2019 - 05 - 18: Prof. Michele Russo - 1^ Guerra Mondiale: il conflitto che cambiò tutto e tutti

Sabato 18 maggio 2019 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, come di consueto si è svolto il settimanale incontro previsto dal programma del XXXIII Corso di cultura per l'anno 2019. 

Il relatore della serata, Prof. Michele Russo, da lunga data anche socio del sodalizio e quindi ben conosciuto da tutti i presenti, è stato accolto dal Presidente con la consueta cordialità e da molti anni ha sempre accettato e con piacere l'invito a partecipare alle attività culturali del sodalizio trattando tematiche varie e sempre interessanti.  

Il Prof. Valenti, aperti i lavori, dopo aver brevemente presentato il tema della serata, gli da dato la parola.

Si riporta di seguito ed integralamente, perchè gentilmente reso disponibile, quanto riferito dal Prof. Russo e la serie di slide proiettate a documentazione del tema.

'' LA  GRANDE   GUERRA: il Conflitto che cambiò tutto e tutti '' di Michele Russo.

Anche se le celebrazioni per la commemorazione del centesimo anniversario della fine della Guerra 1915 - 1918 si possono considerare concluse lo scorso 04 Novembre 2018 con la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, ritengo che continuare a parlare della Grande Guerra nel 2019 ci riporta ancora nell’ambito delle celebrazioni, perché è vero che l’Accordo per la cessazione delle ostilità, con l’Armistizio di Villa Giusti e il successivo Proclama della vittoria portano rispettivamente la data 03 e 04 Novembre 1918, ma è pur vero che ogni guerra è da considerarsi conclusa quando si firmano i Trattati di Pace.

E questi ebbero inizio nel Gennaio 1919 con la Conferenza di Pace tenuta a Versailles, alla quale parteciparono i capi degli Stati vincitori per stabilire il futuro assetto dell’Europa. Tali colloqui si conclusero rispettivamente, il 21 gennaio 1920 con la Pace di Versailles con la Germania e il 10 settembre 1919 con la Pace di Saint-Germain con l’Austria. Pertanto, se è stata programmata una relazione con questo argomento per questa sera siamo ancora entro i termini temporali delle celebrazioni relativi alla commemorazione del Centesimo anniversario della fine della Guerra 1915-18, che vide, per la prima volta, contrapposti contemporaneamente  eserciti non solo di nazioni europee come Austria, Ungheria, Germania, Francia, Inghilterra, Russia, Italia, Bulgaria, Romania, Serbia, Belgio, Grecia, Portogallo, Montenegro, Impero Ottomano, ma anche popoli dell’Oriente come il Giappone e di oltre Oceano Atlantico, come gli Stati Uniti, per cui il conflitto viene ricordato come la Prima Guerra Mondiale.

In Italia viene anche ricordato come la Grande Guerra  perché , per la prima volta, l’Italia affrontava non solo l’Austria - Ungheria ma anche tutta la coalizione che era scesa al suo fianco, formata da Germania, Bulgaria e Turchia.

Sarebbe, però, più giusto per noi Italiani chiamare questo conflitto Quarta Guerra d’Indipendenza o Ultima Guerra Risorgimentale, perché l’Italia aveva dichiarato guerra all’Impero Austro - Ungarico e, di conseguenza, alla coalizione che era scesa al suo fianco, avendo come obiettivo di riportare entro i confini dello Stato Italiano, territori, sulle Alpi e lungo le coste adriatiche, che erano stati italiani e che ancora lo erano per lingua, usi, costumi.

La Grande Guerra fu grande in tutto, non solo per il numero degli Stati coinvolti nel conflitto e per il numero dei militari impegnati al fronte, ma anche per il numero dei caduti, dei mutilati e degli invalidi.

Tuttavia, a fine guerra, non è stato possibile determinare con certezza il numero complessivo delle vittime, sia militari che civili. Le cifre più accettate parlano di un totale, fra i militari e civili di circa 19 milioni di morti e più di 20 milioni di feriti e mutilati.

In questo contesto, il prezzo pagato dall’Italia fu altissimo: 651.000 militari caduti, 947.000 mutilati ed invalidi che tornarono dal fronte e 600.000 dispersi in battaglia o fatti prigionieri.

La Grande Guerra è stata definita a ragione una “grande tragedia collettiva”, ma ritengo che sia stata soprattutto la “somma di tante piccole tragedie” di migliaia di giovani e non più giovani, diversi fra loro, per stato civile, abitudini, stato sociale, cultura, professione, luogo di provenienza, che , in conseguenza di una data di nascita, sono stati chiamati alle armi da un “freddo” ordine superiore ed obbligati a far fronte ad una “necessità”  che si concluse con un immenso massacro.

Questi giovani sono stati uniti solo dalla sofferenza della trincea, dalla crudeltà dei combattimenti, dalla presenza continua e fatale della morte.

Alcuni sono diventati “soldati” anche nello spirito e si batterono e morirono per un grande ideale: la Patria, altri sono rimasti “giovani reclute” perché morti troppo presto per cui non hanno avuto il tempo di capire per che cosa sparavano, se non per difendere la loro vita.

Come  e quando ebbe inizio la guerra?

I libri di storia ci ricordano che la Grande Guerra, per l’Italia, ebbe inizio alle ore quattro del mattino del 24 Maggio 1915 con due colpi di cannone sparati contro le truppe austriache da Forte Verena, l’imponente fortezza collocata sulla sommità di una montagna dell’Altipiano di Asiago a ridosso del confine con l’Austria.  

Nello stesso giorno il re Vittorio Emanuele III, dal suo Quartiere Generale ad Udine, emetteva il proclama di entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero Austro -Ungarico.

In verità, il primo colpo di fucile contro gli Austriaci fu sparato alle ore 23,30 nella notte del 23 Maggio da due Guardie di Finanza ai quali era stata affidata la vigilanza dei percorsi e dei ponti nei pressi del confine. Durante la notte, i due finanzieri, vedendo ombre umane ed un insolito movimento nei pressi del ponte Brazzano, vicino Gorizia, fecero fuoco e così impedirono ad un gruppo di soldati austriaci di minare il vecchio ponte della dogana sul quale, l’indomani, avrebbero dovuto passare i soldati italiani diretti al fronte, il quale, in piena guerra, aveva una estensione di circa 650 chilometri situato spesso ad una quota di 2.000 metri in una linea, in gran parte, impervia ed insidiosa.

La guerra ebbe termine il 04 Novembre 1918 con il Proclama della Vittoria successivo all’Armistizio di Villa Giusti, presso Padova, che era stato firmato il giorno precedente.

L’anno successivo, per ricordare tutti coloro, soprattutto giovanissimi, che avevano sacrificato il bene supremo della vita per la Patria e per l’attaccamento al dovere e al giuramento fatto, il governo in carica stabilì che il 04 Novembre venisse considerato festività nazionale con la dizione Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Giornata che, durante il periodo fascista, assunse il nome di Anniversario della vittoria, per essere  riportata alla originaria dizione nel 1977 e, in seguito alla riforma del calendario delle festività nazionali, introdotta con la legge n° 54 del marzo 1977,  la ricorrenza veniva considerata non più giorno festivo, ma “giorno mobile” spostando le celebrazioni alla prima domenica di Novembre.

    La Grande Guerra fu un conflitto che, alla fine cambiò tutto e tutti.

Cambiò la carta politica dell’Europa e del Medio Oriente:

In Germania il popolo insorse, venne proclamata la repubblica ed il re Guglielmo II fu costretto a fuggire dalla capitale; lo stesso era avvenuto in Russia con la “rivoluzione bolscevica” dell’ottobre 1917 che si era conclusa con la morte dello zar e dei componenti della sua famiglia e con la proclamazione della Repubblica Sovietica; il Grande Impero Austro - Ungarico perse tutti i suoi territori e fu ridotto ad una piccola repubblica di pochi milioni di abitanti; l’Europa inizia un lento declino, mentre si delinea, con sempre maggiore forza, la potenza degli Stati Uniti d’America.

Il Primo Conflitto Mondiale cambiò anche il modo di fare la guerra.

Essa fu, contemporaneamente, una guerra di mare, di cielo, di terra.

Nei mari: l’uso dei sommergibili rese insidiosa la navigazione alle grandi navi da guerra e alle navi passeggeri e da merci, che venivano affondate con il lancio dei siluri.

Nei cieli comparvero gli aerei che, oltre a partecipare alle azioni di bombardamento e di mitragliamento a terra si affrontarono in epici duelli.  

In terra: non si videro più grandi eserciti con divise vistosamente colorate schierati nelle pianure a fronteggiarsi con attacchi di fanteria e con cariche di cavalleria. La guerra si combattè sulle montagne e si trasformò in lunghi assedi, lenti movimenti di truppe, mosse basate più sul logoramento psichico dell’avversario e non sulle vittorie in battaglia. Le divise vistosamente colorate furono sostituite con quelle in grigioverde per mimetizzarsi con la natura.

Comparvero nuove armi più micidiali.  

Vennero modificati i fucili che utilizzarono, in modo semiautomatico, caricatori a cinque proiettili, nelle postazioni fecero la loro comparsa le mitraglie a nastro al posto di quelle a più canne. Nelle avanzate vennero utilizzati  i primi mezzi blindati e i carri armati; cannoni a lunga gittata sostituirono i vecchi cannoni ad avancarica; i militari furono muniti di bombe a mano e di lanciafiamme; vennero utilizzati per la prima volta bombe chimiche.

La Grande Guerra fu anche una guerra contro la natura. Infatti, per chilometri e chilometri intorno alla linea di fuoco, il paesaggio fu sfregiato dalle buche delle bombe e dai crateri delle granate e fu contaminato dai gas fra i quali i più pericolosi erano il Foscene e l’Yprite. E non solo la natura, ma anche i soldati furono sfregiati dal contatto con i gas, per cui si doveva stare protetti dalle maschere. Inoltre, al di là della devastazione delle armi, le apparecchiature difensive avevano stravolto il paesaggio naturale: il terreno fu bucato da un labirinto di trincee e cunicoli, gli alberi furono abbattuti per costruire ripari e contenere le pareti dei terrapieni delle trincee, mentre barriere continue di filo spinato davano l’idea di un paesaggio di morte.

Ma la conseguenza più importante fu la trasformazione della società civile.

La massiccia mobilitazione di tutti gli uomini abili alle armi favorì il diffondersi del lavoro delle donne che rivoluzionò le loro abitudini ed il loro modo di vivere: le donne, sino ad allora addette alla casa e al lavoro dei campi, entrarono in moltissime fabbriche e, dimostrando di saper tenere il ritmo della catena di montaggio, sostituirono gli uomini chiamati al fronte.

In città guidarono il tram, diventarono pompieri, postini. Sul fronte di guerra diventarono crocerossine, imbracciarono il fucile ed alcune divennero prostitute di professione. Inoltre assunsero abitudini maschili: fumavano e, dopo il lavoro, si ritrovavano al bar o al circolo a bere un bicchiere di vino. Cominciarono ad uscire da sole, vivere da sole, prendersi responsabilità da sole; frequentare l’università e persino scioperare e reclamare i propri diritti; indossare liberamente e senza pregiudizi i pantaloni.

Ma quelli che cambiarono in modo radicale furono gli uomini.

I soldati vissero per settimane e anche per mesi e mesi dentro strette e lunghe trincee serpeggianti, come un labirinto di cunicoli, gelide e soffocanti, puzzolenti e brutalmente squallidi, popolate da ratti e pidocchi, dove si trascorreva la notte distesi su mucchietti di pietra, stando l’uno addosso all’altro, nel tentativo di scaldarsi, e dove, di giorno si svolgevano tutte le attività personali, come tagliarsi i capelli o aggiustarsi i vestiti strappati o le scarpe rotte, scrivere ai familiari, leggere ai commilitoni analfabeti la posta loro arrivata da casa.

In questa situazione i soldati vivevano in attesa del cambio, assordati dal frastuono delle artiglierie ed esposti ai colpi dei tiratori scelti, i “cecchini”, senza vedere altro che due pareti di terra o di pietrame collocato a secco dalle quali si usciva di notte per tagliare i reticolati nemici, riparare i propri, trasportare materiali, prolungare i cunicoli sotterranei o, di giorno, balzare fuori, portare l’estrema unzione ai moribondi, recuperare i morti, andare all’assalto, e, dopo aver superato diversi sbarramenti di filo spinato, andare all’attacco contro la poco distante trincea nemica, al grido: “Savoia!, Savoia!”.

Inoltre, in battaglia, nella “terra di nessuno”, lo spazio interposto fra le trincee dei due schieramenti, il confronto con la morte di massa era onnipresente. Si arrivò persino ad usare i cadaveri insepolti come appoggio per i fucili o come riparo e parecchi dei caduti furono spogliati per recuperare un indumento in buono stato. Da eccezionale la morte era diventata routine, perché tutti erano convinti che “se non si muore oggi si muore domani”.

Al fronte, la durata della guerra, la fame, la vita in trincea, l’operare in condizioni di disperato disagio  e di pericolo come il trasporto dell’ artiglieria in alta montagna o vivere sui monti, o operare  in mezzo alla neve, spinsero, a volte, i soldati a non riuscire più a combattere, ma a voler fuggire, a rifiutarsi di ubbidire agli ordini La reazione dei comandi fu immediata: Fucilazione.

E non ci furono solo uomini che, al fronte, hanno sofferto. Ci furono famiglie vicine alle linee del fronte, che subirono anche la distruzione della casa e furono costrette ad emigrare ed altre, che, pur restando a casa, hanno altrettanto sofferto, restando prive degli uomini validi al loro sostegno, ma ci furono anche, e questo si verificò in tutta l’Italia, bambini che sono cresciuti senza la presenza del loro papà, mogli senza il loro marito, fidanzate senza il loro fidanzato, sorelle senza il loro fratello.

Finalmente la guerra ebbe fine.

Anche se da tanti la Grande Guerra venne giudicata una “tragedia pazzesca”, che causò ad ogni famiglia al minimo un morto, essa ebbe il merito di aver unificato l’Italia, di aver fatto cadere dei tabù fra il Nord ed il Sud, ma soprattutto di aver fatto  scoprire agli Italiani che questo nuovo Stato non era solo un’entità geografica con nuovi confini, ma, come scrisse il Manzoni nella sua poesia: “Marzo 1821”,  una Patria “tra l’Alpe e il mare, / una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue, di cor”. ''

Al termine della relazione ha fatto seguito un breve dibattito cui hanno partecipato molti dei presenti in sala.

Alla sua chiusura il Prof. Valenti dopo aver ringraziato il Prof. Russo per ia sua partecipazione alle attività culturali del sodalizio, a ricordo della serata gli ha donato il libro di S. Costanza '' La lbertà e la roba - L'età del Risorgimento ''.

La serata si è conclusa con i saluti di arrivederci a sabato 25 maggio 2019 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma del XXXIII Corso di cultura per l'anno 2019.
                                                                             

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