2022 - 03 - 26: Dott. Salvatore Scandariato - Manzoni ritrovato

Sabato 26 marzo 2022 alle ore 18.20 nella sala delle riunioni dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 con la partecipzione di un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti ha avuto luogo l'incontro previsto dal calendario delle attività del XXXVI Corso di cultura per l'anno 2022 durante il quale ha relazionato il Dott. Salvatore Scandariato, socio da molti anni dell'Associazione, e quindi ben noto ai presenti, che attivamente ha sempre partecipato alle sue iniziative.














Pertanto, il Prof. Valenti, Presidente del sodalizio, dopo aver aperto i lavori della serata, ed aver presentato brevemente il tema del giorno, gli ha dato la parola.


Il Dott. Scandariato ha aperto il suo intervento ringraziando i presenti per la loro partecipazione e per l'affetto e la stima che gli sono state sempre manifestate in vari modi nel corso dei vari anni ed ha iniziato la sua relazione precisando che durante i suoi studi giovanili gli scrittori preferiti furono prima il Salgari dei cui romanzi era assiduo e vorace lettore e successivamente il Manzoni, di cui aveva approfondito la tematica, che in seguito però aveva dovuto abbandonare per motivi di lavoro.
Andato in quiescenza dopo 40 anni di servizio come funzionario presso l'INPS di Trapani, ha ripreso i suoi studi e da ciò è derivato il tema della serata
ovvero il '' Manzoni ritrovato ''.

Di tutte le opere dello scrittore, il relatore ne ha preso in considerazione solamente due: la tragedia dell'Adelchi, su alcune parti della quale si è  intrattenuto diffusamene intercalando anche alcune sue personali considerazioni ed i Promessi sposi su cui ha fatto solamente alcune semplici e futuristiche illazioni.

Si riporta di seguito una breve sintesi liberamente tratta da quanto riferito dall'oratore che nel corso del suo excursus ha puntualmente declamato mneumonicamente alcuni passi della tragedia.














A memoria di chi legge si ritiene opportuno, per una maggiore comprensione di quanto anche detto dal Dott. Scandariato inquadrare storicamente il dramma dell'Adelchi, si è nell'anno 774,  e riportarne una breve sintesi.


Ermengarda aveva sposato, per ragione di stato ma anche perchè innamorata, Carlo Magno  che l'aveva ripudiata non avendo da essa avuto a breve termine alcun figlio. La donna ritornata a Pavia dal padre Desiderio, re dei Longobardi, e dal fratello Adelchi aveva cercato invano di dissuadere il primo a vendicarsi dell'offesa ricevuta esortandolo anche a restituire al papa Adriano I i territori  sottrattegli, dallo stesso reclamati, per ottenere i quali si era anche rivolto a Carlo Magno re dei Franchi. A tale scopo il monarca aveva inviato a Desiderio un messo imponendogli la restituzione delle terre. Il rifiuto di questi a soddisfare la richiesta aveva prodotto lo scoppio della guerra e la discesa di Carlo in Italia che però era restato bloccato sulle Alpi a causa di una imprendibile posizione militare difesa dai Longobardi, a capo dei quali era Adelchi, che gli bloccava il percorso.
Carlo riuscìva però ad aggirare le difese longobarde grazie all'aiuto del diacono Martino che, inviatogli incontro dal vescovo Leone, aveva scoperto un nuovo passaggio e successivamente cinse di assedio Pavia, sede del regno.
Nel frattempo, Ermengarda, dopo essere stata ripudiata da Carlo Magno, da lei molto amato, si era ritirata  in un convento di Brescia, la cui badessa era la sorella Ansberga e là, già molto malata, apprendeva dalla stessa che Carlo Magno si era risposato per cui sconvolta ne morì di crepacuore.
Il tradimento di alcuni duchi consentìva a Carlo di entrare in Pavia e fare prigioniero Desiderio. Ferito mortalmente nella caduta di Verona che lui difendeva, Adelchi fu trasportato a Pavia dove morì cristianamente alla presenza del padre e di Carlo Magno. 

In questo contesto il relatore dopo avere descritto sinteticamente l'epoca e gli eventi storici in cui la tragedia era stata inquadrata dal Manzoni, ha riportato e declamato fedelmente, e per buona parte a memoria, il racconto che il Diacono Martino fece a Carlo Magno del suo viaggio prima di aver trovato il suo accampamento.

Proseguendo nella sua esposizione l'oratore prima di declamare integralmente e con passione quanto detto dal coro nel terzo atto della tragedia ha identificato negli italici il primo personaggio della stessa in quanto anche se ridotti in schiavitù dai Longobardi in loro era rimasto ancora un pizzico d'orgoglio della passata grandezza ed una pur incerta consapovolezza di possedere una qualche superiorità culturale. 
E' innegabile però che in pratica fra conquistatori e conquistati vi sia stato sempre successivamente uno scambio interculturale da cui ognuna delle due parti aveva dato e ricevuto un contributo talvolta anche significativo.

E' stato anche evidenziato che nella struttura del coro è possibile distinguere tre parti: nella prima sono descritte le condizioni in cui si trovavano gli italici,  nella seconda le quelle relative alla discesa dei Franchi in Italia e nella terza viene evidenziato che sostanzialmente nulla era cambiato a causa della guerra perchè in ogni caso vinti e vincitori continuavano a gravare insieme sul collo degli schiavi italici in quanto tali erano rimaristi in ogni caso a dispetto della speranze che in essi erano nate di migliorare la loro sorte.
E' stato precisato anche che di questo coro ne esistono due versioni: una come scritta e pubblicata dal Manzoni vivente in obbedienza alle imposizioni della censura austriaca ed un'altra come scritta originariamente e non modificata pubblicata dopo la sua morte.

Continuando nella sua esposizione il relatore ha presentato il secondo personaggio della tragedia ovvero Ermengarda che ha ritenuto essere lo stereotipo della figura femminile che dai tempi bui del medioevo è pervenuto fino a noi pressappoco inalterato giustificando quanto affermato sulla base delle seguenti considerazioni.

Il paganesimo praticato nell'epoca greco-romano aveva posto la donna sull'altare esaltandone la bellezza in senso totale con l'eros inteso come la forza capace di creare la vita che vinceva anche sul thanatos che rappresentava la morte e la distruzione che il primo era capace di generare.
Il cristianesimo, che ad esso succedette soprattutto nel mondo occidentale, continuò ad esaltare la donna ma mettendone in evidenza altre doti come l'umiltà, l'obbedienza, la carità, la verginità ovvero qualità che si riferivano al bene più che al bello e con la condizione che essa non fosse guardata con desiderio. 
Anche le predicazioni esaltarono la sessuofobia ed il sesso divenne innominabile se non addirittura detestabile in contrapposizione a quanto riportato nella Genesi in cui era scritto che ''.....maschio e femmina li creò ed i due saranno una carne sola ''. Il trascorrere del tempo portò all'oblio di quanto detto dalla letteratura classica ed anche i poeti furono molto attenti a non mescolare l'amore con il sesso stabilendo l'equazione:
                                                                           amore totale = lussuria = peccato mortale
che esaltato comportava l'mmediata condanna quando praticato al di fuori del matrimonio mentre veniva taciuto e rispettato quando avveniva all'interno del vincolo matrimoniale e considerato in ogni caso come una situazione incresciosa soprattutto per la donna.

In conformità a tale situazione si radicalizzò nelle coscienze la convinzione che l'uomo poteva essere in ogni caso più libero, ne derivò in tal modo la nascita del maschilismo, dimenticando però che il vero amore non deve essere egoistico ma donativo e finalizzato anche al benessere della donna con cui condividere, compartecipare e cooperare nell'amore sponsale.

Di converso la donna, più facilmente influenzabile, divenne succube e vittima per cui rimaneva in silenzio  non manifestando alcuna gioia che avrebbe potuto essere interpetrata come manisfestazione detestabile con il rischio di essere anche ripudiata ed il gaudio era riservato solo alle cortigiane ed alle favorite.

In sostanza, la '' forma mentis '' su esposta, durata fin quasi ai nostri giorni, ha subito un profondo cambiamento solamente a partire dal 1968 allorquando la donna, grazie anche all'uso dei contraccettivi, che avevano fugato la paura delle maternità indesiderate, ebbe l'ardire e la forza di scendere in piazza per rivendicare la propria sessualità e la gestione del proprio corpo.

Il relatore a questo punto mettendosi al posto degli ascoltatori ha messo nelle loro bocche la domanda. '' Tutto questo discorso che attinenza potrebbe avere con le vicende di Ermengarda? ''.

Ritornando indietro è stato detto che Ermengarda aveva sposato Carlo Magno non solo per la ragion di stato e per rinsaldare l'amicizia fra i Longobardi ed i Franchi ma anche perchè ne era veramente innamorata ed il suo ripudio fu dovuto al fatto che tardava a dargli un erede.

Rifugiatasi già malata in un convento di Brescia, di cui era badessa la sorella Ansberga, la notizia che Carlo Magno si era risposato ne aggravò lo stato di salute tanto da farla morire di crepacuore.
Nel delirio ecco l'improvviso, imprevedibile, sconcertante grido di dolore. Il Manzoni, di solito controllato, d'un tratto si tradisce: è l'ora della verità senza veli ed Ermengarda mette a nudo il suo animo e la sua passione come mai aveva osato fare con Carlo neppure nei momenti della loro più segreta intimità.
                
                                                                      Amor tremendo è il mio
                                                                      Tu nol conosci ancora; oh! Tutto ancora
                                                                      Non tel mostrai: tu eri mio: secura
                                                                      Nel mio gaudio io tacea; ne tutta mai
                                                                      Questo labbro pudico osato avria
                                                                      Dirti l'ebrezza del mio cor segreto.

Le parole pronunziate da Ermengarda fanno pensare al Manzoni libertino prima della sua conversione, ma prima di parlare della sua biografia, sia pur brevemente, l'oratore ha declamato quanto riportato nel secondo coro del IV atto che per motivi di brevità non viene qui riportato in cui è descritta la morte di Ermengarda.

 Il Dott. Scandariato ha quindi brevemente parlato ma solo in parte della biografia del Manzoni.
Il padre, conte Pietro, aveva sposato Giulia Beccaria, figlia di Cesare, illustre giurista, graziosa, colta, vivace, di 16 anni più giovane, che, con una dote di soli 5000 scudi, non poteva trovare un pretendente migliore. L'entusiasmo di Giulia abituata a condurre una vita indipendente, che continuò anche dopo il matrimonio, portò inevitabilmente ad una separazione amichevole. Manzoni pertanto nacque in un ambiente spregiudicato e libertino ed i pettegolezzi lo davano figlio di Giovanni Verri anche se Giulia non faceva mistero del suo amore per Carlo Imbonati, che Alessandro, pur non avendolo mai conosciuto, pianse come un padre dedicandogli anche un'ode. Nel 1805 si trasferì a Parigi dove già viveva la madre che era stata ben accolta in tutti i salotti parigini.
La città in quel periodo ribolliva per le vittorie conseguite da Napoleone Bonaparte e per sfuggire ad una calca il Manzoni si rifugiò nella chiesa di S. Rocco dove ebbe inizio la sua conversione ed in cui si trova una lapide che ricorda l'evento.

Interrompendo la biogafia dello scrittore a questo punto, il relatore è passato a considerare quali avrebbero potuto essere a suo parere ed in una  prospettiva futura le attività dei personaggi che si ritrovano nei Promessi Sposi la quasi totalità dei quali è di fantasia.

- Renzo e Lucia: vissero felici e contenti ed ebbero una carrettata di figli. Di Renzo, purtroppo, non si può parlare di una sua qualificazione essendo analfabeta e nemmeno si può dire che avrebbe potuto mettere su una polleria considerata la sua dimestichezza con i capponi
- Don Abbondio: continuò il suo viaggio cercando di non rompere il suo vaso e Perpetua, se non fosse morta di peste, avrebbe coronato il suo sogno sposando Peppe Solavecchia
- Padre Cristoforo: ritornando nel convento di Pescarenico, non avrà avuto alcuna possibiità di diventare Padre guardiano in quanto tale ruolo avrebbe richiesto una duttilità del tutto estranea  al suo carattere adamantino al contrario del Padre provinciale cui il cielo avrà riservato un vescovado
- Gertrude: non avrà formato nessun nuovo ordine religioso sia perchè ne avremmo avuto notizia dalla storia sia per la sua completa mancanza di vocazione. La storia purtroppo non ci parla nemmeno di un eventuale pontificato del cardinale Federico, peccato sarebbe stato un ottimo papa
-l'Innominato: avrà senz'altro fondato impiegando i suoi cospicui capitali un'opera di pubblica assistenza e beneficenza che, in seguito, avrebbe preso il nome di '' Pio Albergo Trivulzio ''
- l'avvocato Azzeccagarbugli: sarà entrato come membro laico nel consesso  giuridico del Governatorato, una specie di Consiglio della magistratura
- il Gran cancelliere Ferrer: lo vediamo prendere il posto dell'inetto Governatore Gonzalo Fernandez incapace anche di conquistare un semplice casale e le doti diplomatiche del conte zio, unitamente alla personale conoscenza dell'Escoriale e delle strade per Madrid l'avranno condotto là senz'altro
- Pedro: avrà messo su un'impresa di ippotrasportatori data la sua destrezza nel maneggio della frusta?
- Don Ferrante: tutti gli altri hanno un loro ruolo, anche negativo, ma quello ricoperto da quest'ultimo è oggetto di critiche e accuse a mai finire. E' accusato di essere pedante, noioso, pieno di sè, presuntuoso. Il suo sapere è composto soltanto da pregiudizi, fantasticherie , castelli in aria ed imposture . Dall'alto del suo sapere scientifico, il Manzoni, uomo del XX secolo, cui la scoperta di A.Volta aveva impresso unao sviluppo eccezionale , guarda con ironia l'astrologia e l'alchimia di Don Ferrante dimenticando che le idee del XVII secolo, ancora digiuno di Galileo e della sperimentazione, non potevano essere diverse da quelle che erano ed in definitiva il relatore non si è presa la responsabilità di promuovere Don Ferrante definendolo uno scienziato del suo tempo e considerandolo un antesignano di colui che realizzò a Porta Venezia il planetario tuttora esistente

e ciò dicendo il Dott. Scandariato ha concluso la sua relazione ringraziando nel contempo i presenti per averlo ascoltato con interesse ed attenzione.

E' seguito quindi un breve dibattito al termine del quale il Prof. Valenti dopo aver ringraziato l'oratore per avere partecipato attivamente alle attività culturali del sodalizio come tale, a nome proprio e dell'Associazione, gli ha fatto dono della riproduzione di un suo acquerello raffigurante uno scorcio di Erice. 

Sono seguiti i saluti di commiato e l'arrivederci a sabato 2 aprile 2022 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma del XXXVI Corso di cultura per l'anno 2022.
 



     




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