varie feste e si ornano gli altari di S. Giuseppe. Rami di alloro si portavano in segno di gaudio e di trionfo, secondo il Pitrè, in processioni o ricorrenze particolari. Rami di ulivo o palma lavorata si benedicono la domenica delle Palme. Poteri antimalefici si attribuivano a frutti e foglie d'arancio e, con gli stessi, si ornavano le volte dei presepi domestici e oggi ornano gli altari di S. Giuseppe a Salemi, S. Ninfa, Dattilo, Mazara del Vallo ecc...Si attribuivano virtù meravigliose alla salvia e potenza terapeutica ai '' suffumigi " di rosmarino ritenuti antisettici durante le pestilenze.

Anche la gastronomia riveste importanza essenziale nelle tradizioni e nella religiosità.

Il consumo del pesce in periodo quaresimale, panuzzi devozionali di santu Brasi a forma di gola venivano distribuiti ai devoti il 3 febbraio, quelli di li morti in forma di crocetta dati il 2 novembre ai poveri con richiesta di preghiere per un defunto, li vastuna e li cucciddati di San Giuseppe, li panuzzi di S. Antuninu il 13 giugno, mustazzoli, frutti di marturana e pupi di zuccaru in coincidenza con la commemorazione dei defunti. I pupi di zuccaru sono una sopravvivenza di un antico culto dei trapassati secondo cui, mangiandone le effigie, si entrava in comunione con loro. Dolci natalizi sono li cucciddati di ficu, muscardini, nucatuli, rami di meli e pupi cu l'ova: forme varie in pasta fregiata su cui spiccavano uova colorate coperte da foglie, fiorellini, agnellini, colombe ecc...anch' essi in pasta. I fidanzati li regalavano a Pasqua alle loro donne. Ne era una variante la 'nguantera di cannatuna, un vassoio di uova sode a gusci colorati e guarniti di artistici ricami in pasta. I gusci colorati in rosso alludevano, per alcuni, al sangue della passione di Cristo, con valenza antijettatoria, secondo altri. Il Cocchiera ritiente tali uova non tanto dolci festivi, quanto amuleti contro il malocchio
Nelle tradizioni popolari rientra a pieno diritto il culto del fuoco ritenuto elemento liberatorio del male del mondo. Esso si collega all'uso di fiaccole, torce, candele in tante manifestazioni. Al fuoco la religiosità popolare assegna funzioni magico-purificatorie come nel caso del salto del fuoco.

La Candelora ( 2 febbraio ) è un adattamento cristiano dei Lupercali, caratterizzati da processioni con fiaccole, in onore di Cerere. Col bruciamento di un fantoccio, la sera conclusiva di Carneval, si vuole eliminare, nel fuoco purificatore, il male come malattia, calamità naturale, peccato. Altri fuochi con intenti purificatori furono i falo dell'Ascensione. I contadini facevano fumate con paglia umida per cacciar fuori i vapori della terra che dannificavano le imminenti produzioni; falò con erbe e legna non ben secche servivano a scongiurare dai raccolti le acque torrenziali, i vapori molesti e la ruggine. Col fare fuochi e sparare i contadini accompagnavano i ringraziamenti per il raccolto il 15 di Agosto. Fuochi artificiali accompagnano tutte le feste e le sacre paesane.

Al culto del fuoco si accompagna quello dell'acqua. Nella religiosità' popolare siciliana il culto dell'acqua appare fin dalla devozione dei Palicii, divinità venerate nel territorio tra Mineo e Palagonia.

Religioni naturali e lo stesso cristianesimo conferirono all'acqua valenza salvifica. L'acqua è adottata nella prassi sacramentale con significazione lustrale, relativa cioè alle cerimonie di purificazione ed ai sacrificiespiatori dell'antica religione romana, e vivificatrice come conferimento di nuova vita o di nuovo impulso vitale. Ciò spiega perché presso sorgive miracolose si trovino edicole e cappelle, grotte sacre e santuari. A Piana degli Albanesi il 6 gennaio, giorno in cui si fa cominciare il carnevale ortodosso, l'esarca di quella comunità benedice l'acqua che sgorga da una edicola votiva ed il tutto accompagnato dal volo di una colomba, anch' essa simbolo di purezza.

Il culto ellenico-siculo del sole ha lasciato traccia in un'orazione recitata da contadini che, apostrofando la bestia girante a cerchio su un'aia per la trebbiatura del grano, chiamavano in causa " Santu Liu " perché essa fosse indenne dalle vertigini ( giuriu ): " Santu Liu / t'av'a scanzari du giuriu ".
Uno studioso, il Pace, ritiene che il Santu Liu presente nei canti siciliani sia il sole invocato col suo nome greco Elios.


Al culto della luna rimangono legati altri canti tra cui questo alcamese eseguito dalle donne quando infornavano il pane: " Luna lunedda / tè ccà sta cucchitedda / falla addivintari ranni / quantu li vrazza di San Giuvanni ". L'invocazione all'astro notturno perché accresca la forma di pane ( cucchitedda ) è simile ad altre, diffuse in area mediterranea, per impetrare abbondanti raccolti e vendemmie. Ricorda l'uso vigente presso Turchi, Arabi e maomettani di salutare la luna nuova e pregarla, mostrandole una borsa, di moltiplicare i denari, man mano che va crescendo. " Luna lunedda " è uno dei canti europei ed extraeuropei che, decaduti dall'originaria intenzionalità magica a filastrocche fanciullesche, rivelano derivazioni da riti e rituali remoti.

Il sentimento religioso ha ispirato, poi, canti popolari di culla, canti fanciulleschi, orazioni e poemi, scongiuri e indovinelli.

Hanno immagini di tenerezza i canti di culla: in uno la Madonna culla il Figlio e gli parla:

E Maria ni luj ardinu / Annacava lu Bamminu. / Ci dicia duci paroli: / Gesù miu di lu me cori.

Un altro mostra Gesù vegliato da Maria

sutta un peri di basiricò,c Gesuzzu e fa la vo. / E priannu lu talia / La gran Vergini Maria.

Fari la vo significa" dormire " e vo-vo o solo o-ò si riconnette all' aòs e eòs, "aurora" del canto dei Dorici di Sicilia: "Dormi, figlio, sino all'aurora". Come in questa nenia del Bambino malato:

Sutta un peri di pumarussi / C'era Gesù e avia la tussi / E ora cchiù nun l'avi no / Dormi figghiu e fai la vò.

Tra i canti fanciulleschi:

Lu Bamminu ju a la scola, / e purtau na mustazzola, / era duci e 'nzuccarata: / viva la Matri 'Maculata.

O l'altro :

Bammineddu fattu di cira, / iu ti cantu matina e sira. / Quannu 'un pozzu cantari cchiù, / Bammineddu, aiutami tu.

Nelle infermità, all'aiuto del medico, si preferiva quello di chi era capace di " levare " il male con orazioni-scongiuro, accompagnate da operazioni
magiche. Col cristianesimo, infatti, molte formule dell'antica magia si adattarono ai nuovi principi:

Tri sbrizzi di lu sangu di Gesù, / Tri fila di capiddi di Maria, / Alliazzati ( legati ) a cu' voli mali a mia.

Indovinelli:

Proposta:


Mi fu mannatu un marzapani chi usu
E supra c'era scrittu l'abbeccè,
dintra c'era un damanti priziusu,
chi 'ntra lu munnu lu paru nun c 'è.
E n 'atra cosa a lu funnu di jusu,
chi fa lu fruttu e poi ni dici: tè.
Caru cumpagnu nun stari uziusu,
'nniminami stu dubbiu zocch 'è.

Risposta:

Lu celu è chiddu marzapani chiusu,
e lu Suli e la Luna è l 'abbeccè
Cristu
è lu damanti priziusu,
chi 'ntra lu munnu lu paru nun c'è.
Lu munnu è chiddu a lu funnu di jusu,
chi fa lu fruttu e po' ni dici tè.
Caru cumpagnu, si prisuntuusu,
ti l'abbisavi lu dubbiu zocch'è ?

La religiosità entra anche nella paremiologia popolare ovvero nei proverbi.

I detti:

- Diu chiuj na porta e rapi un purticatu
- Mali o beni di Diu ni veni
- Diu duna e Diu leva
- Diu è lagnusu ma 'un è scurdusu.
'ntempu un 'ura Diu lavora
- Diu susteni a cu avi peni
lu lassau scrittu lu nostru Signori: zoccu un vo pi tia ad autru 'un fari
Cu servi a Diu avi bon patroni
l 'arma a Diu e la roba a cu tocca
Senza santi nun si va 'mparadisu
Diu ni scanza di la 'gnuranza
- D
iu ni scanza di lu viddanu arrinisciutu.

e si potrebbe continuare all'infinito.

Un posto particolare occupa la creatività artistica nella religiosità popolare:

Edicole e cappelle, chiese e conventi ripetono moduli decorativi tramandati per secoli. Dalla pagana valenza apotropaica delle teste intagliate, presente 
nel mondo popolare europeo ed extraeuropeo, l'arte cristiana derivò l'intaglio di teste e busti di angeli, santi e benefattori.

Teste intagliate ornano aste, raggi di ruote e " stampagneddi " dei carretti siciliani. Sul loro ripiano, il Sole con raggi fiammeggianti, o un cerchio
radiante, recava, in un triangolo centrale, " l'occhio di Dio ". Nelle spalliere o " masciddara " si effigiarono episodi di santi e, nelle " chiavi " dei carretti si intagliarono l'ultima cena o S. Giorgio ( altro simbolo di Culto solare ) e il Drago.

A monogrammi e a ideogrammi sacri si associano le rosette solari nei pani devozionali che addobbano gli altari di S. Giuseppe e le rosette e le
conchiglie simboleggiavano nelle catacombe le tombe che si schiuderanno con la resurrezione. La conchiglia emerge come talismano magico, oltre
che nell'iconografia buddista, induista e islamica, anche nei più arcaici monumenti sumero-caldei.

E, volendo continuare con l'artigianato sacro, potremmo riscontrare sezioni quali:

della pietra: prospetti, portali, archi, scalinate, balaustre, tabernacoli, acquasantiere, pulpiti ecc...
della maiolica: pavimenti, mattonelle, figurine da presepe ecc..
del gesso e dello stucco: statue e statuette di santi, altari e fregi chiesastici, pastori ecc...
del legno: porte, grate, altari lignei intagliati, coprzfonti battesimali, lampadari, candelieri, pulpiti, cornici per pale, predelle, sgabelli, tabernacoli, cori ecc...

e potremmo continuare con l'artigianato del ferro, dell'oro e dell'argento, del rame, del bronzo, della carta e della stoffa, della cera, del corallo,
dell'avorio, della madreperla e tanto, tanto altro.

Abbiamo voluto fare questo excursus perché, c'è stata sempre un corrispondenza tra credenze popolari, tradizioni popolari e religiosità, abbiamo sempre sostenuto che l'avvento dell'era cristiana non ha mai, volutamente, annullare le credenze preesistenti e non ne ha mai distrutto i luoghi di culto, ma li ha, via via, fatti propri rivisitandoli di volta in volta, adattandoli, interpretandoli secondo i nuovi testi e ciò ha fatto si che credi, usanze, tradizioni, luoghi, testimonianze si perpetuassero nel tempo e permettessero ad ognuno di ritagliarsi uno spazio culturale senza il quale oggi noi non staremmo qui a disquisire. ''

Al termine dell'esposizione si è aperto un dibattito cui hanno partecipato molti dei presenti in sala che a loro volta hanno ricordato detti, motti, espressioni popolari ora non più utilizzate, credenze, rituali e pratiche che si eseguivano in ricorrenza di vari eventi od occasioni apprese nei tempi passati dalle persone anziene della famiglia di appartenenza o da persone di loro conoscenza.

Chiuso il dibattito e prima dei saluti finali il Prof. Valenti ha ricordato per chi avesse avuto l'intenzione di partecipare all'escursione a Palermo prevista per il 10 febbraio p.v.  la necessità di effettuare per tempo la dovuta e necessaria prenotazione al fine di una adeguata programmazione dell'attività e della eventuale prenotazione dei biglietti per accedere alla mostra ed ha chiuso l'incontro con l'arrivederci a sabato 19 gennaio 2019 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dl programma del XXXIII Corso di cultura.  

 

 

 

 

 

 

 

 

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