2013 - 12 - 14 : Prof. Michele Russo - '' A peri zoppu '': solo un gioco fanciullesco dimenticato?

Sabato 14 dicembre 2013 alle ore 18.20 nella sala delle riunioni dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 un numeroso gruppo di soci si è ritrovato per partecipare al penultimo incontro previsto dal programma delle attività per l'anno 2013.
Ospite della serata il Prof. Michele Russo che più volte negli anni precedenti ha partecipato agli incontri settimanali del sabato.    
Il relatore è stato accolto dal Presidente e dai presenti con cordilità e simpatia.   
I lavori della serata sono stati aperti dal Prof. Valenti che dopo una breve comunicazione organizzativa e relativa agli eventi che avranno luogo nei prossimi giorni che vedrannoi la conclusione dell'anno sociale 2013, dopo aver brevemente presentato il conferenziare gli ha ceduto la parola.
Il Prof. Russo, già Dirigente Scolastico, autore di varie ricerche nel campo delle tradizioni relative al territorio e di varie pubblicazioni, ha ringraziato per l'accoglienza ricevuta dai presenti, si è dichiarato contento per l'invito che l'Associazione ancora una volta ha voluto rivolgergli e quindi è entrato nel merito del tema della serata.

Si riporta di seguito ed integralamente la relazione svolta dal Prof. Russo, dallo stesso resa gentilmente disponibile, nonchè la serie di diapositive proiettate nel corso dello svolgimento del tema della serata e di ciò vivamente lo si ringrazia.   

'' La chiaccherata di questa sera è una continuazione di quella dello scorso anno e mira ad affrontare un altro aspetto dei giochi fanciulleschi dimenticati.è 

Per riallacciarmi a quanto allora detto, riassumo brevemente la parte iniziale della mia precedente relazione: i giochi, oltre ad essere una componente importante nel corso della nostra vita, da bambini ad adulti, sono una enciclopedia vera e propria, sono una grande testimonianza di modi di vivere e di pensare dei popoli. Inoltre essi ci fanno conoscere filastrocche dimenticate, leggi ormai non più contemplate dal diritto, antiche preghiere, pratiche magiche o divinatorie, credenze ed aspirazioni dell’umanità.

La scorsa volta vi ho presentato il senso profondo e nascosto che io umilmente ho compreso della filastrocca del gioco “ a trì trì ”, questa sera vedrò di presentarvi la mia interpretazione, certo discutibilissima, di un altro gioco dimenticato, che ci faceva divertire con poco, che ci permetteva di muoverci, di stare all’aria aperta, di socializzare.

Siccome è un gioco silenzioso, non dovendosi ripetere nessuna filastrocca, per avere una conferma alla mia domanda dubbiosa: “ è solo un gioco fanciullesco dimenticato? ” mi sono soffermato sulle sue modalità di svolgimento e sugli schemi usati .

Il gioco ha origini antichissime: alcuni studiosi lo dicono originario dall’antico Egitto da dove, successivamente, dalle legioni romane è stato diffuso in tutto l’impero e, in seguito, dalle potenze successive è stato fatto conoscere in tutto il mondo. Infatti testimonianze di questo gioco si trovano nei paesi anglo – sassoni, in Francia, in Germania, in India, in Tunisia, in Perù, in Nepal, in Argentina, in Olanda, in Romania. E lo giocavano anche bambini cinesi, russi, scandinavi.

In Italia, a seconda della regione, il gioco ha preso il nome di mondo, luna, salto in paradiso, settimana, campana.

Non ricordo più l’esatto nome col quale noi chiamavamo questo gioco, forse ai “quadretti” o molto più probabilmente a “peri zoppu” dal modo di saltellare con un piede. Così, infatti viene tramandato nell’antica Roma, dove è riprodotto su un marciapiede del Foro.

In questo modo ho preferito chiamarlo anch’io

Il gioco era praticato indifferentemente sia dai maschietti che dalle femminucce e consisteva nel fare un percorso saltellando con un piede dentro riquadri disegnati per terra secondo degli schemi prestabiliti.

La modalità del gioco era semplice, ma molto coinvolgente e si svolgeva in tre fasi: si tracciavano per terra, con un pezzo di carbone o di gesso, delle caselle (“case”) numerate da uno a sette, o da uno a otto, o da uno a dodici e si delimitavano le parti terminali con un semicerchio dentro il quale si scriveva cielo in quello superiore e terra in quello inferiore.

Dopo aver fatto la conta per stabilire l’ordine di partecipazione, il primo giocatore prendeva posizione dentro il semicerchio in basso e tirava una piastrella di coccio o una pietra piatta (sciappedd(r)a) nel riquadro contrassegnato col numero 1, evitando di farla cadere fuori dalla “casa” o sopra uno dei lati perimetrali del riquadro. Poi,  saltellando,  reggendosi  su  una  gamba ( a “peri zoppu”) saltava nei riquadri 2 e 3, poi saltava a gambe leggermente divaricate contemporaneamente nei riquadri 4 e 5, di nuovo con un solo piede saltava nel riquadro 6 e a gambe divaricate nei riquadri 7 e 8, dove, con un saltello, in sospensione, girava su se stesso e ritornava saltando nei riquadri con le stesse modalità del percorso di andata. Giunto nel riquadro dentro il quale aveva lanciato la piastrella, curvandosi, la prendeva e completava il percorso fino al semicerchio in basso. Finito il giro, rilanciava la piastrella al numero successivo, fino all’ultimo numero dello schema e ripeteva il percorso secondo la modalità descritta, a meno che la piastrella non andava a posarsi su una linea di divisione o in un riquadro diverso da quello a cui, volta per volta, era destinata. Un altro sbaglio da non fare era toccare le linee di divisione con i piedi durante il percorso. Quando si facevano questi errori il giocatore usciva dal gioco, perdendo il turno, e poteva ricominciare, partendo dalla casella dove aveva commesso l’errore, però, soltanto dopo che tutti gli altri avevano giocato. Ultimato il tiro dei lanci in tutti i reparti, il giocatore poteva occupare una casella della quale diventava proprietario, tracciandovi un segnale in un angolo. Tutti gli altri giocatori, di volta in volta, avrebbero dovuto chiedergli il permesso sia per tirargli la piastrella sia per poggiarvi il piede. In caso negativo il giocatore avrebbe dovuto compiere un salto più lungo per scavalcare la casella.

La fase successiva consisteva nel lanciare nei riquadri la piastrella col piede e poi fare il percorso, mentre nella terza fase la piastrella doveva essere lanciata nei riquadri ad occhi chiusi. Vinceva chi riusciva per primo a possedere più riquadri.

Nello schema a dodici caselle bisognava percorrere tutte le caselle saltellando su un piede e ripetere le tre fasi.

Presentato  così superficialmente, il gioco non mostra nessun motivo di riflessione.

Un gioco come tanti altri da noi praticato all’aria aperta.

Eppure tutti quei nomi diversi tramandati per uno stesso gioco e soprattutto le parole “mondo”, “luna”, “settimana”, “salto in paradiso”, la scritta “terra” nel semicerchio in basso e “cielo” nel semicerchio in alto, lo schema del gioco che va da sette a dodici caselle, le tre fasi ed infine il modo di svolgimento hanno stimolato la mia curiosità e mi hanno fatto venire un insistente pensiero: ma era solo un gioco? O forse i nostri genitori e, a loro volta, i nostri nonni ci hanno tramandato, inconsciamente, un rito di un remotissimo passato? Un rito che era divenuto gioco? O un gioco che successivamente sarebbe stato influenzato da un rito?

 Esaminando i vari schemi di gioco mi ha fatto riflettere di più quello che veniva praticato nelle Marche, con tre riquadri iniziali, quattro caselle triangolari affiancate dentro un quadrato con la scritta “Piaghe” ed infine i tre riquadri finali delimitati da una linea a forma di gobba, dentro i quali veniva scritto “Inferno”, “Purgatorio”, “Paradiso”.

Incomincio a riflettere.

La mia prima attenzione va sui numeri.

La presenza dei numeri scritti nelle caselle doveva avere uno scopo diverso dalla semplice enumerazione.

Mi ricordo allora di aver ascoltato una conferenza sulla simbologia dei numeri nella quale il relatore riferiva che i numeri, nella loro valenza simbolica, data dal loro valore quantitativo e qualitativo e dalla loro interazione con gli altri elementi strutturali del Cosmo, racchiudono un codice segreto per interpretare l’Universo. Approfondisco, pertanto, le mie conoscenze sul significato esoterico dei numeri e sulla loro simbologia ed apprendo che i numeri pari hanno una polarità femminile, quindi sono passivi e rappresentano degli stati dell’essere, mentre i numeri dispari, con polarità maschile, sono attivi e rappresentano degli avvenimenti. Vengo a conoscenza che l’uno da un punto di vista spirituale non è un numero, ma rappresenta l’unico, cioè l’unicità della divinità, il due non proviene dal raddoppiamento dell’uno, ma dalla sua divisione. Il due divide e rompe l’armonia dell’uno, e il ritorno all’unità si ha con il tre. Il numero successivo, il quattro, è il più perfetto tra i numeri, essendo la radice degli altri numeri e di tutte le cose. Esso simboleggia la virtù generatrice da cui derivano tutte le combinazioni. È l’emblema del moto e rappresenta sia il corporeo cioè il sensibile, sia l’incorporeo cioè lo spirito.

 Il sette esprime la globalità, l’universalità, l’equilibrio perfetto e rappresenta un ciclo compiuto e dinamico, partecipando della duplice natura fisica e spirituale, umana e divina.

Continuando a soffermarmi sulla simbologia dei numeri, possiamo brevemente dire che il numero otto è fra i simboli il più antico: questo numero  è universalmente considerato come il numero dell’equilibrio cosmico.

Per finire, il numero dodici è il più sacro fra i numeri. Il dodici indica la ricomposizione della totalità originaria, la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia.

La conoscenza, anche se in modo superficiale, di tale simbologia mi spinge a vedere il gioco con altri occhi e mi rafforza la convinzione che in tal gioco sicuramente sopravvivono ricordi di arte magica, di credenze religiose e di astrologia, che quel gioco, noto col nome  “peri zoppu”, senza saperlo ci ha tramandato un rito iniziatico.

Infatti, applicando la simbologia dei numeri allo schema di gioco praticato nelle Marche, appare chiaro che:

Lo schema può essere suddiviso in tre fasce: la prima con caselle avente una numerazione da uno a tre, la seconda rappresentata con un riquadro a sua volta suddiviso in quattro spicchi, per terminare con tre caselle contenente la scritta “ Inferno”, “Purgatorio” “Paradiso”. Appare chiaro che in questo schema, nelle caselle iniziali e finali, c’è la prevalenza del numero tre, il simbolo dell’inizio del tutto: la vita, ma che è anche il simbolo della fine del tutto: l’eternità.

Se vogliamo rappresentare il numero tre con una figura geometrica, ci viene subito in mente il triangolo, che diviene il simbolo esemplare del ritorno dal multiplo all’unità: infatti, due punti separati nello spazio, si assemblano e si riuniscono in un terzo situato in posizione asimmetrica e ci danno la figura di un triangolo. Ciò spiega perché il triangolo è il simbolo della conciliazione e dell’unicità, è il simbolo con cui viene rappresentata la divinità nel Vecchio Testamento.

 Tornando allo schema precedente praticato nelle Marche, osserviamo che nella parte centrale c’è la prevalenza del numero quattro che ci colpisce con una figura geometrica: un quadrilatero. Ma il quadrilatero dello schema del gioco è diviso in quattro spicchi, dovuti alla congiunzione dei vertici trasversalmente opposti, formando graficamente quattro triangoli, venendosi così a simboleggiare la vita, come pienezza e perfezione nella sua componente umana e divina. Abbiamo infatti detto che il quattro rappresenta l’incorporeo: la virtù generatrice e il corporeo: la materia. Inoltre, quattro sono gli elementi che i Presocratici hanno indicato come origine dell’universo: fuoco, acqua, terra, aria; quattro sono le stagioni dell’anno: primavera, estate, autunno, inverno; quattro i periodi della vita: infanzia, pubertà, maturità, vecchiaia. Il 4 è scomponibile in 1+3, la monade (uno) ed il triangolo (tre) e simboleggia l’Eterno e l’uomo che porta in sé il principio divino della procreazione. Infine, questa parte centrale dello schema è formata da quattro triangoli iscritti nel quadrato, cioè dall’unione della triade con la tetrade, cioè del 3+4 la cui somma fa 7 che, nella simbologia, esprime la globalità, l’universalità, l’equilibrio perfetto, il ciclo compiuto e dinamico. Il sette, infatti, è stato considerato fin dalla antichità il simbolo magico e religioso della perfezione, perché legato al ciclo lunare. Il numero sette dai Pitagorici fu considerato simbolo di santità, i Greci lo chiamarono venerabile, Platone lo chiamò anima mundi, presso gli Egizi simboleggiava la vita, presso gli Ebrei l’alleanza con la divinità, raffigurata con il candelabro a sette bracci.

Inoltre se moltiplichiamo i tre lati di ogni triangolo per il numero dei lati del quadrato abbiamo come risultato dodici, il numero più sacro fra i numeri, quello che indica la ricomposizione della totalità originaria: l’immortalità.

Infine, se immaginiamo di guardare questa parte centrale dello schema come se si fosse su un aereo, la figura geometrica che ci appare è quella di un solido: la piramide. Non per niente i Faraoni scelsero come loro sepoltura la piramide. In quella sepoltura avrebbero continuato a vivere, la vita terrena in una vita non terrena, utilizzando tutto ciò che la vita terrena aveva dato loro.

Se ci soffermiamo ancora sul quadrilatero vediamo la scritta “piaghe” e possiamo individuare una croce formata dalle linee di congiunzione dei vertici trasversalmente opposti. Ciò fa capire che la terra è il luogo della sofferenza: “Tu, uomo, mangerai il frutto del sudore della tua fronte e tu, donna, partorirai nel dolore” fu la condanna che Dio pronunciò contro Adamo ed Eva, ma fece loro capire anche che avrebbe mostrato la via per il loro riscatto. E la via è nella croce, simbolo dell’orientamento, dei quattro punti cardinali, e quindi il simbolo della salvezza, che è anche il simbolo della passione di Cristo, croce attraverso la quale Cristo ricongiunse la sua e tutta l’umanità con la divinità, simbolo che è espresso a pieno nello schema  a sette caselle: la figura che si viene in questo a formare disegnando le caselle è quella di una croce.

Quel riscatto – ci fa capire lo schema - deve avvenire attraverso le difficoltà, la sofferenza, il dolore, le piaghe. Ma quel riscatto non è uguale per tutti, perché attraverso le prove superate ci si può fermare ad uno stadio minimo, uno intermedio, uno più alto, il paradiso, il cui riquadro è delimitato da una linea con la gobba ad indicare il cielo.

Giunto a questa conclusione mi è venuto più  facile comprendere lo schema a sette e a otto caselle.

Entrambi hanno tre caselle iniziali che, come nella descrizione dello schema precedente, sono il simbolo dell’inizio; la parte centrale è composta da quattro riquadri nello schema a sette e da cinque caselle nello schema ad otto. Sul numero quattro abbiamo detto prima. Il numero cinque è un numero molto carico di significato simbolico. In matematica è il terzo numero primo dopo il tre e prima del sette, inoltre è la somma di due numeri elevati al quadrato: 12 + 22. Ma è anche la somma del numero due col numero tre e, nel simbolismo, il numero due ha una polarità femminile, un numero passivo, mentre il numero tre ha una polarità maschile, cioè attiva. Il cinque, come congiunzione del due col tre, diviene il simbolo del principio della vita. Nell’Induismo col cinque si vuole indicare Shiva, come signore dell’Universo e come tale viene raffigurato con cinque volti a simboleggiare la padronanza sui cinque elementi: acqua, aria, terra, fuoco, etere. Cinque è il numero dei sensi. Quindi il cinque è il numero dell’umanità, come mediano tra terra e cielo e simboleggia l’evoluzione verticale, la possibile trascendenza verso una condizione superiore: il cielo raffigurato nel semicerchio superiore.

Restando nella simbologia numerica, nello schema ad otto caselle, dobbiamo soffermarci anche su questo numero. L’otto è il più antico nella simbologia numerica. È il numero delle indicazioni nella Rosa dei venti e dei petali del frutto del loto. Inoltre il numero otto è universalmente considerato come il numero dell’equilibrio cosmico.       Nella terminologia buddista rappresenta i sentieri della vita e, pertanto, i loro templi hanno la forma ottagonale, che è quella che Federico II ha dato alla sua torre a Castel del Monte in Puglia come a voler rappresentare il simbolo dell’infinito, come lo è in matematica se noi ruotiamo il numero otto di 90°. Se rivolgiamo la nostra attenzione alla simbologia della religione cristiana ci accorgiamo che l’ottavo giorno rappresenta la trasfigurazione e il Nuovo Testamento. Infatti, dopo i sei giorni della creazione e dopo il settimo, il sabato, l’ottavo annuncia l’eternità, la resurrezione di Cristo e quella dell’uomo.

Per finire esaminiamo lo schema a dodici caselle sempre con la mente rivolta alla simbologia numerica.

Il dodici è il più sacro fra i numeri. È in stretta relazione con il tre poiché è composto unendo  l’uno e il due e 1+2=3 e, poichè è dato dalla moltiplicazione di 3x4, il dodici indica la ricomposizione della totalità originaria, la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia. Infatti indica la ricomposizione di un ciclo compiuto rappresentata nei dodici segni dello zodiaco e nelle dodici ore in cui è diviso l’orologio, nei dodici mesi in cui si divide l’anno. In molte culture si diventa adulti a dodici anni e solo allora si può partecipare ai riti sacri ed esoterici che comprendono prove fisiche e mistiche da compiere in modo molto difficile per poter raggiungere una vera crescita. Il numero dodici ed i suoi multipli si ripetono molte volte nella Bibbia, nell’Apocalisse di San Giovanni  ed anche nel Vangelo. Dodici sono i figli di Giacobbe che diedero il nome alle dodici tribù d’Israele, dodici frutti aveva l’albero della vita, dodici sono le porte della cinta muraria di Gerusalemme, dodici i gioielli dei sacerdoti, dodici le stelle della corona che ha sul capo la donna vestita di sole che San Giovanni ci presenta nell’Apocalisse, dodici i discepoli di Gesù.

E inoltre, se andiamo a qualche mito o leggenda, riscontriamo che dodici sono state le fatiche di Ercole, ed ancora dodici i cavalieri della tavola rotonda. Dodici raggi possiede il rosone gotico della chiesa di Notre – Dame di Parigi.

La conoscenza, anche se superficiale, di tale simbologia, che mi aveva spinto ad esaminare il gioco con altri occhi, mi rende certo che in esso sicuramente sopravvivono ricordi di arte magica, di credenze religiose e di astrologia.

Le caselle disegnate rappresenterebbero così i pianeti, i cieli dell’antichità, i dodici segni dello zodiaco, ma rappresenterebbero anche stadi valoriali, prove da affrontare attraverso un cammino di iniziazione. Un cammino difficile, pieno di ostacoli da superare prima di giungere alla salvezza e alla visione di Dio. Ma è un cammino da percorrere lentamente, a piccoli saltelli, come fa lo zoppo nel camminare.

Un ultimo dubbio mi assale: “se tutto è simbologia, cosa rappresenta la piastrella che viene lanciata nelle caselle?”

Alla luce di quanto sopra detto la risposta è semplice.

Se consideriamo il gioco come una rappresentazione cosmica, la piastrella è il sole che, visitando tutte le “stanze” dell’Universo, le illumina con la sua luce, se invece, come è più probabile, consideriamo il gioco come un cammino di iniziazione esoterica, la piastrella è il simbolo dell’anima umana, la quale, partendo dalla terra, attraverso i vari stadi del gioco e attraverso le tre prove, giunge alla sua perfezione e alla sua salvezza, al cielo.

Tale approfondimento aveva rischiarato tutti i miei dubbi e mi presentava il gioco come la narrazione simbolica di un viaggio nell’aldilà, come un viaggio attraverso i tre regni dell’oltretomba, dall’abisso infernale all’alto dei cieli, e che nella nostra religione, il Cristianesimo, simboleggia il viaggio sulla Terra, che ciascun  cristiano compie prima di poter tornare al Cielo, a Dio, sommo Creatore.

Tali approfondimenti mi avevano fatto capire che quei bambini della mia fanciullezza e di generazioni passate, giocando a “peri zoppu” avevano continuato, senza saperlo, a mantenere in vita un gioco iniziatico come trasposizione di una immaginaria e suggestiva Divina Commedia.

Arrivato a questa constatazione un altro dubbio mi assale: quali miti o culti vi sopravvivrebbero?

Ancora una volta bisogna procedere  a “peri zoppu”. Ma il cammino è lungo. Per adesso ci riposiamo.

 

La  fine della relazione è stata seguita da un dibattito a cui hanno partecipato molti dei presenti in sala che hanno apportato alla discusione le loro esperienze ed i ricordi dei loro giochi giovanili nonchè le diverse modalità con cui li esguivano e li portavano a conclusione con il semplice piacere di passare in compagnia dei loro coetanei alcune ore di spensieratezza e di divertimento.

I quesiti che l'oratore si è posto ed ai quali ha cercato di fornire con le sue ricerche una plausibile spiegazione, che come da lui specificatamente sottolineato possono o non possono essere accettati e condivisi, hanno messo in crisi alcuni degli ascoltatori che in quel gioco, che pur diventando più difficoltoso nelle sue diverse e successive fasi, vedevano solamente un passatempo ed un modo  di far passare il tempo in un modo nel complesso gioioso e spensierato.

In quanto riferito c'è in realtà del vero?, è solamente pura fantasia?, o è anelito inconscio dell'uomo ad affrontare difficoltà via via più grandi per raggiungere mete sempre più alte?

Ognuno è libero di pensarla come vuole e come crede, ma talvolta il porsi delle domande induce a riflettere ed a soffermarsi su certi interrogativi cosa che oggi molto raramente si fa in un mondo che corre sempre più velocemente e nel quale si stenta talvolta a mantenersi al passo trascurando di riflettere su quelli che sono i problemi e le tematiche che ognuno di noi si porta nella parte più intima del proprio essere.

Chiuso il dibattito, il Prof. Valenti ha ringraziato il Prof. Russo della sua disponibilità ed a nome dell'Associazione ed a ricordo della serata gli ha offerto il testo '' Historia di Trapani '' del Pugnatore di recente riedito a cura del Prof. Costanza.

La serata si è conclusa con l'arrivederci a venerdì 20 dicembre 2013 alle ore 18.00 nel locali del Circolo del tennis di Trapani in località Milo Errante per l'incontro con il Prof. Burgarella cui seguirà la tradizionale Conviviale che concluderà il corrente anno sociale.                                                 

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