2013 - 09 - 28 : Prof. Alberto Costantino - Il Prefetto Mori in provincia di Trapani


Sabato 28 settembre 2013 alle ore 18.30 nei locali dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, dopo la pausa delle vacanze estive, sono riprese le attività previste dal XXVII Corso di Cultura per l'anno 2013. 
L'ospite, Prof. Alberto Costantino, bibliotecario presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani, autore di vari testi e ricercatore, è stato accolto dai soci presenti e dalla vice presidente Prof.ssa Rosalba Musumeci in sostituzione del Presidente Prof. Salvatore Valenti fuori sede.
In apertura dell'incontro la Prof.ssa Musumeci ha dato il benvenuto al relatore ringraziandolo per aver accolto l'invito dell'Associazione a voler tenere una conferenza ed i soci in sala dopo il ritorno dalle ferie estive
Dopo una breve presentazione del conferienziere ed aver ricordato alcune delle sue opere e delle ricerche effettuate dallo stesso gli ha ceduto la parola.

Il Prof. Costantino, dopo aver ringraziato i presenti in sala e l'Associazione per avergli ancora una volta dato l'opportunità di partecipare alle sue annuali attività, ha iniziato la sua relazione sul tema della serata.

Per sua gentile concessione si riporta di seguito quanto integralmente detto nel corso del suo intervento.

‘’Buonasera a tutti. Vorrei ringraziare il prof. Valenti per il gentile invito a tenere questa 
chiacchierata con voi e grazie tantissimo per la vostra presenza.

La figura di Cesare Mori è quella di un uomo, tutto di un pezzo, testardo, serio, ambizioso ma anche capace, almeno in seno alla sua famiglia di un po' di tenerezza. Fu un servitore dello Stato, di sua maestà il re e di Mussolini senza però venire mai a mancare al rispetto, come detto, delle leggi vigenti e quando ciò non convenne più ai suoi cosiddetti "protettori" (Giolitti e Mussolini) fu subito messo da parte.

Nel ricordo dei miei vecchi era spesso presente. Mio padre mi diceva: "ci vorrebbe il prefetto di ferro Mori ", questi mafiosi che uccidono e rubano quando c'era lui venivano arrestati e tolti di mezzo. Si stava più sicuri! "

Adesso mi chiedo, perché i biografi e soprattutto gli sceneggiatori nel ricostruire la vita del prefetto Mori non hanno mai menzionato il periodo in cui ha agito nella nostra Provincia? Perché l'ultimo sceneggiato della Rai, per esempio, ha trascurato questo lungo periodo trascorso nella provincia di Trapani?.

La biografia, romanzata, ha sempre inizio con la nomina di Mori a prefetto di Palermo nel 1925. Eppure, anche se con qualche interruzione, rimase a Trapani quasi tredici anni. La sua carriera nella nostra provincia, si sviluppò dal 1904 al 1925, prima come funzionario poi da commissario di polizia (Castelvetrano) e infine come prefetto di Trapani. Lottò con molta energia contro mafia, delinquenza e in un certo modo anche contro la politica nostrana. Questo periodo gli servi, certamente da gavetta per quello che poi avrebbe fatto a Palermo (dal 1925). Ma vediamo chi era, l'uomo, il poliziotto, e il politico.

Cesare Mori nacque a Pavia il l° gennaio 1872, da Felice, ingegnere, e da Rachele Pizzamiglio. Purtroppo i due non erano sposati per cui fu affidato a un istituto per bambini abbandonati (brefotrofio). Solamente nel 1880 venne ufficialmente riconosciuto dai genitori che nel frattempo avevano regolarizzato la loro relazione (1879).

Studiò all'Accademia Militare di Torino e fu nominato sottotenente di artiglieria a 19 anni. Fu inviato a prestare servizio a Taranto e lì promosso tenente nell'ottobre 1885. A Taranto conobbe Angelina Salvi figlia dell'ingegnere capo del Comune, con la quale si fidanzò. Essendogli stato rifiutato il permesso delle nozze in quanto la futura moglie era priva di dote prevista dal regolamento militare, presentò le dimissioni. Le conseguenze furono disastrose: il 20 giugno 1896 venne degradato a sergente e infine posto in congedo illimitato.
Tuttavia a Taranto stesso coronò il suo sogno d'amore sposando Angelina. Sarebbero rimasti insieme fino alla morte. In seguito entrò
in polizia vincendo un concorso, e fu inviato prima in Romagna e poi il 14 aprile 1898 a Bari. La sua vitalità si manifestò quasi subito. Tornato in Romagna a Ravenna, nel 1904 fece perquisire la casa di un noto politico e per questo fu immediatamente trasferito in Sicilia. Qui dimostrò tutto il suo coraggio contro banditi, delinquenti e mafiosi.

Scrive lo storico Christopher Duggan: "Vi rimase per la maggior parte dei tredici anni successivi, guadagnandosi nelle provincie occidentali un'enorme reputazione per il suo coraggio contro i banditi ". Le sue azioni furono spettacolari ma anche forti, tanto da guadagnarsi la fiducia degli agrari del luogo.

Scrive sempre Duggan: "Nel 1917 arrestò il famigerato Paolo Grisagi e i suoi uomini, dopo uno scontro a fuoco durato nove ore. Parlavano di lui come di « un uomo col pelo sul cuore >>, e si diceva che quando era sulle tracce di criminali andasse in giro vestito da monaco. "
Mori arrivò alla stazione di polizia di Castelvetrano nel 1904 come delegato di Pubblica Sicurezza. La cosa era stata fortemente voluta da quello che sarebbe diventato Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, che guarda caso era nemico numero uno del ministro trapanese Nunzio Nasi, che proprio nel 1904 era caduto in disgrazia. Mori fu, diciamo, sotto le ali di Giolitti, ma non ne fu mai

plagiato o corrotto.

Nunzio Nasi a Trapani era appoggiato da quasi l'intera popolazione e aveva a " servizio " parecchi giornali. Mori, come funzionario di polizia era servitore solo ed esclusivamente delle leggi che rispettava e faceva rispettare sempre. Quindi anche se era, per cosi dire " protetto " da Giolitti, Mori servì in realtà solo le leggi italiane e il Regno d’Italia. Per questo ad un certo punto fu abbandonato
dallo stesso Giolitti.

Anche nel periodo fascista, come commissario di polizia a Castelvetrano prima, e come Prefetto (a Trapani) poi, ebbe come riferimento solo ed esclusivamente il rispetto delle leggi vigenti e quando si apprestò a toccare qualche personaggio troppo in alto fu abbandonato dallo stesso Mussolini che lo aveva fortemente voluto.

Ma andiamo per gradi.

Scrive Denis Mack Smith: La parola "mafia" comparve per la prima volta in un documento ufficiale nel 1865 in un'epoca in cui gran parte del Sud era infiammata da agitazioni civili. In nessuna altra zona regnava un disordine peggiore che in Sicilia occidentale, dove la gravità dei problemi sociali era accresciuta da una profonda diffidenza nei confronti del nuovo Stato. La conseguenza fu l'insurrezione di Palermo del 1866. Fu in questa atmosfera di illegalità che comincio a radicarsi l'idea di una cospirazione criminale. Vi contribuì il dramma di Giuseppe Rizzotto (autore teatrale
n. d. a.) «I mafiosi della Vicaria», e nei primi anni del decennio 1870-1880 il problema siciliano veniva ampiamente ricondotto a «la cosiddetta Maffia od associazione malandrinesca».

Chiaramente la mafia non era nata dopo l'unione italiana, esisteva già da prima, ma giustamente saltò agli occhi e fu più presente dopo il Risorgimento, andando a scovare anche un patriottismo tutto siciliano. All’inizio del Novecento il brigantaggio, l'abigeato e le associazioni di pizzo avevano messo a repentaglio la sicurezza di tutta la Sicilia e le operazioni di polizia erano piuttosto blande. I banditi dopo ogni malefatta si rifugiavano in grotte o caverne delle montagne e scovarli diventava cosi quasi impossibile. Fu in questo clima che arrivò in provincia di Trapani il poliziotto Cesare Mori. Qui trovò subito una situazione politica particolare, con un ex ministro, Nunzio Nasi, che pur essendo stato condannato per peculato e decaduto come parlamentare, veniva osannato e protetto dalla popolazione ed addirittura rieletto più volte in Parlamento. Il referente politico di Giolitti, comunque, si trovava a Castelvetrano ed era l'on. Saporito, dove era approdato Mori. E proprio in occasione delle elezioni politiche del 1904 diedero a Mori la misura di come si votava nella provincia di Trapani.

Scrive Antonino Infranca: "Davanti al seggio elettorale di Castelvetrano si presentarono quattro uomini che, mettendo in vista dei bastoni «consigliavano» gli elettori di votare per il loro «padrone», probabilmente Nasi". L'intervento di Mori fu immediato. Fece arrestare i quattro cosiddetti furbastri, permettendo cosi il normale svolgimento delle elezioni. Tuttavia, per il funzionario di polizia, le conseguenze furono una denuncia per eccesso di potere. Ma l'uomo di potere non era Nasi ma Giolitti e la denunzia fu archiviata.

Continua Infranca: "Probabilmente è da questo periodo (fine 1904) che iniziò la rivalità tra Mori e Nasi; rivalità che ritroveremo per quasi tutta la permanenza di Mori in Sicilia. Ma fin quando Mori rimase a Castelvetrano non si ebbero scontri, o almeno l'eco di quelli che ci furono, non fu vasta. Quando poi Mori fu inviato a Trapani, l 'attrito fra i due si fece più aperto ".

E' chiaro che il conflitto non era dovuto a motivi personali ma a quelli politici. Nasi durante l'inchiesta giudiziaria aveva dovuto rifugiarsi a Parigi e successivamente tornato m Italia (1907) fu arrestato e processato davanti al Senato che lo condannò ad un anno di carcere. L'anno successivo fu scarcerato e quindi tornò a Trapani. E proprio in questa occasione avvenne lo scontro. Durante il processo i nasiani scesero in piazza, manifestando in maniera quasi violenta (qualcuno li chiamò moti) per cui la polizia guidata da Cesare Mori la represse, arrestando molti di questi manifestanti. Per i simpatizzati nasiani fu una azione fuori luogo e l'accusarono di eccessiva ingerenza.

Scrisse, con ironia la Gazzetta del Popolo, giornale vicino a Nasi a proposito delle bellezze di Trapani: "Esso è straordinario che tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vederlo, gli fanno la reclame senza pagamento, gridano ovunque, - Vedi Trapani e poi Mori". (Corriere del Popolo del 24 aprile 1910). Ma prima di chiudere questa prima fase di Cesare Mori, poliziotto nella nostra Provincia, voglio ricordare un altro episodio epocale per la nasiana Gazzetta del Popolo dell'8 maggio del 1910.

Scrive Antonino Infranca nel suo saggio "Il periodo trapanese del Prefetto Mori nel giudizio della stampa locale: "Il 13 aprile 1910 un'attrice di varietà, Mary Fleur, venne arrestata da agenti di Pubblica Sicurezza. L'arresto era motivato dal fatto che, dopo la sua esibizione, il numeroso pubblico aveva, come tutte le precedenti serate, richiesto il bis. Il delegato di P. S. Olindo Tiberi, con l 'intenzione di mantenere l'ordine e di far rispettare le ordinanze della Questura che vietavano i ‘’ bis ‘’ durante gli spettacoli di varietà, intervenne per disperdere il pubblico e rimandare l'attrice fra le quinte. Ma il pubblico reagì violentemente all'ingiunzione della polizia tanto che ne scaturirono dei tafferugli, seguiti da dieci arresti per resistenza alla forza pubblica. Fra gli arrestati vi era anche l'attrice Mary Fleur e il proprietario del teatro di Varietà in cui essa si esibiva". (Ricorderò ai più che il vecchio teatro di varietà della nostra città, di cui esistono ancora parecchie foto, era situato proprio di fronte al teatro Garibaldi, attaccato alla chiesa di Sant'Agostino).

Chiaramente questi accanimenti strumentali contro un servitore dello Stato erano dati da giornali trapanesi che non si staccarono mai dal loro politico di riferimento e cioè Nunzio Nasi.

Scrive Infranca : "Gli attriti tra Mori e Nasi, e quindi di riflesso, con quasi tutta la classe dirigente trapanese, testimoniano l'inflessibilità della personalità del commissario Mori, indisponibile a quelle protezioni di comodo a cui erano abituati i suoi predecessori ".

All'inizio del '900 Trapani era una città relativamente tranquilla. Aveva il suo politico di riferimento ( Nunzio Nasi) e viveva con molto dignità. Vi era un piccolo ceto borghese e qualche nobile ancora facoltoso. Il censimento dell'epoca (1902) contava 37 mila anime, dove esistevano molti pescatori e artigiani. Vi erano ancora dei pastifici artigianali e soprattutto si esercitava la conservazione del pesce salato in scatola (pesce salato, sarde, acciughe e tonno). Il pensiero politico era conservatore e completamente diverso dal proletariato marsalese che tendeva sempre più a sinistra.

In questo clima il prefetto di Trapani invitò più volte il poliziotto Mori ad intervenire sia in città che in provincia. Da Castelvetrano in pratica si muoveva in tutta la provincia e spesso fu inviato ad Agrigento. In realtà Cesare Mori ebbe anche poteri speciali soprattutto dopo la prima guerra mondiale, quando la crisi attanagliò tutta la Sicilia e gli agrari cominciarono ad aver grosse difficoltà economiche.

Nel novembre del 1916, il senatore Di Camporeale in una relazione al Parlamento, scriveva: "La prospettiva della miseria preoccupa. Oltre la metà delle terre sono rimaste incolte e da noi miseria e sommosse sono sinonimi. Aggiungi che vi è già una immensa recrudescenza di abigeato e di delitti nelle campagne. Queste sono scorazzate da molte migliaia, 20 o 30 mila di disertori e renitenti "

L'intervento di Mori fu fondamentale, nel periodo 1917-18 riuscì, tra banditi e disertori ad arrestarne più di 13 mila che gli fruttarono una considerevole reputazione e anche una promozione a vice questore e questore poi. Ma già prima, nel dicembre del 1913 a Trapani, da commissario di polizia, in una manifestazione di 1500 lavoratori agricoli, secondo alcune fonti (Duggan), da solo riuscì ad arrestare 70 capi. È sempre riuscito, anche in momenti difficilissimi a ricondurre alla calma ovunque, facendo rispettare le leggi e mantenendo alto il prestigio dell'autorità.

Trasferito a Firenze nel gennaio del 1915 con il grado di vice questore, tornò dopo solo un anno in Sicilia. Nominato nel maggio del 1916 alla direzione delle squadriglie di Caltanissetta e Agrigento, Mori mise subito a segno alcuni importanti operazioni come la cattura del latitante Diego Tofalo e il bandito Francesco Carlino. Subito dopo nel febbraio del 1917 riuscì a catturare il noto bandito agrigentino Paolo Grifuso.

Reprimere l'illegalità era il suo obiettivo e la mafia era da combattere con forza e sconfiggerla.

Cesare Mori aveva già fissato il fenomeno come rurale (almeno fino alla sua epoca) e nel suo libro "Tra le zagare oltre la foschia", fiutto delle su esperienze in Sicilia, aveva scritto: "Quando alla mafia aggiungero semplicemente che cosa si abbarbica ad ogni ramo dell'attività sociale perché ognuno di essi ha i suoi fuoriusciti, ma che ha sviluppo particolare intorno all'attività agricola, in quanto questa è spina dorsale dell'attività isolana e fonte principale delle sue ricchezze, quindi mammella maestra d'onde la mafia poppa. /r...J Biologicamente la mafia agisce sulla malvivenza determinandone per catarsi il coagulo in aggregati e materiandone di omertà i tessuti connettivi ". Il suo pensiero parte quindi che la mafia sia il frutto non solo della mancanza del potere dello Stato ma anche per un certo atteggiamento del popolo siciliano.

Per la legge delle promozioni il 4 novembre fu nominato Questore ad Alessandria e quindi come reggente a Torino, teatro di gravi moti popolari contro la guerra nell'agosto del 1917.

Per ragione cronologiche devo citare che prima di tornare in Sicilia, il l' ottobre del 1919 fu trasferito a Roma come reggente della questura con nomina del presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, Saverio Nitti e l'anno successivo, il 5 aprile fu nominato prefetto di Reggio Calabria. Per quell'anno Mori tenne tutt'e due gli incarichi, sia quello di Roma che quello di Reggio Calabria. Su indicazione di Nitti, represse duramente i moti nazionalisti contro la rinuncia italiana alla Dalmazia, che il 24 maggio provocarono gravi incidenti, con 7 morti e 22 feriti, a seguito dei quali Mori arrestò, sempre su indicazione del presidente del Consiglio, tutti i fiumani e dalmati residenti a Roma, suscitando vibranti proteste e accuse per abuso di potere.

Per questo motivo, fu rinviato a giudizio dalla Corte d'Assise di Roma, ma fu amnistiato prima dell'inizio del processo.

Giolitti, subentrato a Nitti quale presidente del Consiglio (16 giugno 1920), seppure per pochi mesi, lo rinviò in Sicilia come capo di una speciale squadra anticrimine. Nel febbraio del 1921 fu nominato Prefetto di Bologna e nel tentativo di contrastare le squadriglie fasciste locali si creò Atri nemici e problemi. A novembre gli vennero conferito dei "poteri straordinari". Gli scontri e la turbolenza in bassa Val Padana però si acuirono e lo stesso Mori andò in difficoltà. Non solo i fascisti ma anche dagli uomini della stessa polizia gli si rivoltarono contro, cosi si dimise. Dimissioni che il ministro Bonomi respinse. Ma i fascisti volevano che gli togliessero quantomeno i poteri speciali.

Scrive Duggan: "Za crisi maturo alla fine di maggio. Michele Bianchi ordinò una mobilitazione generale delle squadre fasciste locali. Guidate da Oviglio e Arpinati, insieme a Dino Grandi da Modena e Italo Balbo da Ferrara, esse occuparono in centro di Bologna e assediarono Mori". Nonostante tutto il prefetto disse che li avrebbe ricevuti nel suo ufficio per trattare. Ma Mussolini lo definiva un "prefetto socialista" per cui dovette farsi da parte. Con la caduta del governo fu spedito, quindi, a Bari. Dopo la nomina di Benito Mussolini a Presidente del Consiglio (10 novembre 1922) fu collocato a disposizione e si ritirò a Firenze.

Mori fu nominato prefetto di Trapani all'inizio del giugno 1924, pochi giorni prima del'uccisione di Matteotti. Un mese prima Mussolini aveva visitato Palermo e si era reso conto di quello che stava succedendo: non solo assalti di quadriglie fasciste ma anche briganti, mafiosi e malavitosi che condizionavano la vita siciliana. Oltre tutto essendo ormai stata normalizzata la questione del potere con la sua nomina a Presidente del Consiglio, veniva meno il coinvolgimento della malavita alle sue squadre. A questo punto non restava che reprimere l'illegalità. Tornato a Roma invitò l'unico uomo capace di mettere in atto un piano per "sterminare" il fenomeno mafioso in Sicilia. Nell’ottobre del 1925 fu trasferito a Palermo dove rimase fino al giugno 1929. Si inscrisse al partito nazionale fascista il 21 febbraio 1926 per ripristinare l'autorità dello Stato e ottenere il sostegno delle popolazioni. Da questa esperienza nascerà il libro "Con la mafia ai ferri corti ‘’, Milano 1932.

A Trapani, Marsala, Campobello di Mazara e Mazara, a settembre dello stesso anno (1924), creò corpi di guardie giurate formati da contadini per proteggere i campi e le coltivazioni. Tra le prime cose che fece, oltre la prevenzione fu un periodico pubblicato ad Alcamo la "Santa Riscossa" che si prefiggeva come scopo la lotta alla Mafia. Durò poco: dal gennaio al novembre del 1924. "Tra le misure repressive proposte contro la mafia — scrive Infranca — e preventive vi erano: l'abolizione della giuria popolare, l'introduzione della pena di morte per delitti di mafia, l'applicazione senza processo del domicilio coatto, la validità di prova giuridica delle testimonianze della polizia, il controllo dell'operato della difesa". Il prefetto chiese anche il rifacimento delle strade, la luce elettrica e l'acqua, indispensabili per la popolazione. E Roma venne in aiuto con il finanziamento di nove milioni e cinquecento mila lire da usare contro la mafia.

I disordini in Sicilia erano cominciati nel 1919 con il sorgere delle formazioni rivali capeggiate da membri delle famiglie Ferrerello e Andaloro. Figure di rilievo erano Gaetano Ferrarello, ex uomo di Candino e Nicolò Andaloro, giovane incline alla violenza, che era evaso di prigione nel 1917, dopo essere stato arrestato perché trovato in possesso di coltello. Tra il 1919 e il 1922 Candino e i suoi uomini furono estromessi. Gli Andaloro e Ferrarello erano decisi a soppiantare Candino nella soprintendenza dei campi, guardiani di bestiame e campieri (guardia privata dei campi) e cosi fu. Candino, avendo perso tutto decise di ritirarsi (1922). Scrive Duggan: "Trascorse i quattro anni successivi tranquillamente, nel suo paese natale di San Mauro Castelverde. In un rapporto di polizia del 1923 si legge che egli passava le sue giornate "tra casa e chiesa".

Nella primavera del 1926 (Mori era prefetto di Palermo) Mori lo fece arrestare. Aveva ormai ottant' anni e fu condotto, si disse, in lacrime all'Ucciardone.

Oltre le azione fin qui descritte, vorrei adesso sintetizzare gli interventi più significati del cosiddetto prefetto di ferro. Quindi torniamo un po' indietro nel tempo.

Nel 1911, da Castelvetrano, fu inviato a Paceco, a Monte San Giuliano, a Marsala, a Salemi e a Calatafimi, dove organizzò personalmente le operazioni di polizia a prevenire e ad arrestare i malviventi. Nell'agosto del 1911 la mafia colpiva con una bomba una caserma di polizia e un'altra fu lanciata contro la casa del commerciante Di Bartolo. A questo punto fu chiesto l'intervento del funzionario di polizia Cesare Mori. Scrive «L'Eco della Sicilia» del sette agosto del 1911: "integerrimi funzionari come il cav. Mori (...) il valore dei quali, è notorio in paese, essendo ben conosciuti ". Ma purtroppo anche in questo caso vi furono polemiche con i giornali nasiani e poi gli esponenti della mafia erano troppo in alto per essere colpiti, per cui Mori non fu in grado di arrestarli.

Sempre in quell'anno (1911) nel territorio di San Giuliano riuscì a catturare ben 8 delinquenti, responsabili di furti, rapine, omicidi e abigeato. Nel 1912 fu inviato a Castellammare del Golfo dove accertò delle gravi irregolarità commesse in materia di anagrafe del bestiame e nella macellazione. Sempre nello stesso anno in Agosto arrestò 19 persone con l'accusa di associazione a delinquere a scopo di estorsione. A settembre a Castelvetrano arrestò ben 25 persone con l'accusa di abigeato e rapina. Per inciso, come detto prima, l'abigeato e il pizzo sui terreni agricoli era l'attività preferita dalla mafia d'allora.

Nel 1912 arrestò un personaggio che a Trapani era ritenuto intoccabile, Vincenzo Tedesco. In una perquisizione nella sua casa vennero trovati oro, brillanti, argento ed armi di origine furtiva. Quel giorno insieme al Tedesco, tra amici e parenti, vennero arrestati 12 persone. «Il Corriere di Trapani» del 13/10/1912 riporta che l'accusa era quella di associazione a delinquere, di tre rapine, di furto d'animali, di rapine a domicilio, di furti di denaro ed oggetti preziosi, di due estorsioni, di mancato omicidio e di un tentato furto a danno dell'amministrazione dei «tram» di Trapani.

Nel giugno del 1913, dopo che gli fu conferito un attestato di benemerenza, fu inviato a San Giuliano e a Castellammare, dove arrestò il latitante Alberto Pecorella e i pregiudicati Paolo Messina e Filippo Genna. Eseguì moltissimi sequestri di bestiame provenienti da furti effettuati a Corleone e Palazzo Adriano.

Scrisse il «Corriere di Trapani» del 15/06/1913 : "Questo brillantissimo servizio, che è uno dei tanti resi dal cav. Mori, mostra di qual valore è questo funzionario che nella lotta contro la delinquenza locale ha spiegato e spiega tanto intelligenza, zelo ed energia".

Però - scrive Infranca; "La sua presenza cominciò a dare fastidio a qualche «pezzo da novanta», che poteva vantare delle alte protezioni. Cosi a Mori vengono negati premiazioni e forse qualche promozione, come ebbe a lamentarsi egli stesso in una lettera al ministero ". Qualcuno non esclude l'intervento di Nunzio Nasi.

Dopo la scoperta di una bisca clandestina e l'arresto di otto giocatori d'azzardo, avvenuta nell'agosto dello stesso anno, Mori fu promosso vice questore e trasferito a Firenze. Sarebbe tornato come aveva già visto nel 1915.

Ancora una volta, e per due anni, diede prova di grande abilità e capacità. Come detto prima riuscì a catturare e a sgominare la banda di Grisafi, che, dopo una latitanza di ben dieci anni fu messo in manette. Poi, il 7 novembre del 1917 fu nominato questore ad Alessandria.

E qui ritorniamo alla sua nomina Trapani nel 1924. Come detto, Mori arrivava a Trapani pochi giorni prima dell'assassinio di Matteotti. Il giornale «Santa Riscossa» del 30 novembre 1924, dà notizia che solo a Marsala nel giro di un anno erano stati commessi duecentosedici assassini, quasi tutti impuniti. Mussolini che era stato in Sicilia nel maggio del 1924 era venuto a sapere della cosa e soprattutto del prefetto molto chiacchierato di Trapani, Merizzi.

Scrive Duggan: "A quanto pare, la sua rovina fu la sua stretta alleanza con il segretario provinciale di Trapani, Giuseppe Pellegrino, l'uomo di cui l'anno precedente aveva detto che lo avrebbe «liquidato», «ma con cautela, perché ... ha dei meriti fascisti»: Pellegrino era stato accusato di far parte della mafia. Le sue mancanze, però, erano senza dubbio più politiche che morali: non aveva prestigio personale e la sua tenace influenza nel fascismo di Trapani si era risolta nell'esclusione di molti personaggi locali, soprattutto proprietari terrieri. Non fu quindi casuale che l 'uomo scelto per sostituire Merizzi come prefetto di Trapani — Cesare Mori— fosse un alleato tradizionale dell 'élite provinciale".

La lotta alla mafia di allora nella provincia di Trapani era stata dura ma non certo vincente e non per colpa di Mori che almeno la tenne a bada. Gli sviluppi dell'economia trapanese e del latifondo non potevano avere sbocco per tre motivi: in primo luogo i proprietari terrieri che non erano i contadini ma ricchi "industriali" il cui "feudo doveva fruttare soldi, in secondo luogo in provincia vi erano molte cooperative (nel marsalese), e in terzo luogo i piccoli proprietari cedevano, per un tozzo di pane, il loro appezzamento di terreno.

Nell'ottobre del 1925 fu trasferito a Palermo. Da li operò a Gangi (gennaio 1926) dove arrestò dei banditi che vi si trovarono rifugio con la complicità delle autorità locali. Molte le retate a Palermo, Agrigento, Caltanissetta ed Enna con migliaia di arresti per associazione a delinquere.

Di fatto egli stesso riconobbe che le sue operazioni si concretizzavano in: "autocarri di sciagurati avviati alla espiazione di un passato di colpe ". (Con la mafia ai ferri corti, Milano 1932, p. 250). Il 10 gennaio 1928 l'Università di Palermo gli conferì la laurea honoris causa in giurisprudenza. Il 22 dicembre 1928 fu nominato senatore e improvvisamente il 24 giugno 1929, con un telegramma, Mussolini lo collocava a riposo.

Per Mori fu un grosso trauma e inutili furono i suoi tentativi di ottenere la revoca del provvedimento. Così si ritirò a vivere a Roma dove nel 1932 pubblicò il già citato libro sulla mafia: '' Con la mafia ai ferri corti '' e tentò di consegnarne una copia personalmente a Mussolini. Ma non venne mai ricevuto.

Il 18 luglio 1929 con regio decreto, Mori fu chiamato a ricoprire la carica di liquidatore del Sindacato infortuni imprenditori con sede a Bari. Gli ultimi anni della sua vita li ha trascorsi ad Udine, dove fu incaricato di dirigere il Consorzio provinciale di 2° grado per la bonifica della Bassa friulana.

Nel marzo 1942 mori l'amata moglie: gli sopravvisse per pochi mesi e si spense a Udine il 5 luglio 1942. ''

Al termine della relazione è seguito un ampio dibattito al quale hanno partecipato con interesse molti dei presenti che hanno posto al relatore molte domande e richiesto alcune precisazioni. Agli intervenuti il Prof. Costantino ha fornito chiarimenti, delucidazioni e precisazioni.

Alla conclusione del dibattito, la Prof.ssa Musumeci a ricordo della serata ed a nome dell'Associazione ha fatto omaggio al relatore il testo '' Istoria di Trapani '' del Pugnatore di recente pubblicato a cura di S. Costanza.

La serata si è conclusa con l'arrivederci a sabato 5 ottobre 2013 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal calendario delle attività.

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