2019 - 10 - 26: Ing. Stefano Cascio - La rivoluzione del '48 nella Valle del Belìce
Sabato 26 ottobre 2019 alle ore 18.15 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita a Trapani via Vepri 32 con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti si è tenuto il settimanale incontro come previsto dal programma delle attività culturali del XXXIII Corso di cultura per l'anno 2019.
Come di consueto, i lavori della serata sono stati aperti dal Presidente, Prof. Salvatore Valenti, che ha comunicato ai presenti che invece del Prof. Giuseppe Carlo Marino, impossibilitato ad essere presente, avrebbe relazionato l'Ing. Stefano Cascio che, tempestivamente contattato, si è reso disponibile per anticipare il suo intervento previsto dalla programmazione delle attività per sabato 30 novembre 2019.
Pertanto, brevemente presentato il relatore, appositamente venuto da Partanna dove in serata avrebbe fatto ritorno, e l'argomento della serata, gli ha ceduto la parola.
L'ing. Stefano Cascio, libero professionista, oltre a quanto attiene alla sua professione, è anche studioso della storia del suo paese, Partanna, ed ha pubblicato diversi volumi in merito tra cui quello di cui avrebbe parlato nel corso dell'incontro ovvero '' Partanna e la rivoluzione del 1848 nella Valle del Beììce - Lotta per il potere tra massari, cappeddi e protomafiosi '', di recente pubblicazione, argomento che, interessando la storia Sicilia, ben si inserisce nei suoi fini culturali.
I suoi scritti sono storicamente documentati da una accurata documentazione che lo stesso ha ritrovato nel corso delle sue ricerche negli archivi di Stato, notarili, parrocchiali e diocesani sparsi sul territorio.
Si riporta di seguito una breve sintesi liberamente tratta da quanto riferito dall'Ing. Cascio che ha integrato la sua esposizione con la proiezione di una serie di diapositive a corredo di quanto via via esponeva che, gentilmente resa disponibile, si riporta alla fine di queste note.
Nella prima parte della sua relazione l'Ing. Cascio ha fatto una rapida esposizione dei fatti storici che contraddistinsero ed interessarono la Sicilia in quel periodo.
La rivoluzione del 1848, si può dire, ebbe inizio in Sicilia il 12 gennaio 1848, giorno del compleanno di Federico II delle Due Sicilie, e fu preannunziata pubblicamente ed anticipatamente da manifesti e volantini che incitavano i palermitani ed i siciliani alla rivolta. Non fu la prima di quel periodo e può anche essere vista come l'inizio del processo che poi portò, dopo il 1860, all'unificazione d'Italia.
Ad essa presero parte anche i rappresentanti di alcune delle famiglie più in vista di Trapani.
Essa ben presto si estese anche all'Europa con il nome di' 'Primavera dei popoli' 'e gli sconvolgimenti che produsse hanno eco ancora oggi con varie allocazioni quali: '' successe un 48 '', '' andare a carte e 48 '', ecc. .
In Sicilia essa terminò il 15 maggio 1849 con la caduta di Palemo sotto l'avanzata del generale Carlo Filangieri e la restaurazione del regno dei Borboni.
La rivoluzione scoppiata a Palermo ben presto si propagò a tutta l'isola e nell'arco di un mese fu proclamato un governo provvisorio che rifiutò la proposta di Ferdinando di concedere una Costituzione sul modello di quella del 1812. I Borboni, ritirandosi, restarono in Sicilia solo nella roccaforte di Messina
Il 25 marzo dopo le elezioni fu proclamata la nascita dello Stato di Sicilia ed inaugurato il Parlamento. Il 10 luglio 1848 fu proclamato il nuovo Statuto costituzionale del Regno di Sicilia che prevedeva due camere elettive da parte dei cittadini maschi che avessero 21 anni e che sapessero leggere e scrivere. Esso concedeva anche la libertà di stampa, di parola e di insegnamento per tutti. La corona fu offerta a Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia che però rifiutò.
E 'da precisare che il 4 marzo 1848 Carlo Alberto di Savoia aveva nel frattempo promulgato lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia sotto la spinta dei movimenti popolari che si erano fatti via vi più pressanti. Esso fu poi abbrogato solamente nel 1948 con la proclamazione della Repubblica.
La diversa visione del futuro e forti contrasti all'interno del Parlamento in seguito allo scoppio della rivoluzione portò al fallimento del nuovo progetto.
Nel settembre del 1848 Messina fu sottoposta ad intensi bombardamenti da parte della flotta borbonica ed ai primi del 1849 l'esercito delle Due Sicilie iniziò la riconquista dell'isola sotto il comado del generale Filangieri.
Il 28 febbraio 1849 Ferdinando II proclamò una tregua ed indirizzò ai Siciliani un proclama con cui prometteva un nuovo Statuto ispirato ancora a quello del 1812 ed un proprio parlamento. Esso non fu accettato ed il 19 marzo ripresero le ostilità. Le milizie rivoluzionarie costituite dalla Guardia Nazionale composta per la maggior parte da persone poco avvezze al maneggio delle armi poco poterono contro le truppe borboniche.
Il 14 aprile, nonostante il Parlamento avesse accettato tardivamente le proposte precedentemente fatte da Ferdinando, una squadra navale presentatasi davanti al porto di Palermo ingiungeva la resa. Il 15 maggio il Filangieri prese Palermo ponendo fine alla rivoluzione avendo nel frattempo Ferdinando II concessa l'amnistia. Da essa furono esclusi 43 patrioti alcuni dei quali si rifugiarono a Malta ed in altri stati europei.
Molti di essi poi si adoperarono attivamente nell'organizzazione della spedizione dei Mille ritornando definitivamente in Italia dopo il 1861.
Fatta questa premessa, l'Ing. Cascio è passato a descrivere la situazione socio-economica in atto nei paesi della Valle del Beliìce prima dell'inizio della Rivoluzione.
I paesi dell'entroterra siciliano non erano fra loro collegati da strade normali e quindi erano praticamente isolati. Ognuno di essi aveva particolari peculiarità, tanto che spesso ogni paese era definito come uno stato, con parlata, usi e costumi diversi che davano luogo ad accesi campanilismi, ed ancora per andare da un paese all'altro occorreva il possesso di una '' carta di passaggio '' in mancanza della quale era impossibile viaggiare ed in definitiva spostarsi liberamente. Le città erano inoltre dotate di una cinta muraria con diverse funzioni fornite da porte e chi le attraversava trasportando beni di consumo era assoggettato al pagamento di un dazio.
L'organizzazione del territorio prevedeva:
- un Intendente generale del Re, nominato dallo stesso, per ogni provincia a cui erano sottoposte per essere approvare tutte le decisioni dei vari Comuni, nonchè un sottointendente per ogni città più grande.
Ogni comune a sua volta aveva un Sindaco, un giudice, un arciprete, un decurionato, un corpo delle guardie non comunali responsabili dell'ordine pubblico ed una lista degli elegibili.
L'iscrizione nella lista degli elegibili era consentita ai proprietari, agli esercenti professioni liberali, ai capi officina, ai padroni di bottega e ai coltivatori di terreni in proprio ed era subordinata al possesso di un reddito, minore se derivava dalla proprietà di beni, maggiore se derivava dall'esercizio di professioni liberali, che dipendeva quindi dal ceto di appartenenza e dal censo sociale.
Da tale lista per sorteggio si formava poi il decurionato che a sua volta sceglieva una terna di nomi. Sia il decurionato che la terna di nomi era poi sottoposta all'approvazione dell'Intendente. Dalla terna dei nomi egli poi nominava, sentito il parere dell'arciprete, il Sindaco a cui era devoluta l'amministrazione civile del territorio di sua pertinenza.
Da questa procedura si può dimostrare come gli interventi dovevano essere subordinati alla approvazione della Monarchia.
Il giudice, di nomina regia, somministrava la giustizia e talvolta le pene venivano applicate pubblicamente a monito della popolazione.
L'Arciprete era nominato dal vescovo che a sua volta interpellava il sindaco del paese per la sua scelta. Al clero era in genere affidata l'istruzione diei figli dei cittadini più agiati nonchè, alla popolazione, l'insegnamento religioso ed i ruderi del vivere civile.
Il corpo delle guardie era responsabile dell'ordine pubblico. Il sindaco nominava un capitano d'armi che a sua volta sceglieva gli uomini sottoponendoli al giudizio del decurionato. Il corpo delle guardie era responsabile dei danni che i cittadini subivano da parte delle bande armate che scorazzavano indisturbate sul territorio. In pratica però si instaurava un circolo vizioso perché il cittadino che aveva subito il danno veniva successivamente avvicinato da un mediatore che gli suggeriva la possibilità di avere indietro il maltolto pagando una sorta di riscatto cosa che poi di fatto si verificava. Il derubato non sporgeva denunzia alla autorità giudiziaria per cui risultava che sul territorio tutto andava per il meglio.
I contadini erano il ceto più numeroso. Essi si relazionavano con i proprietari terrieri attraverso la gabella, la mezzadria, la colonia parziale o solo mediante la prestazione d'opera. Si distinguevano in borgesi, contadini e iurnateri. Su di essi gravavano il dazio per i beni portati in paese e il dazio comunale sul macinato.
La società nel suo complesso era rigidamente stratificata ed era pressocchè impossibile elevarsi al grado superiore anche se si era conseguita una certa istruzione.
Si potevano poi ancora distinguere:
- i gabelloti che appaltavano dai grandi proprietari terrieri grandi estensioni di terreno da cui ricavavano grandi profitti a scapito di chi li coltivava
- i cappeddi o galantuomini che appaltavano in genere la riscossione dei tributi e gestivano l'amministrazoone locale e portavano il cappello
- il proletariato in generale che portava invece la classica coppola
- i notabili, costituiti dalle classi abbienti che avevano il predominio sul resto della società
- i manutengoli che esercitavano o subivano a secondo dei casi varie funzioni quali mandanti della delinquenza oppure vittima o cittadino che resta sulla soglia della normalità fornendo informazioni o prestandosi a scambi non legali
- i banditi e le bande armate di cui si dirà successivamente.
Le numerose bande armate che all'epoca scorazzavano sul territorio erano formate non solo da delinquenti ma anhe dai cosiddetti banditi ovvero di persone che per vari motivi non erano gradite alla corona e quindi messe al bando e che per sfuggire al loro arresto si davano alla macchia ed al banditismo.
Tuttavia altri gruppi di persone armate agivano sul territorio. Essi erano al soldo dei gabelloti ovvero di quelle persone che prendevano in gabella i terreni posseduti dai grandi latifondisti dietro il pagamento di una somma ( gabella ) per un periodo in genere di 6 anni che poi facevano lavorare ai braccianti agricoli ricavandone così talvolta enormi utili arricchendosi in tal modo alle spalle degli uni e degli altri.
Era tramite questi gruppi armati che i gabelloti proteggevano i loro interessi e che in caso di necessità, di controversie od opposizione non esitavano a compiere delitti ed uccisioni in quanto protetti per quanto facevano dalla legge.
In definitiva nella società di allora fra i borghesi già serpeggiava per vari motivi un qualche disagio che dai governanti borbonici era considerata come contestazione e talvolta come cospirazione con la conseguenza che era facile essere arrestato e deportato a domicilio coatto o essere dichiarato bandito.
Ciò detto l'Ing. Cascio è passato ad illustrare gli eventi che si verificarono nei vari paesi della Valle del Belìce dopo lo scoppio della rivoluzione.
La rivoluzione ben presto si estese a tutta la Sicilia ma nei vari paesi della provincia di Trapani in genere essa venne bloccata dall'intervento degli uomini armati dei benestanti che soprattutto temevano di perdere i loro privilegi.
Per loro l'evento fu anzi l'occasione per liberarsi in modo rapido di quelli che erano ritenuti i più facinorosi con la scusa che essi attentavano alla loro vita, ma in fondo in fondo i rivoltosi non chiedevano altro che la riforma del modo con cui veniva eletto il consiglio civico ed il sindaco.
Il Governo che si formò in seguito alla rivoluzione iniziò subito a modificare i vecchi ordinamenti amministrativi. Furono pertanto indette le elezioni dei nuovi Consigli civici ma la maggior parte dei loro componenti erano ancora gli stessi che governavano prima a cui si aggiunsero anche sacerdoti, artigiani e qualche borgese ma la loro presenza era solo riempitiva perchè il potere restò in sostanza nelle mani dei precedenti amministratori.
Con il ritorno dei Borboni le cose ritornarono immediatamente alla situazione che si aveva prima della rivoluzione e molte città e maggiorenti che per loro comodità vi avevano aderito si dichiararono sottomessi alla monarchia.
Ancora una volta, comunque, il generale Filangeri, nominato governatore (luogotenente generale) della Sicilia, nominò alle varie cariche le stesse persone e uomini di prima della rivoluzione ed ancora gli stessi rimaseo anche dopo il 1860 essendosi schierati nel frattempo contro i Borboni.
Il relatore ha quindi concluso affermando che la Rivoluzione del '48, che durò nel complesso 13 mesi, non produsse in definitiva alcuna variazione sociale e tutto restò come prima come se essa non si fosse mai successa.
Alla relazione ha fatto seguito un interessante dibattito a cui hanno parteipato molti dei presenti in sala.
Al suo termine il Prof. Valenti, dopo aver ringraziato l'Ing. Cascio per l'interessante tema trattato, a ricordo della serata gli ha offerto il libro di S. Costanza '' La libertà e la roba - L'età del Risorgimento ''. Il relatore ha ricambiato donando alla biblioteca dell'Associazione una copia della sua pubblicazione di cui ha fatto per motivi di tempo una circostanziata sintesi.
La serata si è conclusa con l'arrivederci a sabato 9 novembre 2019 alle ore 18.00 nei locali del sodalizio per il prossimo incontro previsto dal programma delle attività del XXXIII Corso di cultura per l'anno 2019.