2013 - 02 - 02 : Prof. Salvatore Costanza - La conquista collettiva della terra: Sebastiano Cammareri Scurti e il latifondo siciliano

Sabato 2 febbraio 2013 alle ore 18.30 nella sala delle riunioni '' Antonio Buscaino '' dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 con la partecipazione di un gruppo molto numeroso di Soci e di simpatizzanti si è svolto il settimanale incontro previsto dal programma del XXVII Corso di cultura.

Il relatore, facente parte del Direttivo dell'Associazione e suo consulente storico e quindi ben conosciuto dai Soci, è stato accolto dai presenti e dal Presidente, Prof. Valenti, con cordialità.

Già docente di Storia, ha dedicato alla Sicilia il suo impegno di studioso sulla marginalità sociale, sul Risorgimento, sui Fasci siciliani, il movimento contadino non trascurando, tuttavia, la Storia e la Cultura di Trapani. 

Dopo una breve presentazione ed una introduzione attinente al tema, il Prof. Valenti ha ceduto la parola al relatore.

Il Prof. Costanza dopo aver ringraziato l'Associazione per l'invito rivoltigli ed i presenti in sala è entrato in argomento.


Si riporta di seguito una breve sintesi liberamente tratta da quanto esposto nel corso della serata.

Il tema è stato affrontato dall'oratore sotto due aspetti ben distinti:
- lo storico: nel corso del quale è stato analizzata l'evoluzione della proprietà terriera dal Feudalesimo agli inizi del 1900 passando per il latifondismo soprattutto siciliano;
- la biografia di Sebastiano Cammareri Scurti ed il suo inserimento nel contesto delle lotte contadine siciliane per la divisione e la conquista della terra.

Il termine Feudalesimo deriva dall'antico tedesco '' Fee = ricompensa '' e '' Od = possesso '' per cui il Feudo era la terra che il Signore del tempo concedeva al vassallo. In base a tale atto il feudatario acquisiva sul territorio e sulle persone piena giurisdizione con diritti illimitati.

Il Feudo successivamente scomparve per vari motivi ed agli inizi del 1800 fu sostituito dal latifondo.
Le due stutture tuttavia non differivano molto fra di loro; si può dire che la struttura agronomica, la gestione e la contrattazione agricola erano rimaste nella sostituzione inalterate, l'unica differenza riguardava invece i proprietari: una volta i nobili ora la nuova borghesia agraria costituita dai vecchi affittuari arricchiti.

Per latifondo si intendeva una grande estensione terriera appartenente in genere ad un solo proprietario avente una estensione superiore anche a 300 ettari che erano coltivati a monocultura in modo estensivo o anche destinati a pascolo. 

L'unificazione d'Italia evidenziò subito le diverse entità economiche.
Le regioni del Nord erano rivolte ad una modernizzazione per sviluppare il settore industriale  e le infrastrutture, l'agricoltura era evoluta e le aziende erano gestite integrando le coltivazioni con l'allevamento del bestiame.
L'unificazione non aveva portato la pacificazione del territorio ma ad una occupazione militare per sedare la ribellione, che fomentata dai   Borboni, coinvolgeva nel meridione larghe fasce di popolazione e alimetava il brigantaggio. Ciò fu dovuto all'imposizione di leggi non sentite dalla popolazione fra le quali la proscrizione obbligatoria per 5 anni e la mancata risoluzione dei problemi che riguardavano una agricoltura non evoluta ed in larga parte improduttiva.
Le atrocità commesse sulla popolazione inerme provocarono una più profonda rottura ed una avversione contro il nuovo Stato. Inoltre i nuovi amministratori non furono in grado di arrestare la diffusa corruzione e di modificare i privilegi di cui godevano le famiglie più facoltose che suddividendosi le cariche amministrative e l'amministrazione della giustizia usurparono
anche impunemente le terre demaniali facendo nascere di fatto un nuovo feudalesimo.
La società era arretrata, i centri cittadini pochi, scarso il commercio e lo sviluppo industriale. Tolte alcu
ne zone coltivate ad agrumi, si avevano grandi latifondi con una misera agricoltura ed una proprietà molto frammentata che non applicando la rotazione agraria ed utilizzando ancora metodi di produzione rudimerntali otteneva scarsi raccolti anche nelle buone annate.
L'analfabetismo era diffusissimo, la vita dei contadini, mal pagati e molto sfuttati, era disagevole e la loro attività era limitata a colture che non richiedevano notevoli interventi.
Con l'unificazione, l'imposizione di imposte volte a ripianare il deficitario bilancio dello Stato si abbatterono sul contribuente meridionale con oneri fino ad allora sconosciuti.
I governi di destra che si succedettero fino al 1876 inoltre imposero a tutte le regioni una stessa struttura amministrativa unificando i sistemi di misura, monetario e scolastico.
Si ebbe inoltre una ulteriore stretta fiscale imponendo pesanti tributi fra cui la tassa sul macinato che provocò numerose rivolte popolari e nel Mezzogiorno si trascurò di affrontare i problemi sociali di miseria ed arretratezza.

Il complesso di tali problemi, evidenziati all'atto dell'unificazione, fu evidenziato come '' La questione meridionale ''.

Il dibattito su di essa coinvolse molti personaggi e segnò la nascita di un movimento e di numerose inchieste nelle provincie meridionali che rivelarono un sistema in cui il ceto ambiente agrario, parassitario ed usuraio, rappresentava il principale ostacolo all'espansione ed alle innovazioni.  


Con l'avvento al governo del Paese della sinistra nel 1876 non si ebbe tuttavia una modifica sostanziale della situazione. Essa contrariamente alle attese non avviò alcuna riforma agraria nel Mezzogiorno anche se ebbe il merito di introdurre l'obbligo scolastico alle elementari e l'allargamento degli aventi dirit
to al voto che prima era stabilito solo sulla base del censo dei cittadini.

Intorno al 1880 lo sviluppo industriale fu agevolato dalla crisi che colpì per vari motivi l'agricoltura con lo spostamento dei capitali dalla seconda alla prima.

La crisi agricola che si aggiunse ai motivi di malcontento già preesistenti si riversò sui contadini sia del Nord che del Sud.
Nel Nord essi riuscirono ad ottenere risultati di rilievo attuando una profonda ristrutturazione dell'agricoltura, nel meridione i contadini, oppressi dalle clausole contrattuali e disattesi nelle loro aspettative, cercarono di difendere i loro diritti con la ribellione e con la nascita dei fasci.

Con Crispi ( 1887 ) ci fu l'emanazione di due norme di carattere opposto:
- la prima dava alla polizia il potere di adottare misure di prevenzione che limitavano la libertà
- la seconda aboliva la pena di morte e cancellava le norme che vietavano lo sciopero.

In Sicilia, negli anni successivi, la protesta si rivolse verso i ceti dominanti e le ingiustizie delle amministrazioni locali che operavano con la copertura delle autorità governative. 
Con i fasci siciliani emerse l'odio lungamente represso e non mitigato dalle possibilità di avere riconosciuti per vie legali i propri diritti.
I fasci dei lavoratori si diffusero in quasi tutti i capoluoghi della Sicilia. Furono avanzate richieste di abolizione del dazio sulla farina, di espropriazione dei latifondi, di ridistribuzione della terra, di riforme fiscali, di revisione dei patti agrari e di ab
olizione delle gabelle.
A loro si contrapposero gli interessi dei possidenti siciliani ed il movimento venne stroncato dal governo Crispi con l'intervento militare che sciolse i fasci, con l'arresto dei capi e con la loro condanna da parte dei tribunali militari. Le proteste tuttavia si protassero per un decennio.

L'inizio del '900 è caratterizzato dalla trasformazione socio-economica della società da rurale a composita e pluralista. La crescita si ebbe soprattutto al nord ed aumentò lo squilibrio con le deboli strutture del Mezzogiorno che erano rimaste immutate dall'unificazione. Non potendo creare riforme di carattere generale si potenziarono quelle di settore, ma ciò fu fatto in modo clienterale favorendo solo alcune rappresentanze politiche.

Nel Mezzogiorno il persistente disagio sfociò in continue manifestazioni di protesta che furono decisamente represse con eccidi e decine di morti.

Nel frattempo ( 1902 ) fu fondato il Partito Socialista che si proponeva di rappresentare gli interessi del mondo del lavoro in contrasto alle classi dirigenti di origine borghese ed agraria con un programma che prevedeva il suffragio universale, la libertà politica e sindacale, l'istruzione elementare gratuita ed il miglioramento della legislazione sulle condizioni di lavoro.

Il relatore ha quindi accennato al ruolo svolto dai politici marsalesi A. Damiani, V. Giacalone ed alle attività di G. Montalto prima nei fasci del trapanese e successivamente nel campo della cooperazione dove operò con visione unitaria proprio con S. Cammareri Scurti.

Saltando tutto il periodo compreso fra l'inzio della 1^ e la fine della 2^ guerra mondiale, l'oratore non ha tralasciato di accennare che solo nel 1950 ci fu il primo e serio tentativo di m
odificare i rapporti di proprietà in favore dei contadini poveri.
La riforma pur tuttavia fu malamente attuata al sud dove la terra espropriata su insufficiente a soddisfare i bisogni dei contadini. Si esaltò così ancora di più il diritto alla proprietà vanificando i tentativi di aggregazione e cooperazione, ma non si guardò alla riforma dei patti agrari, alle migliori condizioni di lavoro dei braccianti e alla loro retribuzione.

A questo punto Il prof. Costanza ha inserito nel discorso la figura e le attività svolte nella Sicilia dell'epoca dal personaggio in oggetto.

Sebastiano Cammareri Scurti nacque a Marsala nel 1852, seguì a Palermo gli studi di agronomia ed in questo campo operò presso lo stesso Comune di Marsala fino a quando nel 1902 lasciò l'incarico per fondare nell'Agro ericino la Cooperativa S. Marco che raccolse in pochi mesi ben 1500 contadini e 4700 ettari di terreno.
Partecipò attivamente alla vita sociale e politica e si interessò in modo approfondito dei problemi relativi alla proprietà della terra, di economia agraria e delle condizioni sociali dei contadini siciliani pubblicando le sue idee e proposte.
Fu politicamente molto vicino ad Abele Damiani collaborando attivamente con lui nel periodo in cui l'uomo politico siciliano ricevette l'incarico, per la parte che riguardava la Sicilia, di compilare parte della inchiesta agraria condotta da S. Jacini e ciò lo portò ad approfondire ulteriormente le sue conoscenze sullo stato delle campagne siciliane.
Successivamente, con il tramonto di A. Damiani e la sua sostituzione nel Collegio di Marsala con V. Pipitone, suo antagonista, il Cammareri si spostò verso il riformismo  e nel 1897 aderì al Partito socialista di cui fondò a Marsala una sezione. 
Contemporaneamente collaborava con diversi giornali pubblicando diversi articoli ed individuando nella magistratura, nel corpo elettorale e nella mafia i tre strumenti con cui i ceti privilegiati mantenevano il potere e lo sfuttamento sui contadini.

Fu il fondatore, nel Contado di Monte S. Giuliano, della Cooperativa S. Marco, una delle più organizzate e forti, ed operò in mezzo alle ostilità ed al boicottaggio mosso dai grandi proprietari terrieri e dagli altri professionisti.
Il suo sviluppo lo convinse ancor di più della utilità delle leghe fra i contadini come mezzi indispensabili nella strategia contro i padroni, per ottenere le terre in affitto, ricorrendo anche all'assistenza ed alla cooperazione nei confronti dei contadini più poveri per entrare a far parte della cooperativa. Grazie alla sua attività ed abnegazione la Cooperativa S. Marco divenne non solo un modello nel suo genere ma anche un mezzo di difesa dell'organizzazione contadina contro il padronato, il latifondismo  e la reazione agraria.

Fu successivamente incaricato dal partito per la propaganda cooperativistica in Sicilia.
Successivamente all'uccisione da parte della mafia di L. Panepinto, dirigente della Cooperativa di S. Stefano di Quisquina ( AG ), sfidando la reazione mafiosa, ne accettò la direzione trasferendosi in quella città dove mori nell'agosto del 1912.

Contribuì a ridurre il latifondo, ma fu testardo ed incapace di adattarsi alle nuove situazioni politiche e sociali.
Fu in definitiva un missionario, un utopico idealista a favore dei contadini ed operò per il miglioramento delle loro condizioni sociali.

La conclusione della relazione è stata seguita da un interessante dibattito con l'intervento di molti dei presenti ai quali il Prof. Costanza  
ha fornito ulteriori precisazioni e chiarimenti.

La Presidenza ha infine ricordato ai presenti la Cena del Giovedì grasso del 7 febbraio 2013 alle ore 19.00 presso il ristorante Tagliavia di Valderice,  da raggiungere con mezzo proprio, e la serata si è chiusa con l'arrivederci a sabato 9 febbraio 2013 nella sede dell' Associazione alle ore 18.00 per il prossimo incontro previsto dal calendario del XXVII Corso di cultura.
 

 

 

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