2013 - 06 - 01 : Prof. Antonino Cusumano - Culture alimentari e immigrazione in Sicilia

Sabato 1° giugno 2013 alle ore 18.30 nella sala delle riunioni '' A. Buscaino '' dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trpanese sita in Trapani via Vespri 32, si è riunito un nutrito gruppo di soci per la ripresa degli incontri settimanali dopo la realizzazione del viaggio in Polonia tenutosi dal 21 al 28 maggio u.s..
In assenza del presidente, Prof. Salvatore Valenti, ha fatto gli onori di casa la Prof.ssa Rosalba Musumeci, quale vice presidente, che ha accolto il relatore della serata Prof. Antonino Cusumano proveniente appositamente da Palermo.

In apertura dell'incontro, chiedendo scusa all'oratore, la Prof.ssa Musumeci ha dato in prima istanza il bentornato ai soci che hanno partecipato al viaggio e successivamente con dispiacere ha comunicato ai presenti la dipartita del socio Signor Michele Fontana venuto a mancare mercoledì 28 maggio u.s.. esprimendo le più sentite condoglianze del Consiglio direttivo e dei soci tutti alla moglie, signora Elisa, ed ai figli.
Dopo questa premessa è passata a presentare l'ospite, non nuovo alle attività culturali dell'Associazione avendo egli partecipato assiduamente agli incontri culturali degli ultimi quattro anni sociali, e successivamente gli ha ceduto la parola.

Il Prof. Cusumano, laureato in Antropologisa culturale, esplica attività di insegnamento presso l'Università di Palermo, è autore di vari saggi e pubblicazioni ed ha effettuto varie ricerche nel campo antropologico. 

Il relatore ha iniziato la sua conversazione esprimendo il proprio piacere per essere stato ancora una volta invitato alle attività culturali dell'Associazione ed ai presenti in sala dopo di chè ha iniziato a svolgere il tema della serata.

Si riporta di seguito una sintesi fattaci gentilmente pervenire dall'oratore di quanto è stato esposto nel corso della serata ringraziandolo  per la sollecitudine con la quale ha provveduto a farcela pervenire.


 
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migrazione e culture alimentari in Sicilia di Antonino Cusumano

Nulla è meno naturale e meno materiale dell’atto naturale e materiale del mangiare, primo e irriducibile bisogno dell’uomo. E’ noto, oggi forse più di ieri, che assieme alle sostanze ingerite noi consumiamo i simboli ad esse associati, ci alimentiamo dei valori aggiunti ovvero dei modelli sociali, delle credenze magico-religiose, delle rappresentazioni estetiche, delle funzioni etiche e delle strategie ecologiche sottesi e strettamente connessi alla loro primaria funzione nutritiva.

Oggi più di ieri il cibo tracima da tutti i mezzi di comunicazione ed è oggetto e soggetto di un consumo compulsivo, edonistico e anche un po’ turistico. Resta vero che ciò che mangiamo non è destinato soltanto a nutrirci ma vale a rassicurarci, a renderci riconoscibili, a metterci in comunione con gli altri, a rigenerare la dimensione ciclica del nostro essere nella natura e nel tempo.

Il soddisfacimento del bisogno primario di cibo non è fatto esclusivamente biologico. Si iscrive in una complessa trama di norme e protocolli, di usi e abitudini. L'operazione del mangiare appartiene a quegli universali biologici subordinati a rigide strutture ideologiche e a norme culturali che appaiono naturali solo perché indiscusse e inconsce, saldamente codificate, profondamente interiorizzate e socialmente condivise. Da qui il valore identificante delle scelte alimentari, la relazione largamente attestata e avvertita presso tutti i popoli tra cucina e consapevolezza etnica, tra regole dietetiche e cultura di appartenenza.

Estratti dal mondo vegetale o animale, gli elementi naturali perché diventino alimenti devono essere assoggettati ad un'operazione di ulteriore domesticamento che sancisce il loro ordinamento in rigorose categorie oppositive, prima fra tutte quella che traccia una netta linea di separazione tra ciò che è considerato commestibile e ciò che non lo è. A determinare la tipologia semantica degli alimenti sono ragioni eminentemente antropologiche, le sole in grado di spiegarci perché è ammissibile il consumo di certi cibi in un dato contesto e non in un altro, in un particolare momento e non un altro; perché alcuni di essi sono segni di prestigio sociale e di ricchezza e altri sono stimati impuri e indegni; perché certuni sono connessi all'ideologia del superfluo e altri sono invece riconosciuti e avvertiti nell'orizzonte esistenziale come necessari e indispensabili.

Tra tutte le frontiere culturali quella segnata dalla cucina, probabilmente perché attiene al piano del vissuto quotidiano, rappresenta la soglia più prossima e forse più accessibile, quella più facilmente valicabile, il luogo dove è possibile tentare nuove esperienze sensoriali e farsi tentare dalle pulsioni della curiosità, sperimentare viaggi e attraversamenti, provare e riprovare, lasciarsi andare ovvero “assaggiare” qualcosa di diverso, di estraneo, di straniero senza il timore di mettere a repentaglio la propria identità, senza il rischio di compromissioni ideologiche e soprattutto senza il bisogno di portarsi appresso troppi bagagli intellettuali, senza sottoporsi alla fatica di dovere imparare una lingua per capire, di dover tradurre, interpretare, senza dover uscire fuori dalla propria cultura, restando cioè dentro i fidati confini del proprio modo di essere e di pensare.

Probabilmente non attraversiamo davvero questa frontiera quando entriamo in un ristorante cosiddetto etnico per mangiare “alla cinese” o “alla maghrebina”, per effetto della parzialità e della simulazione che c’è in ogni rappresentazione della cosiddetta “tipicità” o della tradizione alimentare regionale o nazionale. Tuttavia, anche attraverso i cibi che mangiamo presso questi ristoranti, attraverso i sapori e gli odori della cucina che ci viene proposta, se non compiamo dei viaggi, tracciamo dei varchi, apriamo dei passaggi, rimuoviamo chiusure pregiudiziali, ci disponiamo potenzialmente al dialogo, all’ascolto, alla “degustazione” del nuovo, all’incontro con pezzi di culture diverse dalla nostra, con storie e luoghi più o meno lontani.

I confini alimentari non sono così rigidi e marcati come quelli religiosi, non sono vischiosi e complicati come quelli linguistici, non sono immobili e nemmeno immutabili. Sono per molti aspetti duttili, flessibili e permeabili. Tra tutti gli atti naturali fortemente strutturati entro un orizzonte culturale, il mangiare ha qualcosa in comune con l’ascoltare la musica e, come la musica, può vantare ampi spazi di libertà e di tolleranza, territori in cui è più semplice e praticabile la comunicazione, la contaminazione, il meticciamento, il melting pot. Non è senza significato che musica e cibo costituiscano insieme i linguaggi preferiti dai giovani per comunicare, rimuovendo o scavalcando i confini che segnano le appartenenze e le identità.

Da sempre le migrazioni sono state laboratorio di sperimentazione di nuove pratiche alimentari, favorendo, attraverso lo scambio di materie e prodotti, l’incontro e la commistione di alimenti e storie umane, di gusti e paesaggi. Non è un caso che gli ingredienti base delle nostre gastronomie regionali vengano da paesi lontani. Così è per l´americanissimo tomate, le melanzane, e perfino per le arance. A pensarci bene, la maggior parte delle cosiddette tipicità alimentari, quelle di cui ci vantiamo, sono frutto d’importazione. I cibi viaggiano con gli uomini e attorno alla tavola gli uomini hanno mescolato le loro storie, le loro culture.

Chi emigra, da un lato, si allontana dal regime alimentare tradizionale, si dispone e si espone all’accettazione del nuovo che si identifica con l’aspirazione all’integrazione sociale e culturale; dall’altro lato, tende a riprodurre nel nuovo ambiente alimenti e cucina ma anche convivialità, atmosfere, ritualità, spazi e tempi delle abitudini originarie. Mangiare come è usuale nel Paese da cui si è partiti significa surrogare le assenze, placare la nostalgia, evocare e presentificare i luoghi della memoria, la casa, i parenti, gli affetti. Equivale a portare con sé qualcosa del mondo che si è appena lasciato alle spalle al di là dei confini.

La cultura alimentare degli immigrati però non è né semplicemente trapiantata né meccanicamente replicata ma piuttosto rielaborata e riplasmata. Le scelte e le pratiche di approvvigionamento e produzione dei cibi sono agenti e referenti di dinamiche economiche che finiscono per creare nuovi modelli di consumo, nuovi luoghi di socializzazione nonché un’inedita riorganizzazione e risemantizzazione del contesto degli spazi urbani.

Accade così che, nel proliferare degli itinerari enogastronomici, in mezzo all’imperversare dei fast food e al recupero dei slow food, tra le spinte alla globalizzazione e mcdonaldizzazione da un lato e le reviviscenze della localizzazione e tipicizzazione territoriale dall’altro, nel nostro Paese si stia facendo strada l’etno food, la cucina cosiddetta etnica, moltiplicandosi nelle nostre città giorno dopo giorno i ristoranti e i minimarket gestiti da immigrati.

La visibilità dei gruppi etnici nel paesaggio antropologico dell’Italia contemporanea passa anche attraverso la penetrazione dei nuovi stili alimentari, l’apertura dei locali dove si preparano e si consumano cibi esotici, la diffusione di esercizi commerciali dove è possibile acquistare ingredienti e prodotti importati dai Paesi da cui provengono gli immigrati. Per i quali queste piccole imprese rappresentano formidabili leve non solo di emancipazione economica ma anche e soprattutto di aggregazione e riconoscimento sociale, vere e proprie agenzie di network e di coesione  comunitaria. ''

La conclusione dellarelazione è stata seguita da un dibattito al quale hanno partecipato molti dei presenti che hanno posto varie domande e chiesto precisazioni. A tutti il relatore ha fornito ulteriori chiarimenti e precisazioni.

Al termine del dibattito, la Prof.ssa Musumeci ha ringraziato il Prof. Cusumano per l'interessante tema sviluppato e lo ha invitato a predisporre un nuovo argomento per il programma dell'anno sociale del 2014.

Al termine dell'incontro ed a ricordo della serata la Vicepresidente ha offerto all'ospite il testo '' Istoria di Trapani '' del Pugnatore di recente pubblicato a cura del Prof. Costanza anche lui presente per l'occasione.

La serata si è conclusa con l'arrivederci a sabato 8 giugno 2013 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma delle attività.

 


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