2019 - 10 - 05: Dott. Marco Scalabrino, Prof.ssa Ornella Fulco - Renzo Cremona: cartoline da Trapani
Sabato 5 ottobre 2019 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle radizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, sulla base di quanto previsto dal calendario delle attività del XXXIII Corso di cultura per l'anno sociale 2019, dopo la pausa estiva, con la partecipazione di un numeroso gruppo si soci e di simpatizzanti sono riprese le normali attività e con esse i settimanali incontri culturali.
In assenza del Prof. Valenti, Presidente dell'Associazione, gli ospiti della serata e relatori dell'argomento in calendario, Dott. Marco Scalabrino e Prof.ssa Ornella Fulco, che per la prima volta ha partecipato alle attività culturali del sodalizio. sono stati ricevuti dal Segretario, Prof. Diego Antonio Romano, e dai presenti in sala con la consueta cordialità ed interesse.
Successivamente i lavori della serata sono stati aperti dalla
Prof.ssa Anna Maria La Via che, dopo una breve presentazione degli oratori e dell'argomento che sarebbe stato trattato, ha ceduto loro la parola.
Si riporta di seguito ed integralmente, perchè cortesemte reso disponibile, il testo integrale della relazione svolta dal Dott. Scalabrino che è stata inframmezzata dalla lettura di alcuni
brani del volumetto '' Cartoline di Trapani '' di Renzo Cremona magistralmente letti ed interpretati dalla Prof.ssa Ornella Fulco.
“Il mio libro Il canone del tè – rievoca Renzo Cremona, nella intervista rilasciata a Ornella Fulco che per sommi capi a più riprese richiameremo – si era classificato secondo alla XIV edizione del premio letterario “Erice Anteka”; invitato alla cerimonia di premiazione, salii a Erice Vetta in cabinovia. In quell’occasione ripartii l’indomani e non ebbi altro modo di vedere la città di Trapani se non dall’alto.”
Correva l’autunno 2008; il seme della sua avventura trapanese era stato, però, già sparso.
“Nel 2010 – prosegue Cremona – fui contattato da Ornella Fulco e Stefania La Via per la rassegna letteraria Terrazza d’Autore. Quella che si verificò tra me e i luoghi, tra me e le persone di Trapani che ho incontrato sulla mia strada, e che questa strada mi hanno aiutato a percorrere, è stata un’alchimia che non si manifesta tutti i giorni: l’intesa è stata immediata; sembrava che ci conoscessimo da anni. Percorrendo i luoghi e lasciandomi guidare dalla loro mano, a poco a poco, mi sono innamorato della città e l’amore da cui mi sono sentito circondato e la calorosa accoglienza che le persone mi stavano tributando hanno generato una sorta di corto circuito dentro di me. E così i luoghi, le memorie e gli amici – perché tali stavano ormai diventando alcune delle persone che ho conosciuto a Trapani – si sono uniti in un mondo di parole che, fin dal mio ritorno a casa, ha preso la forma degli episodi che poi sono diventati le cartoline. Oltre a luglio per la rassegna Terrazza d’Autore, nel 2010 sono tornato a settembre, ad ottobre e a dicembre con il recital “Neve” a Palazzo De Filippi. Ancora due volte nel 2012 e poi quest’anno [nel 2014] per la grandiosa messa in scena di cartoline tenutasi a Valderice a luglio, che ha visto la collaborazione di numerosissime persone, tra le quali, oltre a Ornella Fulco e a Stefania La Via, Giovanni Barbera, Giancarlo Figuccio e Matteo Gagliano, nonché Vito Curatolo e Francesco Iovino, per alcuni loro scatti dei luoghi di cui parlo, Tonino Perrera, per alcune foto storiche di Trapani, Enzo Toscano, per la musica appositamente composta per il brano la città, e Marco Scalabrino, per la collaborazione al testo i misteri”.
Con dedica in apertura a Pasquale Ales, a Ornella Fulco, a Stefania La Via e a don Liborio Palmeri per avergli fatto scoprire e amare Trapani, e ringraziamenti in calce al traduttore in dialetto siciliano, cartoline da trapani, Edizioni EVA, Venafro (IS), sono state stampate nel 2013.
Inventata da Emanuel Alexander Hermann, la prima cartolina del mondo fu emessa dalle Poste dell’Impero Austro-Ungarico il 1º ottobre 1869; si trattava di un cartoncino colore avorio: un lato era destinato all’indirizzo del destinatario e al francobollo, l’altro conteneva il messaggio. Nel 1870, il francese Bernardeau de Sillé-le-Guillaume ebbe per primo l’idea di ornare di figure le cartoline e, nel 1872, grazie all’idea del tedesco Franz Borich, per la prima volta le cartoline illustrate vennero utilizzate per propagandare le bellezze turistiche di un paese, per la precisione la Svizzera. Il 23 giugno 1873 anche l’Italia introdusse la “Cartolina postale di Stato” e nel 1891 Dominique Piazza, un altro francese, ideò le cartoline illustrate con fotografie. Dopo decenni e decenni di straordinario successo, la rivoluzione nei mezzi di comunicazione ha portato, dagli inizi del XXI secolo, un drastico cambiamento nella funzione della cartolina e, soppiantato dal cellulare e dalle e-mail, il suo uso cominciò a decadere.
E allora perché, oggi, “cartoline”?
Renzo Cremona non si fa cogliere impreparato ed esplicita compiutamente i motivi della scelta di tale denominazione: “La cartolina ha una dote che altri mezzi non manifestano: permette il tempo della riflessione, riporta alla lentezza, alla possibilità di concederci il lusso di pensare e quindi di porre una distanza tra quello che abbiamo vissuto e il modo in cui tutto questo viene filtrato dal nostro universo personale. E le mie “cartoline” sono appunto “filtrate”, “seppiate”, hanno una preponderanza di tempi passati, ormai immodificabili; sono qualcosa che noi abbiamo scelto rispetto a qualcos’altro e su cui scriviamo qualcosa che è nostro”.
Volumetto di ventidue testi distribuiti su cinquanta pagine circa, veste editoriale spartana, nessun prologo, cartoline da trapani sono il raffinato racconto lirico di un innamoramento.
Usiamo invero, per comodità e per approssimazione, la locuzione “racconto lirico” pur essendo consci di punzecchiare così Renzo Cremona, il quale non indugerà in proposito a pronunciarsi.
Ribatte egli, infatti, nella citata intervista: “Il dissolvimento dei confini tra prosa e poesia risponde a una mia esigenza molto forte. Ho cominciato scrivendo in versi e poi mi sono reso conto che non rispondevano alla ripercussione interiore che io avevo delle parole. Con Cronache dal centro della notte e Tutti senza nome è venuto fuori questo genere poetico particolare, che ha certamente dei precursori”.
Atteso che, cogliendo il destro offertoci da questa lettura, ci soffermeremo succintamente su taluni dei luoghi esplorati, reperendone stringati rimandi al mito, alla storia, alla dislocazione, nonché indicandone ulteriori confacenti notazioni, mentre per altri ci limiteremo a riferirne unicamente emblematici stralci, ci avvarremo, per l’esigenza di renderli immediatamente fruibili, della facoltà di scrivere in corsivo gli estratti che addurremo a supporto del nostro argomentare.
Non ometteremo altresì di rimarcare (lo faremo in prosieguo, condensandole assieme) le prerogative della partitura scrittoria di Renzo Cremona, per le intriganti formulazioni, le ricercate invenzioni, i felicissimi esiti lirici e sintattici, che magistralmente egli crea e schiera.
La raccolta si apre col testo la città.
Comune di circa 70.000 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia, porto commerciale sul Mediterraneo, Trapani, la sua economia si basa oggi sulle attività legate al commercio e al turismo, sulla pesca (già quella del tonno, con la mattanza), sull’estrazione e sulla esportazione del marmo. Posizionata nella parte occidentale della Siilia, nel promontorio dell’antica Drepanum in latino, dal greco Δρέπανον, falce, data la forma della penisola sulla quale insiste, è denominata “città tra due mari”.
Renzo Cremona ne allestisce una tersa, schematica icona:
monti alle spalle … palpebre rivolte a ponente … la città si risveglia quasi penultima. le vie si dispiegano verticali, salgono impazienti verso l’acqua … si fanno viaggi incagliati nel ricordo delle darsene, i viali strumenti del crepuscolo per infiltrarsi all’improvviso … nello sguardo dei passanti. fissando tenace nella memoria i luoghi dove finiscono le date ... sta la città ad attendere. aspetta di vedere il mare ed oscilla protendendosi come due scintillanti corna di lumaca assetate di mondo …
e con vivissimo acume, nella splendida figurazione sta in basso ... la città … eppure è in alto che guarda, ne recepisce e rilancia l’ansia del riscatto.
Un elemento distintivo della sua scrittura prorompe: in tutta la silloge, nomi e titoli compresi, Renzo Cremona non usa mai le iniziali maiuscole delle parole. Mai; nemmeno dopo il punto fermo.
Tappa obbligata per tutte le navi che solcavano il Mare Nostrum, mercé il suo attivo porto commerciale il sale trapanese raggiungeva ogni mercato del Mediterraneo.
Probabilmente impiantate dai Fenici, le saline di Trapani e le strutture elevate per la lavorazione del sale, fusesi nei secoli con il paesaggio naturale, hanno dato vita a un ambiente unico e suggestivo. Costituite nel 1995 in riserva naturale regionale e questa affidata in gestione al WWF Italia, con le sue peculiarità botaniche, la sua ricchezza faunistica, il suo patrimonio di storia e lavoro, le saline si estendono per quasi 1.000 ettari nel territorio dei comuni di Trapani e Paceco.
Ben visibili da Erice, affacci sugli allargamenti di sale si arriva via cielo, ma anche attraverso il mare, il che è la stessa cosa quando i colori non sanno esattamente come pronunciarsi e rendersi distinti gli uni dagli altri. linee che si formano su laghi di biancore … i cristalli del cloruro ammaliati dai bagliori del sodio ... un mulino di quando in quando … lì la natura sembra tacere dietro un cenno di imbarazzo salmastro.andosi verso le Egadi, da esse Renzo Cremona trae impulso per il secondo testo:
non ne parlano più neanche i documenti. si pensava … che fosse già stato demolito e qualcuno ne ha persino messo in dubbio l’esistenza. allora sono state le maree dello sgomento a dettare legge, era la prima nave all’orizzonte a far crescere aguzzi i rovi della paura. si costruì in fretta, tanto eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare. ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura. fatichiamo ancora oggi ad attingere memoria di quei tempi.
Ecco delineato, in essenziali incisive pennellate, il terzo frammento di questa suite: il bastione dell’impossibile.
In fondo alla via XXX Gennaio con angolo in via Ammiraglio Staiti, eretto dagli Spagnoli nel XVI secolo, sorge maestoso il Bastione dell’Impossibile. Il nome deriva – secondo Mario Serraino – dal fatto che la sua imponenza rendeva impossibile un’agevole penetrazione dentro il recinto urbano delle forze ostili, ponendo un robusto argine alle incursioni dei pirati.
Il passo: eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare, richiama alla mente l’espressione “Mamma li Turchi!” Il grido Mamma li Turchi ha origine dal fatto che, dal 1400 al 1600 circa, le popolazioni rivierasche dell’Italia meridionale sono state periodicamente “visitate” dai pirati ottomani, che depredavano le città, commettevano ogni sorta di razzie, saccheggi, stupri e barbarie e catturavano indifferentemente uomini e donne che poi avrebbero rivenduto come schiavi. Allorquando da terra venivano avvistate le navi ottomane, veniva lanciato questo grido di allarme, che da allora è diventato sinonimo di pericolo imminente. Con “Turchi” – attesta Giuseppe Di Marzo, in Cu’ avi rinari, fa varchi e navi! Echi dialettali della vecchia Trapani del 2003 – si etichettavano indistintamente tutti i maghrebini, nostri dirimpettai, di pelle scura.
E dunque, un tempo che non è più, che non è mito ma ne assume il sigillo nelle pagine di Renzo Cremona, torna a rivivere e nell’oggi, più che a una storia del passato ripetuta, assomiglia alla ri-creazione di un’epoca favolistica: ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura … se sia davvero esistita.
Innegabilmente, quando venne a Trapani la prima volta e verosimilmente anche quando vi mise piede la seconda, Renzo Cremona non se ne sognava lontanamente gli sviluppi. E allora, fatte salve le nostre spicce osservazioni, qual è stata, è lecito domandarsi, la genesi delle varie “cartoline”?
Attingiamo, daccapo, a detta esauriente intervista: “Certo i luoghi fisici – afferma egli – sono stati il punto di partenza delle “cartoline”; per cui alcuni posti li ho raccontati effettivamente per quello che ci ho vissuto quando li ho visti; altri per storie che ho immaginato avrebbero potuto essersi svolte in quella cornice; altre volte, invece, sono state le parole ispiratemi dai luoghi ad avere creato un loro spazio e ad avere preso la forma di un luogo trapanese”.
“Durante una passeggiata serale con i miei amici trapanesi mi fu indicato – rammenta Cremona – un edificio diroccato ai margini di viale Regina Margherita; mi fu suggerito che i lacerti di quella casa avrebbero potuto forse ispirarmi. Così è stato. Un episodio frutto della compenetrazione di mondi verificatisi e mondi mai verificatisi che solo la parola permette; ma un episodio assolutamente reale nell’universalità della storia che descrive. Senza quella “scala interrotta”, senza quei muri che solo lì esistono e solo lì hanno ragione d’essere, la “cartolina” non sarebbe stata trapanese, ma di qualsiasi altro luogo.”
E, sentiamo doverosamente di aggiungere, la scala interrotta (in questa circostanza, peraltro, la cartolina abdica alla propria specificità in favore della lettera), nella trasfigurazione concepitane e realizzatane da Renzo Cremona, è assurto a uno fra i testi più belli, riusciti, vibranti di tutta la silloge!
ti ho scritto una lettera. per farlo, ho chiesto a quello di me che non comprende cosa sia la vergogna di allacciare le parole al sangue e di farle addormentare sulla carta. ti ho scritto una lettera e l’ho ripiegata. per farlo, ho chiesto a quello di me che ti conosce di usare … parole che non possono essere fraintese. ti ho scritto una lettera e ho accarezzato l’indirizzo prima di abbandonarla. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa dove abiti di non perdere la speranza e di farsi strada tra le macerie e le bombe. ti ho scritto una lettera e l’ho consegnata. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa camminare di raggiungerti nella casa dove i giorni ti hanno ricoperto di oblio. ti ho scritto una lettera e sono, alla fine, qui sulla tua soglia. per farlo, ho chiesto a quello di me che non ha paura del tuo silenzio di fartela avere, di scordare i gradini, di salire le scale. ho preso tutti i miei anni in un abbraccio, questa lettera.
Benché essa non la prima in ordine di apparizione nella raccolta, la badia nuova in via garibaldi è la prima “cartolina” che Renzo Cremona ha scritto.
“Una sera di luglio del 2010 – confessa egli nella plurimenzionata intervista – monsignor Liborio Palmeri propose di visitare questa bellissima chiesa. Accettammo. Si era svolto un matrimonio e l’impresario addetto al trasporto dei fiori stava sgomberando. La moglie lo attendeva seduta su una delle panche del fondo. Il caldo della giornata non si era ancora placato del tutto. Quello che racconto è quello che è successo, né più né meno. La scrissi sui monti di Asiago, qualche giorno dopo il mio ritorno al Nord.”
entrammo. stavano delle donne, accanto alle loro presenze residue, sedute davanti agli inginocchiatoi. la moglie, ricoperta dalla colla di un pomeriggio madido di traspirazioni, aspettava su una sedia. scaturiva … un senso di gradinate e di febbre che stentava a rimanere in equilibrio. la calura bolliva sulla sommità delle sopracciglia.
Si fa largo e s’impone un aspetto di primo acchito poco percettibile. Renzo Cremona si esprime sovente usando le forme dei verbi alla prima persona plurale (anche col soggetto sottinteso), con ciò palesando un ammirevole senso di appartenenza, di comunione affettiva e spirituale alla comunità della quale discetta: entrammo; eravamo sicuri; fatichiamo ancora oggi; eravamo finiti impigliati; guardavamo le case; noi nuotavamo sul fondale. Egli mostra di compenetrarsi, di ricomprendersi in quella comunità come fosse uno di loro (uno di noi, per meglio dire), un trapanese e ne condivide tempo, spazio, emozioni: fummo dietro alla torre; noi eravamo fermi; noi non sapevamo i nostri veri nomi; eravamo morbidi; vedevamo l’incendio; fummo in un attimo zattere; raccoglievamo foto; ci fermammo a guardare; tacemmo e ci affidammo agli occhi; guardavamo altrove; noi imparammo lì a prenderci cura di noi stessi; constatammo la loro presenza; ci interrogammo sul senso delle barche; constatammo la loro presenza coatta; preferimmo rimanere sul bordo dei nostri occhi.
Cos’è la poesia?, ci si chiede da sempre. È la scansione in versi? È il metro? È l’argomento? È …? Per quanto la definizione sostanzialmente sfuggente, se ne riportano talune autorevoli: “La poesia è magia. Il poeta è un sacerdote di riti misteriosi”, Stephane Mallarmé; “La poesia non deve dire ma essere”, Archibald McLeish; “La poesia è un perfetto universo di parole”, Anonimo.
“Mi è capitato – considera Renzo Cremona –, dopo alcune letture pubbliche, che le persone che avevano acquistato un mio libro si meravigliassero di non trovare le parole disposte in versi. Io rispondo che il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, non l’uso delle maiuscole o di altri elementi puramente visivi della pagina scritta; trovo che questa forma risponda meglio ai ritmi con cui si distribuiscono le parole nella mia scrittura”.
Di certo non azzardiamo aggiungere alcunché e, nel caso in esame come in altri, facciamo nostri gli assunti di Benedetto Croce: “Della Poesia non se ne può dire niente tranne che riconoscerla” e di Thomas Stearns Eliot: “La poesia può comunicare anche prima di essere capita”.
caletta san liberale e torre di ligny, due delle tappe/cartoline, si situano a un tiro di schioppo l’una dall’altra:
la notte si era affacciata con reti di umidità dal mare. le voci … avevano bordi pericolanti come tetti di edifici in procinto di crollare. il vento si portava via qualche parola … mangiandosi la coda dei nostri discorsi. l’orlo delle onde … si disarticolava sfasciandosi come chiglie immaginarie contro qualche scoglio della mezzanotte.
c’è un camminamento alle estreme regioni della città che porta i passi a sfiorare i confini. il mare lo cinge da entrambi i lati infiltrandosi con urla di salsedine. il pensiero ultimo della terra che abbandona se stessa.
Là dove la città si assottiglia, sugli scogli che formano la prosecuzione della stretta lingua di terra della città antica, tra il mar Tirreno e il canale di Sicilia, sorge la Torre di Ligny. Venne eretta nel 1671, durante la dominazione spagnola della Sicilia, su ordine del generale belga ClaudeLamoral, principer di Ligne, a difesa della città dalle incursioni dei corsari barbareschi.
dall’alto vedevamo l’incendio che era stato fatto … il silenzio nero della terra offesa. mentre le cabine salivano … si faceva ... la vista più larga, gli occhi … sempre più spalancati.
Inaugurata l’8 luglio 2005, la funivia Trapani-Erice collega il capoluogo con Erice, sull’omonimo monte a 751 metri sul livello del mare.
Ci si riallaccia, così, ai primordi di questa avventura. Ma stavolta Renzo Cremona, lungo il tragitto, fra un pilone e l’altro, ha suo malgrado modo di constatare le devastanti conseguenze della piaga degli incendi estivi. Nonostante ciò, che meraviglia, che magnificenza, che estatico spettacolo della Natura il panorama mozzafiato che si schiude a beneficio di chiunque, trapanesi e non, mediante la cabinovia per erice vetta o con altri mezzi, raggiunga Erice vetta!
Il percorso guidato di Renzo Cremona alla scoperta della città e dei suoi dintorni non ammette tregua e non conosce distanze e, dopo Erice vetta, i suoi occhi catturano altri seducenti scatti: il baglio; il sanatorio abbandonato; le mura di tramontana; bastione conca; la scala tra le mura di tramontana e via libertà; porta ossuna.
le labbra si accostavano timorose agli altari del nostro silenzio. i passi vibravano sul pavimento delle nostre vene. compariva, dalle fenditure, la vera geografia che la vita aveva deciso per noi.
il cortile è deserto, stretto nella morsa della ruggine tra i cancelli e i cigolii del tempo. tiravamo sempre giù le tapparelle, quando eravamo qui. il vento abitato da tormenti strani e febbricitanti ... conversavamo a bassa voce. non ci destavamo mai dal nostro sonno quotidiano. non chiedevamo niente, se non di stare al sole. i giorni ... erano sempre voltati dall’altra parte.
il mare di fronte, al fianco e alle spalle … i mesi hanno taglie sulla loro testa. e il mio desiderio di rialzarmi … giace … sconnesso tra i cernecchi della memoria, infilzato dal silenzio, costretto ad agonizzare tra le grate e le punte del ferro.
Per circa un chilometro, dalla Piazza ex Mercato del Pesce al Bastione Conca, le Mura di Tramontana facevano parte delle mura perimetrali della città. Vi si accede dalle due estremità o dalle scalinate che ne intervallano il tragitto e permettono di godere di uno dei panorami più affascinanti della città.
Cosa lo attrae nelle scale? Oltre a la scala interrotta, testo interamente indirizzatovi, le scale che portano in soffitta; le scale che portano in cantina; la scala tra le mura di tramontana e via libertà; le scale dalle quali pendevano i lacerti di un mondo di ruggine; scendi per le scale, mamma si annoverano. Sottintendono esse, con i loro reiterati saliscendi, il metaforico susseguirsi dei giorni per un destino che inesorabile scorre fino a rivelare l’assenza della felicità?
ai confini della città ci interrogammo sul senso delle barche. gli sterpi e i cespugli, padroni ormai di quel silenzio, non riuscivano a vedere sull’acqua le imbarcazioni che passavano. ci fermammo ad osservare tracce di chi prima aveva abitato quel luogo. pendevano quasi senza forma i lacerti di un mondo di ruggini e metalli ritorti. le case … erano intente a cucire con fili spinati il doloroso tessuto di separazione che il mare aveva loro imposto.
“Durante la mia visita a Trapani alla fine di settembre del 2010 – riprende Cremona – feci, assieme ad alcuni amici, una gita alla Colombaia. Come tutti i posti abbandonati nei quali si continua ad avvertire la presenza di chi li ha abitati, la Colombaia possiede il fascino ammaliante di quegli spazi della memoria nei quali dimoriamo cercando di riallacciare i fili di qualche pomeriggio perduto per sempre dentro di noi. È come se rappresentasse una vita al crepuscolo, o come se fosse l’immagine del nostro animo poco prima dell’imbrunire: è l’attimo in cui si avverte tutto il peso di un’esistenza affaticata, come se ne avvertono le occasioni mancate, i fili strappati, le scuciture mai più ricomposte; allo stesso tempo, però, è come se si insinuasse dentro di noi un inizio di riconciliazione con tutto ciò che è stato, quasi i dolori si stessero sedimentando sul fondo e noi contemplassimo le nostre vite con il distacco che solo dopo la fine di un dolorosissimo fortunale si riesce ad avere. Le parole dell’episodio non sono creazione letteraria ma rispecchiano esattamente la meraviglia incantata che si stava spalancando davanti ai nostri occhi.”
Isolotto posto all’estremità orientale del porto di Trapani, la Colombaia (dal greco peleia, colomba), i primi documenti storici ne fanno risalire l’origine al tempo della Prima Guerra Punica. Ricostruita nella attuale forma ottagonale dagli aragonesi, intorno al 1400, durante il regno di Carlo V divenne fortificazione militare per difendere la città dalle incursioni barbaresche e, dopo i moti del 1821 e fino al 1860, venne adibita dai Borboni a prigione che ospitò i patrioti siciliani del Risorgimento. Caduta in stato di abbandono dopo il 1965, anno di apertura del nuovo carcere, nel 2009 entra a far parte del Fondo per l’Ambiente Italiano e nel 2010 passa da bene dello Stato a bene della Regione siciliana.
E con i misteri, il testo più lungo della collana, siamo giunti all’epilogo. Prima, però, riteniamo opportuno destinare qualche riga al nostro autore.
Nato nel 1971 a Chioggia, dove vive, laureatosi nel 1995 in Lingua e letteratura cinese presso l’Università di Venezia, Renzo Cremona è insegnante e consulente linguistico. Traduttore di testi letterari dal cinese classico e moderno, dal neogreco, dal portoghese e dall’afrikaans, ha pubblicato: Foreste sensoriali (1993); Lettere dal mattatoio (2002); La pergamena delle mutazioni (2002); Cronache dal centro della notte (2004); Tutti senza nome (2006); Piscine (2007); Il canone del tè (2007); Plays (2007); Oz (2008); Tundra (2009); Dei vizi e delle virtù (2010); Neve (2011); cartoline da trapani (2013), nonché le antologie bilingue in italiano e neogreco Sedici settimane / Dekaxi vdomades (2007) e Suites (2008) entrambe con Keti Màraka. È impegnato, inoltre, in reading e recital, in Italia e all’estero, destinati a “togliere dagli scaffali le parole scritte per avvicinarle a un pubblico di appassionati sempre maggiore”.
è l’alba di un giorno lungo, mamma. le lancette degli orologi non avranno braccia abbastanza grandi per coprirlo. cos’è questo scirocco che apre le finestre? dal fondo del vicolo arrivano le figure. ho paura delle figure. ho paura che abbiano la mia faccia. si trascinano, ondeggiano, vacillano … si spingono su per le strade. girano gli angoli e s’incastrano sempre più nelle budella delle città. la folla … è un mare che bolle sotto il vento. l’ordine si è fatto bolgia, la musica frastuono … il delirio forme. cosa vorrà mai dire questo mistero di festa e di sangue? i portatori … verranno a strapparti dai miei piedi … ci sarà solo silenzio, poi … la città si farà sepolcro.
Nel novero delle cartoline, i misteri sono l’unico non luogo. Essi costituiscono, difatti, un evento verbale, un avvenimento corale nel quale autentico fervore mistico, genuino trionfo di popolo, trama intessuta dell’incombenza della morte si fondono e, lungo ventiquattro ore, si accompagnano a un convulso proteiforme mélange costituito da figure inquietanti e d’armi, da fili d’argento e corbelli di fiori, da gravi “annacate” bandistiche, in uno scenografico format in perenne equilibrio su una colata ultrasecolare di fideistica cera corrotta da rituale caccavetta e simenza.
Rappresentazione artistica della passione e morte di Cristo, la processione dei misteri è una processione religiosa che si svolge a Trapani da oltre 400 anni. Composta da venti Gruppi, si avvia dalla Chiesa delle Anime del Purgatorio, con inizio alle ore 14.00 del Venerdì Santo, per concludersi, dopo avere percorso le principali vie cittadine, ventiquattro ore dopo.
L’interrogativo che, sin dall’incipit: è l’alba di un giorno lungo, mamma (ma, il vocativo attraversa tutto il testo: gridare non ti servirà a nulla, mamma; per le scale, mamma; ho paura della notte, mamma; le figure sono ormai statue, mamma; i tamburi li senti, mamma?; ci sono fiamme, mamma; tra breve tutto sarà finito, mamma), abbiamo ritenuto di doverci porre è: chi è il figlio estensore della missiva?
Varie ipotesi sono state vagliate. In ultima analisi, la risposta più quotata è stata che quel figlio sia giusto l’autore, il quale tanto ha finito con l’immedesimarsi nella rappresentazione che ha vissuto e sta narrando da assumerne su di sé il ruolo centrale.
Ci conforta in questa interpretazione lo stesso Cremona: “Quanto accade, accade attorno a te, dentro di te, assieme a te, perché in quelle lunghe ore tu sei parte di tutte le vite che popolano questo pianeta, ne senti e ne vedi rappresentato un paradigma esistenziale”.
Un ruolo allora, per riprendere, che è cruciale, è il più duro, è esclusivo; è quello del Cristo.
Un Cristo che è Dio ed è carne, e di Dio è figlio e altresì della carne, e quale figlio (un po’ ripercorrendo “quel” calvario), in procinto di compiere l’atto estremo del suo passaggio terreno, non manca di rivolgersi alla madre: cercheranno in te quegli occhi che hanno spento in me; vengono … mi prendono … non mi porteranno più a casa; tra breve tutto sarà finito.
Peraltro lo stralcio, pure un po’ inquietante ma emblematico: ho paura che abbiano la mia faccia, (che avvalora l’identificazione del Nazareno con l’uomo, con ciascun uomo, con l’intera umanità) pare messo lì apposta per confermarcelo.
Come nel giorno del Venerdì Santo il procedere delle vare, il ritmo della “cartolina” è incalzante, ci avviluppa nello spiegarsi delle sue spire, lo scirocco (contrassegno climatico della Sicilia) che vi soffia vorticoso ci riduce boccheggianti.
“Dentro la mia testa – registra Renzo Cremona – fremevano le immagini della processione. Volevo che questo fremito si sentisse nelle parole e, dato che i luoghi sarebbero diventati parole loro stessi, desideravo trovare un modo per trasformare quest’esperienza e convertirla in segno scritto. Mi convincevo che l’unico modo era un turbolento, caotico e divorante flusso di coscienza, un giardino di suoni dai quali emergessero sì quelli che erano i veri Misteri – la processione, le statue, il percorso, la conclusione all’interno della Chiesa del Purgatorio –, ma anche i miei Misteri, la mia prospettiva, la storia personale che si agitava sotto. Volevo che i Misteri parlassero trapanese. Mi è stato indicato Marco Scalabrino, che ha fatto tesoro della sua sensibilità e della sua esperienza di traduttore per traghettare le mie parole. Mentre l’episodio avanza e il flusso della processione si fa sempre più magmatico, la presenza del dialetto siciliano diventa sempre più dilagante, finché non occupa tutto lo spazio rimasto.”
Renzo Cremona e la città di Trapani hanno stretto alleanza!
La piena simbiosi instauratasi (I miei amici trapanesi – suffraga egli – mi hanno accettato, mi hanno fatto sentire a casa, di appartenere a questa città) è sfociata col ricomprendere anche il codice espressivo e il poeta ne ha funzionalmente adottato il linguaggio. Taluni passi de i misteri sono, infatti, in dialetto siciliano (e in dialetto siciliano, addirittura, il libro si chiude: sunnu carizzi chi la fudda si manciau e si tinni pi idda). Passi che si fondono in tutt’uno con l’italiano e, in virtù della icasticità propria del dialetto, contribuiscono a rendere con maggiore scrupolo, veridicità, vivezza l’atmosfera dei Misteri e a trasferire integralmente la totale immersione dell’autore, che li ha vissuti - l’uscita, il percorso, l’entrata, il contesto -, con ogni disposizione di cuore, di intelletto, di spirito, in prima persona, giorno e notte.
Nel corso delle narrazioni, intrise di rimandi simbolici, tutta una serie di pregevolissime invenzioni e di mirabili esiti lirici, inoltre, si dipanano.
Ne riferiamo, solo a mo’ di esempio, alcuni: una prua malata di nostalgia che tiene gli occhi confitti nel tramonto; il mare ci costringeva a rimanere seduti sopra la nostra fretta; le nostre dita si erano rattrappite a forza di annodare il vuoto dei secondi; i nostri pensieri avevano abiti che non riuscivano a chiudersi; il monte, alle nostre spalle, si stava coprendo di nubi di cui non voleva parlare; il tempo aveva lasciato alcune biciclette sugli orli dei nostri occhi; i gomiti del tempo erano colmi di polvere; i margini dell’isola si stavano lentamente accartocciando come gli orli di una mappa antica sopraffatta dalla luce e dal fuoco.
Ad essi si associa un impiego accorto delle figure retoriche delle quali Renzo Cremona si avvale: l’anastrofe: sta la città ad attendere; la similitudine: i nervi tremavano come lucertole a cui avessero mozzato la coda; l’accumulazione: la litania dei gradini … l’invocazione delle ringhiere … il tempo delle suppliche e dei corrimano.
E non bastasse, un percorso anulare, dall’incipit con il giorno era stato caldo alla chiusura con un’antica icona bruciata, nel testo il baglio, Renzo Cremona imbastisce.
Appressandoci alla conclusione, ulteriori residue osservazioni.
Essere cittadino del mondo! Questo sentire proprio di Renzo Cremona (il suo studiare le lingue, dal cinese all’afrikaans, dal portoghese al neogreco, è la dimensione pratica di questo sentire) gli ha consentito, nel suo peregrinare artistico, di approdare a Trapani, di ravvisarne gli ambiti più magici e di fare assurgere il suo “personale diario di viaggio” a contenuto universale per un percorso poetico, cartoline da trapani, che suscita emozioni nel cuore di ciascun trapanese e ancor più di ciascun lettore;
– c’è una sorgente di acqua fredda, vicino al mare, che si infiltra attraverso i piedi fino al largo. Per l’evidente singolarità del trattino che precede ciascheduno dei versi, canone di baia cornino, questo testo, lo spunto principale che se ne trae è che esso sembra approntato per la lettura a più voci, così che l’una possa susseguire e sovrapporsi all’altra;
da qualsiasi parte ci si volti, il mare. è là, che circonda, che abbraccia. ci lambisce. naviga nei nostri giorni. In via torrearsa, gli sono sufficienti quattro righe per rilevare una fra le caratteristiche salienti della città di Trapani: l’essere in mezzo a due mari visibili alle estremità di una stessa via;
in porta ossuna, tramite i versi del poeta, la città si è personificata e, resa oggetto animato, parla in prima persona: per chi si è abituato ad essere una città falcata, come me; io città dimentica dentro la città;
per quanto affermato dallo stesso Cremona in apertura: “le mie cartoline sono filtrate, seppiate, hanno una preponderanza di tempi passati”, se dovessimo per congiuntura tirare una stampa delle cartoline non potremmo che farla in bianco e nero. Perché soltanto il lucido contrasto, la patina tutelare, la soave malinconia del bianco e nero ne potrebbe rendere tutta la loro potenza evocativa.
Nella sua ideale visione della città di Trapani, Renzo Cremona l’ha collocata in una virtuale Hall of Fame e ne ha esposto memorabile, tradizioni, cimeli i più rappresentativi.
Egli ha aperto una finestra mediante la quale il mondo ne potrà scoprire lo spaccato migliore; ha magnificato la “sua” città, l’ha resa una diva e ne ha allestito un superbo portfolio: le cartoline ''.
Al termine della relazione ha fatto seguito un breve dibattito alla fine del quale la Prof.ssa La Via, dopo aver ringraziato la Prof.ssa Fulco ed il Dott. Scalabrino per l'interessante tema trattato che specificatamente riguardava la nostra bella città di Trapani vista ed apprezzata con gli occhi dei turisti e dei visitatori che in essa approdano, a ricordo dell'incontro ha fatto loro omaggio del libro di S. Costanza '' La libertà e la roba - L'età del Risorgimento ''.
L'incontro si è concluso con l'arrivederci a sabato 12 ottobre 2019 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo appuntamento previsto dal calendario delle attività del XXXIII Corso di cutura per l'anno 2019.