2014 - 04 - 26: Prof. Salvatore Corso - La Chiesa di Trapani ed il Concilio
Sabato 26 aprile 2014 alle ore 18.20 nella sala delle riuniomi dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, dopo il periodo pasquale, sono riprese gli incontri previsti dal calendario delle attività del XXVIII Corso di cultura per l'anno 2014.
In assenza del Presidente, Prof. Valenti Salvatore, ha fatto gli onori di casa la Vicepresidente, Prof.ssa Rosalba Musumeci che dopo aver accolto l'oratore della serata ha aperto i lavori con due comunicazioni:
- il Prof. Giuseppe Carlo Marino, oratore in calendario per la serata, non è potuto essere presente per cui il tema la sua relazione è stata rinviata a data da destinarsi.
In sostituzione è intervenuto il Prof. Salvatore Corso che ha recuperato così la relazione prevista in precedenza per sabato 1° febbraio 2014 sullo stesso tema e precedentemente annullata
- ha informato i soci presenti del decesso della socia Giuseppina ( Elsa ) Laon, da tutti benvoluta e conosciuta, avvenuto il 24 aprile u.s. dopo lunga malattia sopportata con coraggio. Al coniuge Erminio Gandolfo ed ai figli, i presenti hanno rivolto le loro più sentite condoglianze ed il proprio rincrescimento per il lutto che li ha colpiti.
Chiusa questa parte iniziale, dopo aver brevemente presentato il relatore, la Prof.ssa Musumeci gli ha ceduto la parola.
Il Prof. Corso, più volte invitato dall'Associazione negli anni precedenti a partecipare alle sue attività, dopo aver ringraziato la stessa ed i presenti è entrato in argomento illustrando coincisamente gli eventi che si sono succeduti nella chiesa di Trapani, ad iniziare dalla data della istituzione della diocesi e del suo successivo ampliamento, fino ai nostri giorni in relazione a quanto stabilito e deciso dal Concilio Vaticano II voluto da Giovanni XXIII e delle innovazioni da esso apportate nella Chiesa dei nostri giorni.
Di seguito si riporta integralmente la relazione preparata sull'argomento dal Prof. Salvatore Corso e da Angelo Bertucci e illustrata, come prima detto, coincisamente nel corso dell'incontro e gentilmente resa disponibile dal relatore della serata.
'' Relazione: La Chiesa di Trapani ed il Concilio
Documenti dalla e sulla Diocesi di Trapani attorno al Concilio Ecumenico Vaticano II di Salvatore Corso e Angelo Bertucci.
Non si giudichi pleonastico spiegare in anteprima i due termini accostati nel titolo del presente lavoro, per delimitare l'ambito di questa raccolta di documenti affiancati da riflessioni su fatti e personaggi di un tempo che ancora è vita vissuta. Vita vissuta che ne fa una testimonianza, pur con il rischio di sopravvalutare la contemporaneità e di manomettere la cosiddetta imparzialità storica.
Chiesa intesa come istituzione da considerare unitariamente con l'avvenimento di eccezionale portata come unanimemente è riconosciuto un Concilio, ossia specificamente con il rinnovamento o modernità, come si ricava dall'ecclesiologia del Vaticano II. Sicché oggi non si può guardare alla Chiesa cattolico-romana senza includervi l'evento Concilio. Ed è l'ultimo dei ventotto Concili Ecumenici nella cronologia stabilita dalla Chiesa cattolico-romana, a differenza della Chiesa ortodossa bizantina che riconosce solo i primi sette fino al Nicea II del 787, mentre le Chiese orientali pre-calcedonesi si fermano ai primi tre, ossia Nicea I del 325, Costantinopoli I del 381 ed Efeso del 431. Evidentemente ciascun Concilio mostra la sua impronta specifica di rinnovamento, quello maturato dalle circostanze che lo hanno richiesto o per sedare interne lotte tra interpreti del messaggio cristiano o per fornire alle comunità orientamenti di vita.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II già nella sua proposta avanzata da papa Giovanni XXIII (1881-1963) il 25 gennaio 1959 doveva costituire un aggiornamento pastorale etale lo rivela il complesso dei documenti approntati, dopo affannosa redazione, dall'll ottobre 1962 al 7 dicembre 1965. I multiformi documenti indicano la pregnanza dell'aggiornamento pastorale: 4 Costituzioni: Sulla Sacra liturgia, Sulla Chiesa, Sulla Divina Rivelazione, Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo; 9 Decreti: Sugli strumenti di comunicazione sociale, Sull'Ecumenismo, Sulle Chiese cattoliche orientali, Sull' Ufficio pastorale dei vescovi, Sul rinnovamento della vila religiosa, Sulla formazione sacerdotale, Sull'aposlolato dei laici, Sull'attività missionaria della Chiesa, Sui ministero e la vita sacerdotale; 3 Dichiarazioni: Sull'educazione cristiana, Sulle relazioni della Chiesa con le Religioni non cristiane, Sulla libertà religiosa.
Ovviamente aggiornamento pastorale ossia rinnovamento richiama il termine ricorrente nella storiografia modernità che, quando è distanziato da Chiesa intesa comunemente come istituzione, introduce l'accezione peggiorativa modernismo con cui nella letteratura ecclesiale si designa una interpretazione, normalmente considerata fuorviante, del rapporto tra i due termini Chiesa e modernità. E ciò avviene secondo le periodizzazioni in cui è stato da più parti suddiviso il rinnovamento ossia il movimento modernista genericamente inteso, che ha attraversato un tempo consistente segnato dall'eredità dell’illuminismo e della Rivoluzione francese. Le periodizzazioni partono dal pre-modernismo delineatosi nel XIX secolo anche in Italia, con sue peculiarità che derivavano da autori come Antonio Rosmini (1787-1855) e Vincenzo Gioberti (1801-1852), ma anche Raffaello Lambruschini (1788-1873) e l'ex-gesuita Carlo Maria Curci (1810-1891); segue il modernismo agli inizi del '900 impersonato in Italia dal teologo Ernesto Buonaiuti (1881-1946), antesignano, accompagnato, per i risvolti sociali, da Romolo Murri (1870-1944), con amici ed epigoni fino a ridosso della prima guerra mondiale; né meno caratterizzato il neo-modernismo quale esigenza di rinnovamento riemersa prima e dopo il Concilio Vaticano II. Neo-modernismo, quindi, in continuità, così enunciato da quando Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam suam del 21 giugno 1964, in pieno concilio, nella prima parte, aveva elevato i suoi ammonimenti contro i tentativi di una sopraffazione da parte del mondo profano con le sue proprie tendenze, in cui situava il modernismo d'inizio secolo; più esplicitamente, nella seconda parte, aveva defmito relativismo e naturalismo «ogni modernismo». Lo stesso papa vi tornava a più riprese nei suoi messaggi, segnatamente il 7maggio 1969, quando difendeva l'autentica fede cristiana dal «moderni smo vecchio e nuovo». Non ci vuole molto per sentire amplificate queste espressioni da quelle di un autore vicino a papa Montini, Jacques Maritain in Le paysan de la Garonne (apparso in Francia nel 1966 e in Italia nel 1969), dove denunciava la febbre neo-modernisia, a confronto della quale il modernismo degli interventi di Pio X risulterebbe un modesto raffreddore da fieno.
Concilio Ecumenico Vaticano II, allora, dove sotto l'aggiornamento pastorale riecheggiavano le tesi dei modernisti stranieri ed italiani, trasmesse alla nuova generazione dei neo-modernisti che dal Concilio attendevano un risanamento dopo la frattura creatasi con le condanne antiche e nuove, segnatamente con l'enciclica di Pio X Pascendi dominici gregis del 1907 e con le altre di Pio XI e Pio XII contro la theologie nouvelle ed altri novatori che avevano tentato diverse vie nella teologia e nella prassi ecclesiale. Conseguentemente i cronisti più preparati ed attenti del Concilio non sminuivano la tensione che si scorgeva nell'aula conciliare e ne trasmettevano i sentori a quanti si preparavano a comprendere l'evento sulla scorta della propria sensibilità teologica, nonché con la lettura dei volumi che l'editoria approntava con sollecitudine sulle osservazioni degli esperti al seguito dei Padri conciliari e sulle conferenze che si tenevano in centri di diffusione attrezzati.
Documenti dalla e sulla Diocesi di Trapani attorno al Concilio Ecumenico Vaticano II di Salvatore Corso e Angelo Bertucci.
Non si giudichi pleonastico spiegare in anteprima i due termini accostati nel titolo del presente lavoro, per delimitare l'ambito di questa raccolta di documenti affiancati da riflessioni su fatti e personaggi di un tempo che ancora è vita vissuta. Vita vissuta che ne fa una testimonianza, pur con il rischio di sopravvalutare la contemporaneità e di manomettere la cosiddetta imparzialità storica.
Chiesa intesa come istituzione da considerare unitariamente con l'avvenimento di eccezionale portata come unanimemente è riconosciuto un Concilio, ossia specificamente con il rinnovamento o modernità, come si ricava dall'ecclesiologia del Vaticano II. Sicché oggi non si può guardare alla Chiesa cattolico-romana senza includervi l'evento Concilio. Ed è l'ultimo dei ventotto Concili Ecumenici nella cronologia stabilita dalla Chiesa cattolico-romana, a differenza della Chiesa ortodossa bizantina che riconosce solo i primi sette fino al Nicea II del 787, mentre le Chiese orientali pre-calcedonesi si fermano ai primi tre, ossia Nicea I del 325, Costantinopoli I del 381 ed Efeso del 431. Evidentemente ciascun Concilio mostra la sua impronta specifica di rinnovamento, quello maturato dalle circostanze che lo hanno richiesto o per sedare interne lotte tra interpreti del messaggio cristiano o per fornire alle comunità orientamenti di vita.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II già nella sua proposta avanzata da papa Giovanni XXIII (1881-1963) il 25 gennaio 1959 doveva costituire un aggiornamento pastorale etale lo rivela il complesso dei documenti approntati, dopo affannosa redazione, dall'll ottobre 1962 al 7 dicembre 1965. I multiformi documenti indicano la pregnanza dell'aggiornamento pastorale: 4 Costituzioni: Sulla Sacra liturgia, Sulla Chiesa, Sulla Divina Rivelazione, Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo; 9 Decreti: Sugli strumenti di comunicazione sociale, Sull'Ecumenismo, Sulle Chiese cattoliche orientali, Sull' Ufficio pastorale dei vescovi, Sul rinnovamento della vila religiosa, Sulla formazione sacerdotale, Sull'aposlolato dei laici, Sull'attività missionaria della Chiesa, Sui ministero e la vita sacerdotale; 3 Dichiarazioni: Sull'educazione cristiana, Sulle relazioni della Chiesa con le Religioni non cristiane, Sulla libertà religiosa.
Ovviamente aggiornamento pastorale ossia rinnovamento richiama il termine ricorrente nella storiografia modernità che, quando è distanziato da Chiesa intesa comunemente come istituzione, introduce l'accezione peggiorativa modernismo con cui nella letteratura ecclesiale si designa una interpretazione, normalmente considerata fuorviante, del rapporto tra i due termini Chiesa e modernità. E ciò avviene secondo le periodizzazioni in cui è stato da più parti suddiviso il rinnovamento ossia il movimento modernista genericamente inteso, che ha attraversato un tempo consistente segnato dall'eredità dell’illuminismo e della Rivoluzione francese. Le periodizzazioni partono dal pre-modernismo delineatosi nel XIX secolo anche in Italia, con sue peculiarità che derivavano da autori come Antonio Rosmini (1787-1855) e Vincenzo Gioberti (1801-1852), ma anche Raffaello Lambruschini (1788-1873) e l'ex-gesuita Carlo Maria Curci (1810-1891); segue il modernismo agli inizi del '900 impersonato in Italia dal teologo Ernesto Buonaiuti (1881-1946), antesignano, accompagnato, per i risvolti sociali, da Romolo Murri (1870-1944), con amici ed epigoni fino a ridosso della prima guerra mondiale; né meno caratterizzato il neo-modernismo quale esigenza di rinnovamento riemersa prima e dopo il Concilio Vaticano II. Neo-modernismo, quindi, in continuità, così enunciato da quando Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam suam del 21 giugno 1964, in pieno concilio, nella prima parte, aveva elevato i suoi ammonimenti contro i tentativi di una sopraffazione da parte del mondo profano con le sue proprie tendenze, in cui situava il modernismo d'inizio secolo; più esplicitamente, nella seconda parte, aveva defmito relativismo e naturalismo «ogni modernismo». Lo stesso papa vi tornava a più riprese nei suoi messaggi, segnatamente il 7maggio 1969, quando difendeva l'autentica fede cristiana dal «moderni smo vecchio e nuovo». Non ci vuole molto per sentire amplificate queste espressioni da quelle di un autore vicino a papa Montini, Jacques Maritain in Le paysan de la Garonne (apparso in Francia nel 1966 e in Italia nel 1969), dove denunciava la febbre neo-modernisia, a confronto della quale il modernismo degli interventi di Pio X risulterebbe un modesto raffreddore da fieno.
Concilio Ecumenico Vaticano II, allora, dove sotto l'aggiornamento pastorale riecheggiavano le tesi dei modernisti stranieri ed italiani, trasmesse alla nuova generazione dei neo-modernisti che dal Concilio attendevano un risanamento dopo la frattura creatasi con le condanne antiche e nuove, segnatamente con l'enciclica di Pio X Pascendi dominici gregis del 1907 e con le altre di Pio XI e Pio XII contro la theologie nouvelle ed altri novatori che avevano tentato diverse vie nella teologia e nella prassi ecclesiale. Conseguentemente i cronisti più preparati ed attenti del Concilio non sminuivano la tensione che si scorgeva nell'aula conciliare e ne trasmettevano i sentori a quanti si preparavano a comprendere l'evento sulla scorta della propria sensibilità teologica, nonché con la lettura dei volumi che l'editoria approntava con sollecitudine sulle osservazioni degli esperti al seguito dei Padri conciliari e sulle conferenze che si tenevano in centri di diffusione attrezzati.
L'attesa
Questa premessa introduce la testimonianza di chi seguiva da Trapani, attraverso le cronache, soprattutto de «L'Osservatore Romano», non meno mediante i saggi in riviste specializzate, oppure nei periodici ritorni a Roma, la preparazione e poi lo svolgimento del Concilio, cosicché non sfuggiva l'urgenza di trovare nella storia della Chiesa di Trapani riferimenti che in qualche modo immettessero in quello straordinario evento.
E la storia rivelava come dal distacco dalla diocesi di Mazara del Vallo, che vantava un impianto normanno, nel 1844 si era formata la diocesi di Trapani, per esigenze prevalentemente politiche e di concordato con il governo dei Borboni, diocesi nuova che non era stata esente da fermenti volti a reclamare un modo diverso di essere Chiesa. Era stata retta da vescovi filo-borbonici che avevano curato prevalentemente l'assetto istituzionale: Vincenzo Maria Marolda (*1803), Vincenzo Ciccolo-Rinaldi (*1801) e Giovanni Battista Bongiorrno (*1830). Avevano rafforzato il potere regale allorché, proprio in occasione dei moti rivoluzionari del 1848 e del 1860, si rivelarono illiberali e dovettero esulare. La reazione non era mancata soprattutto da parte dei trapanesi Vito Pappalardo (1818-1893) e Alberto Buscaino Campo (1826-1895) che, con proclami e contatti, capeggiarono in Sicilia la rivolta contro il potere temporale e contro il potere pressante della Chiesa sulla società, ossia il cosiddetto regime di cristianità. Considerati comunemente veri patrioti, ma soprattutto educatori, in combutta con l'autoritarismo ecclesiastico, questi due antesignani erano pervenuti al di là del cattolicesimo liberale cui pure tuttora si sogliono inquadrare, in quanto nutriti di conciliarismo e di critica dei testi sacri. Teologi, quindi, proprio perché non si fermavano alla generica modernizzazione, con la riforma del devozionalismo e con l'apertura ai bisogni sociali altrove in Sicilia sperimentata, ma puntavano alla centralità della coscienza e ad una visione critica della teologia tradizionale. Ed è singolare che Pappalardo nel1860 avesse pubblicato in traduzione, nell'opuscolo Poche verità al buon senso cattolico, dodici considerazioni del teologo francese Jean Charlier de Gerson (1363-1425), stilate ai tempi del Concilio di Costanza (1414-1418) in un clima di tensioni in cui si affermava la superiorità del Concilio sul papa. Non a caso Pappalardo li additava per la loro attualità contro la scomunica papale verso i fautori dell'unificazione nazionale e contro qualsiasi sentenza ingiusta del potere ecclesiastico, in nome della libertà di coscienza. In tutta la polemica entrava Buscaino Campo, appoggiando Pappalardo nella consapevolezza che il potere temporale costituisse un tradimento dei testi neotestamentari e delle attese della cristianità che, spoglia di privilegi e di dogmatismi, scorgeva articolata in ciascuna Chiesa locale. Il pre-modernismo inquadra questi ed altri teologi in tutta la Sicilia, di cui si ricordano, a titolo esemplificativo: Filippo Bartolomeo (1798-1877) di Messina, Michele Stella (1800-1877) di Catania, Salvatore Di Bartolo (1834-1906) di Palermo e Vincenzo Caprera (1839-1920 c.) di Caltanissetta. Sono artefici di rinnovato sentire in una società tuttora restia a cogliere nelle loro opere l'esigenza del rinnovamento. Le idee liberali, che, inoltre, emergevano anche nel clero, non erano estranee alla richiesta di maggiore partecipazione alla vita religiosa. Nelle opere di questi pionieri due le rivendicazioni simbolo: l'abolizione del potere temporale del papa e la gestione conciliare e non verticistica della Chiesa.
Istanze di riforma di tipo partecipativo e conciliare, queste, espresse quasi costantemente da tali teologi, riemergono a distanza di alcuni decenni, dinanzi ad atteggiamenti intolleranti quando, dopo la breccia di Porta Pia del l870, pressavano centralizzazione romana e aggregazioni cattoliche programmate ad instaurare nella Nazione appena unificata il regime di cristianità. Da allora la costituzione dei Comitati cattolici si diffuse in tutta la Sicilia, anche se di indirizzo prettamente sociale, e giunse a Trapani tra i primi atti che il vescovo Stefano Gerbino (1834-1906) promosse. Si distinsero tra i preti sociali, Francesco Pellegrino (+ 1910) e Giuseppe Zichichi (1858-1927), lontani dalla politica laica e populista di Nunzio Nasi (1850-1935) che si accordava con gli agrari contro i socialisti, con i quali, invece, i pionieri del movimento cattolico si collegavano, prima che interventi dall'alto irreggimentassero le attività all'insegna del conservatorismo. Di più vasta incidenza si rivelarono altri innovatori nel campo storico-teologico, attraverso inquietudini e defezioni avvertite già nel 1902 dal vescovo Gerbino che per la conduzione permissiva della diocesi fu deferito energicamente dal capitolo cattedrale a Pio X, da cui venne nel 1906 la rimozione. Una reazione intransigente che represse ma non spense i fermenti di rinnovamento, tanto da sopravvivere giungendo con un fardello pesante fino al ventennio fascista. Modernismo, allora, di cui è stata inficiata, secondo certa tradizionale valutazione, la diocesi di Trapani accanto a quella di Monreale, le due emblematicamente additate, prima che un'analisi puntuale ne testimoniasse recentemente risvolti ed epigoni in tutte le diocesi della Sicilia.
Proprio in quegli anni spiccava nella Chiesa di Trapani la congiuntura critica del giovane Antonino De Stefano (1880-1964), prete dal 1903, che nei suoi periodici rientri a Trapani, da Roma o dall'estero dove perfezionava i suoi studi teologici, non si stancava di attrarre proseliti. Il suo modernismo era condiviso appieno con i corifei italiani, il romano Ernesto Buonaiuti e il marchigiano Romolo Murri, come con il palermitano Giorgio La Piana (1878-1971) già suo compagno a Monreale. De Stefano era sintonizzato con loro anche quando sceglieva, dopo la militanza nella «Revue Moderniste Internationale» fondata da lui a Ginevra nel 1910, il vasto campo dell'eresia pauperistica medievale. Militanza, la sua, dalla prima ora, che non si arrese alle conseguenze dello spionaggio perpetrato contro di lui nel 1909 dall'emissario della Curia papale di Pio X, quando il vescovo di Trapani Francesco Maria Raiti (1864-1932) fu interpellato e si tenne a contatto con il padre di Antonino, un agrario aderente ad uno dei circoli cattolici, costretto, alla fine, a sanare i debiti esorbitanti del figlio ed a subire le sue scelte di vita. De Stefano, in verità, aveva definito il modernismo vero dramma intimo con ripercussioni sociali, dichiarandosi pronto a superare ogni compromesso architettato da intrighi di artefici prezzolati. Se ne liberava con destrezza durante il rientro definitivo in Italia, anche se vagava per le sedi universitarie prima di giungere a Palermo, dove produsse i suoi corposi saggi, dal regno normanno a Federico II ed all'era aragonese fino all'umanesimo siciliano. Scardinava, cosi, attraverso i suoi studi, il potere della Chiesa ed auspicava la sua riforma pauperistica e spiritualista, propugnando il superamento del medievalismo auspicato da uno dei pionieri d'oltr'Alpe, il gesuita George Tyrrell (1861-1909), cui rimase legato nell'anticipare il rinnovamento ecclesiale.
Non può mancare, dopo De Stefano, Giuseppe Sansica (1877-1966) per illustrare la frattura persistente all'interno della Chiesa di Trapani, tra quanti vivevano sulle impronte del cattolicesimo "municipale", ossia immerso nei compromessi massonici e mafiosi, e quanti aderivano silenti o battaglieri alla propaganda del modernismo nelle sue varie forme. Perché Sansica si colloca tra antimodernismo e modernismo: ha esercitato il ministero di prete dal 1900 e dal 1907 il ruolo di segretario e diretto collaboratore del vescovo Francesco Maria Raiti che lo scelse appena insediatosi in diocesi, dopo una crisi interna di sopraffazione clericale contro il precedente vescovo. Sansica rimase accanto a lui ininterrottamente fino alla improvvisa fuga da Trapani, allorché nel 1922 da Milano scrive la sua rinunzia al ministero presbiterale ed intraprende una nuova vita. Itinerario che già aveva tracciato anche nella sua, seppure sparuta, produzione scritta; itinerario tanto più significativo in quanto percorso ininterrottamente a fianco del vescovo Raiti, agguerrito antimodernista.
Oltre a questi due modernisti riconosciuti dalla recentissima storiografia, meritano di essere ricordati almeno quelli che hanno abbandonato a Trapani il ministero per scelte teologiche e di vita, anche se non lasciarono scritti specifici sulla crisi maturata: Rosario Scalabrino (1878-1975), Paolo La Vespa (1878-1962), Giovanni La Sala (1880-1955), Vito Virga (1882-1958), Giovanni Battista Bonanno (*1882) emigrato nel 1932 a Tunisi facendo perdere le sue tracce, Giuseppe Di Dia (*1893) prete dal 1916 laureato in teologia, poi insegnante laico a Trapani. Il loro modernismo riecheggiava continuamente, anche perché parecchi di loro si stabilirono nella diocesi di Trapani, o vi tornavano di frequente, negli ultimi anni del loro insegnamento nelle scuole pubbliche e della loro esistenza. Testimonianza viva la loro, che si riversava su quanti avevano conosciuto nel ministero e che si alimentava con l'esemplarità della loro vita fuori dal ministero.
Fin qui il duplice excursus da cui si ricava come nella Chiesa di Trapani affiorassero a più riprese le esigenze di rinnovamento, dove la partecipazione richiesta giungeva fino all'attesa di un Sinodo o Concilio.
Trapani e i vescovi del pre-Concilio
Di questa attesa del Concilio le radici si scorgono nel prosieguo della storia di Trapani, città di frontiera sul mediterraneo da cui traeva risorse economiche e socio-culturali, comprese le istanze religiose e poi cristiane, sicché il cattolicesimo non rimase staccato dalle vicissitudini della civile convivenza. Per una visione d'insieme, pertanto, appare sommamente utile riferirsi, a stralci, a quanto è stato occasionalmente stilato da altri sulla città e sull'entroterra di Trapani dal secondo dopoguerra al presente, al fine di ambientare il rinnovamento atteso, di cui il Concilio Vaticano II si presentava messaggero. Ne deriva una fisionomia del territorio quale preliminare approccio da cui procedere alla rielaborazione o interpretazione che getta luce sull'intero periodo a cui segue l'evento straordinario per tutte le Chiese unite alla Chiesa di Roma.
Appunto sul territorio sono state formulate le seguenti schematizzazioni sulla storia contemporanea di Trapani :
GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE1943-1947;
MITOLOGIE E SCHIERAMENTI 1948-1960;
MUTAMENTI SOCIO-POLITICI 1961-1968;
PROBLEMATICHE DEL TERRITORIO 1969-1976;
RICERCA DI IDENTITA 1977...
Su questa periodizzazione si può determinare l'incidenza della Chiesa di Trapani, ossia una sua assuefazione passiva alle trasformazioni di tipo municipale o differentemente una sua rivolta di risonanza profetica alle consuetudini invalse.
GLI ANNI DELLA RlCOSTRUZIONE 1943-1947 possono apparire come GLI ANNI DELLA SPERANZA, in quanto corrispondono alla lenta e stentata ripresa materiale e morale della vita in una città distrutta dal bombardamento aereo del 6 aprile 1943 con seimila morti, evacuata da incalzante sfollamento e da mancanza di viveri. Situazione che dalla fine di luglio, con l'esercito alleato arrivato in città e nelle campagne, pesava sui partiti antifascisti ricostituiti e sui loro rappresentanti nell’amministrazione civica. Erano gli anni della Sicilia separata dall'Italia della Repubblica di Salò, e retta dall'Alliedt Military Government of Occoupied Territory (Amgot) che con la firma dell'armistizio da parte del generale Badoglio nel settembre 1943 ripristinava le libertà personali e le attività degli enti istituzionali e degli organismi sociali, comprese le scuole. Ma rimaneva l'inadeguatezza dei pubblici poteri con la conseguente vitalità della delinquenza e della mafia, soprattutto nella Sicilia occidentale. Il clero locale affiancò le iniziative degli anglo-americani e rimase in attesa ell'evolversi del movimento separatista rappresentato da Andrea Finocchiaro Aprile, esponente della democrazia liberale. Conl'arrivo degli Alleati a Roma nel giugno 1944 e l'evolversi della situazione nazionale, in Sicilia l'Alto Commissariato lasciò emergere la Democrazia Cristiana da una parte e dall'altra non riusci a controllare il banditismo impersonato da Salvatore Giuliano con episodi di sollevazioni popolari e di vera guerriglia. Tutto ciò si ripercuoteva nella crisi serpeggiante a Trapani con il porto e le saline e nel suo entroterra agricolo, ma non apparve nei risultati del referendum del 1946 e delle allegate elezioni per la Costituente. In quel primo turno elettorale l'area urbana risultò segnata dalla vittoria delle destre, sotto il riverbero della tradizione in cui era emerso il concittadino Nunzio Nasi con le sue avventure ministeriali al tempo di Giovanni Giolitti e con l'appoggio incondizionato delle popolazioni e della classe agraria. L'amministrazione comunale di Trapani, tuttavia, dopo i podestà del fascismo, ebbe nel maggio 1946 il suo primo sindaco del Partito d'Azione con una maggioranza che comprendeva la Democrazia Cristiana e i Partiti Socialista e Comunista, oltre al Partito Repubblicano. Esperienza effimera perché dal febbraio 1947 si succedettero due sindaci liberali appoggiati dai democratici cristiani e da socialisti e repubblicani, senza i comunisti. Differenti i risultati del vasto territorio di Erice che si estendeva fino alle porte di Castellammare del Golfo, dove prevalevano i socialisti tradizionalmente attivi nel cooperativismo rurale. Ma dalle elezioni politiche del 1948 nell'intera provincia si affermava la Democrazia Cristiana, riflettendo tali risultati via via nelle sedi locali.
In questo quadro si poneva la ripresa della pratica religiosa, a ridosso degli anni segnati nell'intera diocesi dall'insofferenza insita nell'ultimo scorcio dell'episcopato di Ferdinando Ricca (*1880) a Trapani dal 1933 al 1947, proveniente dalla provincia di Siracusa, precisamente dalla parrocchia di Vittoria, giunto nella Trapani che ostentava il fascismo penetrato perfino nelle zone tradizionalmente socialiste. Ricca avviò subito la visita pastorale, ordinò la curia, dove affluivano più numerose le cause matrimoniali e di nullità delle ordinazioni, sviluppò l'Azione cattolica nei quattro rami, accolse negli orfanotrofi nuove congregazioni di religiose. Ottenne poi la costruzione di case canoniche e istituì parrocchie in città e nelle frazioni. Emergevano manifestazioni dell'arte di Stato e delle esplosioni futuristiche, non quelle isolate di storici come Carlo Guida (1879-1949) e Francesco De Stefano (1896-1966) o di preti come Andrea Tosto De Caro (1906-1977) musico e poeta di religiosità naturale. Tutte riserve intellettuali lontane dai pochi sovversivi antifascisti, tra cui Antonio Vento (1920-1977) l'unico condannato al confino. Nel 1935 Ricca indisse il congresso mariano e rinnovò l'incoronazione della rinomata statua marmorea Madonna di Trapani di cui dispose il «Trasporto» dal santuario alla cattedrale, il XXVI° della serie documentata dal 1476. Un altro appuntamento rilevante era stato il congresso catechistico del 1937. Il fascismo e la guerra segnarono il suo episcopato: al fascismo aderì partecipando attivamente alle manifestazioni del regime; alla guerra si sottrasse appena, subendo il bombardamento del vescovado e del seminario, con la conseguente dispersione dei pochi chierici e la rovina nelle chiese e nella città. In queste condizioni il centenario della Diocesi nel 1944 fu celebrato solo con una breve lettera pastorale e con una liturgia pontificale. Nel suo episcopato si inquadra l'incipiente attività assistenziale - vera opera di supplenza per l'inerzia della gestione civile divisa tra opposti partiti e turbe clientelari - di un giovane prete, Antonio Campanile $1920-1982) presidente della Pontificia Opera di Assistenza, poi organizzatosi con attività imprenditoriali a livello diocesano seppure prevalentemente in forme assistenziali, come il Preventorio per bambini adenopatici e l'Istituto Psico-pedagogico, nonché creatore della fondazione "Auxilium", mentre avviava la Scuola per assistenti sociali dell'ONARMO, coadiuvato da specialisti di vari settori. Si aggiunse più tardi l'appoggio dei Comitati Civici e l'orientamento dato a Trapani da un altro giovane prete rientrato nel 1943 dagli studi romani, Salvatore Cassisa (*1921), ben presto cooptato nella gestione amministrativa della diocesi, prerogativa fino ad allora di un gruppo di preti attempati. Intanto, ospite di una famiglia perché l'episcopio era in restauro, moriva il vescovo il 3 aprile 1947. Una morte che chiudeva gli anni della ricostruzione e preconizzava una immancabile svolta dal torpore delle gestione vescovile e dagli eventi bellici con immancabili strascichi.
Durante il periodo di amministrazione apostolica, entusiasmo di popolo suscitò il trasporto dal santuario dell'Annunziatà dell'immagine marmorea della Madonna di Trapani nell'agosto di quell'anno 1947, quando ancora vivo era nei fedeli il ricordo della ressa che si faceva per venerarla nella nicchia antiaerea in cui era stata collocata e quando ancora le macerie della città, gravemente danneggiata dai bombardamenti, erano parzialmente rimosse. Dal punto di vista del rinnovamento religioso si registrò l'entusiasmo accresciuto per la devozione alla Madonna, cui si associarono i Carmelitani del santuario che vi impiantarono addirittura il loro seminario regionale. La ripresa, inoltre, coincise con la riapertura del seminario da parte dell'amministratore apostolico card. Ernesto Ruffini: vi entrò un nucleo di dodici seminaristi, assistiti da due dei superstiti, reduci dalla guerra o sfuggiti a diffuse malattie letali, nei locali provvisori offerti dai Salesiani che gestivano un Oratorio consistente di attività sportive coinvolgendo ragazzi e giovani, ma anche adulti e famiglie. Degli edifici vescovado e annesso seminario occorreva al più presto la ricostruzione da marginali esiti di bombardamenti di cui il centro storico della città rimase una delle più colpite a livello nazionale. Le parrocchie costituivano la parte stabile della vita religiosa che risentiva negativamente dell'attrattiva esercitata dalla presenza di giovani preti Salesiani, cui presto si aggiunsero i Serviti ugualmente sistemati nella nuova zona di espansione della città. Di riflesso in città incalzavano le missioni cittadine e la Peregrinatio Muriae con una immagine di gesso giunta dal santuario di Fatima. Una loro vita senza tradizioni religiose sviluppavano le chiesette, quelle servite da anziani preti che vi avevano dedicato l'esistenza con l'ininterrotta dimora e le nuove talvolta in locali adattati, nei borghi sparsi del territorio, aggiunte settimanalmente da giovani preti in motocicletta o con altri mezzi di locomozione. Le religiose erano rimaste in due istituti del centro storico e nelle strutture di assistenza e si occupavano di scuole e asili ai bambini anche diseredati o si dedicavano al servizio di ammalati ed anziani, a sua volta sostenute quotidianamente dal cappellano per la celebrazione eucaristica e che interveniva per altre solennità.
Ben diverso appare il lasso di tempo che segna l'omologazione del consenso elettorale dalle posizioni maggioritarie dei partiti laici, soprattutto nell'entroterra agricolo, alla Democrazia Cristiana nel 1948. Fino agli inizi degli anni '50 prevalgono le esigenze di ritorno alla normalità ed appaiono ispirate alla lotta per l'autonomia siciliana a seguito delle elezioni regionali del 20 aprile 1947. Alla vittoria elettorale del blocco socialcomunista rispondeva il drammatico eccidio del l° maggio a Portella della Ginestra sopra il territorio di Piana degli Albanesi, quando il bandito Salvatore Giuliano aprì il fuoco contro inermi contadini riuniti per la festa del lavoro. Di tali tensioni divenne interprete la cultura siciliana, a Trapani rappresentata da Antonino De Stefano, rientrato definitivamente dalle sue peregrinazioni nel 1932 ed ora nella cattedra universitaria e nella lotta politica con il Partito d'Azione. A Trapani dal luglio 1952 per un intero anno si instauravano amministrazioni guidate da indipendenti e dalle destre, dove si aggregava pure la Democrazia Cristiana. E allorché il partito dei cattolici prevalse dovette allearsi con le destre fino al giugno 1956 quando seguirono maggioranze democristiane di monocolore per breve, finché solo dal giugno 1962 si susseguirono giunte a guida democristiana sostenuta da forze classificate di sinistra fino agli anni '80. E perché questa carrellata non sembri inutile, basta riflettere la provenienza ed i contatti dei singoli amministratori con la base elettorale, contatti spesso inficiati da clientelismo e favoritismi.
Ma la Chiesa di Trapani si limitava a sostenere apertamente la Democrazia Cristiana da quando la sede provinciale era allocata al piano terra del palazzo vescovile, il Partito dei cattolici, per il quale lavoravano i Comitati civici responsabilmente guidati da preti. Neppure, invece, per l'eccidio di Portella della Ginestra il l° maggio 1947 erano state pronunziate parole di condanna o esortazioni alla giustizia in nome dell'Evangelo. Ne approfittava lo sparuto gruppo della Chiesa Evangelica Valdese, impiantata da Palermo a Trapani dal 1864, con la conseguente reazione cattolica, più violenta nel 1872. Sono gli evangelisti, cosi intesi dalle popolazioni, che ora rafforzavano la loro consistenza con un pastore permanente ed attivo, mentre giungevano i propagandisti di alcune denominazioni Evangeliche Pentecostali ed i Testimoni di Geova, tutti proiettati al contatto con i ceti popolari diseredati. Dal punto di vista delle strutture nuove di collegamento si segnalano, intanto, il rifacimento ed il potenziamento della strade cittadine e extra urbane, ma anche l'interramento di parecchie saline per dare spazio all'espansione edilizia, modificando l'assetto del territorio sempre più soggetto a dissesti idrogeologici. La vecchia zona portuale di Trapani, quella bombardata, risorgeva parzialmente ma con tante trasformazioni e con lo sventramento del vecchio Casalicchio, per dare spazio a nuove esigenze di viabilità e ad una grande via nuova - poi denominata Corso Italia - ed a tante speculazioni edilizie. Né mancavano crolli di antichi edifici, uno particolare nel 1954 che fece vittime anche dentro la bottega di un vecchio calzolaio. Per altri versi, il ripristino degli enti e delle loro attività istituzionali dava impulso alla vita culturale più diffusa, tanto che si assegna all'anno 1948 un maggiore irrigidimento ideologico ed una maggiore coesione verso i partiti nazionali, a confronto con le reciproche polemiche per l'addietro sviluppate e riflesse dai settimanali proliferanti come organi dei piccoli partiti. A cui bisogna aggiungere come certamente la recente ripresa postbellica si fosse manifestata fra incertezze e ambivalenze appena tacitate con l'allargamento della diocesi nel 1950, all'indomani della ricostruzione dopo il secondo conflitto.
Tale clima riemerse vigorosamente allorché apparve in tutta la sua consistenza il divario fra l'ambito trapanese-ericino segnato dalle trascorse crisi e la religiosità a tinte fortemente antimoderne e pietistiche rinvenuta e diffusa nelle città accorpate. Popolazioni e preti di tradizioni diverse vennero a confronto con atteggiamenti di distacco gli uni verso gli altri: devoti provenienti dalla diocesi di Mazara e trapanesi adusi al mare e aperti all'Africa. Tuttavia non si può negare che tali nuovi fermenti di modernità emergessero dall'intera diocesi, man mano che si procedeva nelle motivazioni a monte di ciascuna tradizione particolare. A Trapani una vivace esperienza editoriale nasceva alla fine degli anni '50 attorno al settimanale «Panorama» di Antonio Vento che proveniva dall'antifascismo militante e che pubblicava volumi di studiosi ed artisti prevalentemente locali. Nella sua stessa tipografia si stampavano il settimanale «Trapani Nuova» e le composizioni di uno stuolo di letterati e cultori vari che si riconoscevano nel cosiddetto "Antigruppo" e simpatizzavano per i partiti laici, anche se non direttamente in essi coinvolti. Da notare come nelle elezioni regionali del giugno 1959 la Democrazia Cristiana avesse perduto parecchi consensi sul culmine raggiunto in quelle del giugno 1955, anche a Trapani. Un periodo, allora, etichettato MITOLOGIE E SCHIERAMENTI: 1948-1960, che per la Chiesa di Trapani, a parte l'incremento delle associazioni giovanili e l'accresciuta presenza di istituti religiosi in città e nelle borgate, può essere specificato come COLLATERALISMO POLITICO, da quando al partito cattolico fu riservato il piano terra nella progettata ricostruzione e nell'ammodernamento del palazzo vescovile. Un segnale artatamente stabilito già, che incise negli anni dell'anticomunismo spietato in cui i democristiani sentivano direttamente l'appoggio del vescovo e dei fedeli da lui orientati. A parte deve essere considerato il breve episcopato di Filippo Jacolino (1895-1950) dal gennaio 1948 a luglio 1950, ambientato tra ricostruzione lenta dalle macerie materiali e singolari testimonianze del laicato cattolico che emergeva da esperienze circoscritte quanto consistenti nel passato anteguerra. Tra le testimonianze che direttamente si dirigevano ad alleviare le sofferenze si manifestò quella di Nicasio Triolo (1912-1999), proveniente da benestante famiglia di agrari, medico benefattore degli umili in un ambulatorio sempre aperto ed affollato. Il quale, non si sottrasse alla militanza religiosa senza limiti di tempo e di risorse, inserito nella vita politica comunale per breve tempo, finché prevalse la sua vocazione missionaria, un distacco fortemente voluto per rendere al massimo la sua professione medica dove avvertiva maggiori bisogni: decise la sua partenza per l'Africa. Le pressioni politiche che pure avevano irretito Triolo, rimasero estranee al nuovo vescovo Jacolino che andò ad abitare una casa di città, perché ancora in episcopio proseguivano i restauri indispensabili. Esemplare la sua modestia anche nella conduzione del suo compito, nel trattare con preti e laici tralasciando incontri ufficiali con autorità civili e con i potenti che chiedevano privilegi; ma anche negli spostamenti ridotti all'essenziale, al punto da apparire un semplice parroco con una cura di fedeli più vasta. Si occupò in particolare delle chiese rurali nel momento in cui le popolazioni dell'agro ericino si organizzavano per l'autonomia amministrativa, insistendo perché i parroci vi dimorassero a testimoniare la vita quotidiana. Promosse ed ottenne la revisione della circoscrizione territoriale della diocesi che accorpò dal 1950 le città e i territori di Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi, con tre santuari mariani, numeroso clero, conventi e monasteri, cedendo contemporaneamente alla diocesi di Mazara l'isola di Pantelleria. Colpito da male incurabile, mori il 10 luglio 1950, appena in tempo per apprendere dell'avvenuto ampliamento.
Si qualificava, invece, dal punto di vista organizzativo l'episcopato decennale di Corrado Mingo (*1901) dal 1951 al giugno1961, negli anni che presentavano esigenze di armonizzare le due parti fuse della diocesi dopo l'ampliamento del 1950. Suo compito iniziale l'avvicinamento e la conoscenza dei singoli preti, che riceveva puntualmente nel palazzo vescovile rinnovato dove viveva con il segretario del vescovo defunto da lui confermato, anche per ragioni di continuità. Rientravano in diocesi i preti che avevano frequentato le università romane, ma anche altri che avevano trovato sistemazione negli uffici della Segreteria di Stato di Pio XII. Lo ritenne indispensabile per organizzare accanto la Curia vescovile, adeguando gli uffici e immettendovi anche preti provenienti dai territori acquisiti dall'ampliamento del 1950. Notava come l'espansione degli impegni pastorali, da lui caldeggiata, richiedesse tanti preti e ne accolse di extradiocesani, tra cui alcuni usciti da ordini religiosi o da lui precedentemente conosciuti. Ai laici delle associazioni cattoliche dedicava tante energie, gratificandone le attitudini. Con il contributo ampio di preti e fedeli dei nuovi territori accorpati nella diocesi, passò all'erezione di nuove parrocchie nella Trapani in espansione e nelle città autonome che sorgevano dal 1950 dalle antiche frazioni staccate da Erice. Ripose fiducia nelle nuove congregazioni religiose, come in particolare i Rosminiani, che si erano insediati nella periferia di ponente di Trapani ed eresse la loro chiesa, affiancata da ampi locali, a parrocchia. Curò ancora la assidua presenza dei parroci nelle parrocchie, provvedendo alla sistemazione meno disagiata delle canoniche. Ancora nell'anno mariano 1954 avvenne l'ultimo trasporto della Madonna di Trapani, la statua marmorea dal santuario in cattedrale per un breve periodo di predicazioni e di preghiere. Intanto l'opera d'assistenza, su fondamenti psico-pedagogici, si era sviluppata in parecchie strutture, ora che il vescovo la sosteneva e il suo iniziatore Antonio Campanile riusciva ad ottenere finanziamenti cospicui dagli enti locali. Il vescovo appoggiò apertamente le opere di assistenza sociale promosse da questo prete divenuto a lui vicino. Concepì inoltre il riordinamento amministrativo nelle singole parrocchie che legò alla Curia e da questa allo IORdel Vaticano. Il suo episcopato apparve sostenuto da un diuturno "commercio" dei beni acquisiti dalla Regione Siciliana e da altre fonti, nonché da un pesante orientamento verso l'unico partito di ispirazione cristiana, senza lesinare appoggi singoli o di frange laiche all'esperienza, seppure breve, di un nuovo partito di ispirazione cattolica sorto nel 1958, in piena crisi della Regione Siciliana per le aspre conflittualità tra correnti della Democrazia Cristiana. Il nuovo partito, condannato dal Sant'Uffizio nell'aprile 1959, era l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS) di Silvio Milazzo (1903-1982). L'appoggio dato ai Comitati civici passò per breve tempo all'operazione Milazzo, ossia ad un governo autonomista di tutti i partiti dall'agosto 1959 al febbraio 1960, ma si creò una crisi tra fedeli ad Alcamo e il vescovo lanciò sulla città l'interdetto, ossia la sospensione di tutte le attività religiose anche quotidiane, in occasione di una processione interrotta dall'arciprete quando al seguito si era presentato con le insegne proprie il sindaco della città, un militante e organizzatore sul territorio dell'esperienza di Silvio Milazzo. Una vicenda che non avrebbe richiesto simili antichi ed improponibili provvedimenti coercitivi. Ma il vescovo Mingo era apparso in altra occasione incline a sfogare la sua collera accusando facilmente di insubordinazione preti e laici. Altra volta, infatti, aveva lanciato simile provvedimento nel 1954 ad Erice, perché in concomitanza si organizzava l'elezione e la premiazione di una bella ragazza a Venere Ericina: quella volta la data coincideva con la settimana di festeggiamenti della Patrona, l'antica tavola della Madonna di Custonaci. Ambedue provvedimenti, ad Alcamo e ad Erice, con cui si aizzarono le popolazioni che ricevettero l'appoggio dei rispettivi sindaci e manifestarono con cortei anche contro il vescovo, lasciando ampi sprazzi di dissenso nell'opinione pubblica.
In questo quadro si poneva la ripresa della pratica religiosa, a ridosso degli anni segnati nell'intera diocesi dall'insofferenza insita nell'ultimo scorcio dell'episcopato di Ferdinando Ricca (*1880) a Trapani dal 1933 al 1947, proveniente dalla provincia di Siracusa, precisamente dalla parrocchia di Vittoria, giunto nella Trapani che ostentava il fascismo penetrato perfino nelle zone tradizionalmente socialiste. Ricca avviò subito la visita pastorale, ordinò la curia, dove affluivano più numerose le cause matrimoniali e di nullità delle ordinazioni, sviluppò l'Azione cattolica nei quattro rami, accolse negli orfanotrofi nuove congregazioni di religiose. Ottenne poi la costruzione di case canoniche e istituì parrocchie in città e nelle frazioni. Emergevano manifestazioni dell'arte di Stato e delle esplosioni futuristiche, non quelle isolate di storici come Carlo Guida (1879-1949) e Francesco De Stefano (1896-1966) o di preti come Andrea Tosto De Caro (1906-1977) musico e poeta di religiosità naturale. Tutte riserve intellettuali lontane dai pochi sovversivi antifascisti, tra cui Antonio Vento (1920-1977) l'unico condannato al confino. Nel 1935 Ricca indisse il congresso mariano e rinnovò l'incoronazione della rinomata statua marmorea Madonna di Trapani di cui dispose il «Trasporto» dal santuario alla cattedrale, il XXVI° della serie documentata dal 1476. Un altro appuntamento rilevante era stato il congresso catechistico del 1937. Il fascismo e la guerra segnarono il suo episcopato: al fascismo aderì partecipando attivamente alle manifestazioni del regime; alla guerra si sottrasse appena, subendo il bombardamento del vescovado e del seminario, con la conseguente dispersione dei pochi chierici e la rovina nelle chiese e nella città. In queste condizioni il centenario della Diocesi nel 1944 fu celebrato solo con una breve lettera pastorale e con una liturgia pontificale. Nel suo episcopato si inquadra l'incipiente attività assistenziale - vera opera di supplenza per l'inerzia della gestione civile divisa tra opposti partiti e turbe clientelari - di un giovane prete, Antonio Campanile $1920-1982) presidente della Pontificia Opera di Assistenza, poi organizzatosi con attività imprenditoriali a livello diocesano seppure prevalentemente in forme assistenziali, come il Preventorio per bambini adenopatici e l'Istituto Psico-pedagogico, nonché creatore della fondazione "Auxilium", mentre avviava la Scuola per assistenti sociali dell'ONARMO, coadiuvato da specialisti di vari settori. Si aggiunse più tardi l'appoggio dei Comitati Civici e l'orientamento dato a Trapani da un altro giovane prete rientrato nel 1943 dagli studi romani, Salvatore Cassisa (*1921), ben presto cooptato nella gestione amministrativa della diocesi, prerogativa fino ad allora di un gruppo di preti attempati. Intanto, ospite di una famiglia perché l'episcopio era in restauro, moriva il vescovo il 3 aprile 1947. Una morte che chiudeva gli anni della ricostruzione e preconizzava una immancabile svolta dal torpore delle gestione vescovile e dagli eventi bellici con immancabili strascichi.
Durante il periodo di amministrazione apostolica, entusiasmo di popolo suscitò il trasporto dal santuario dell'Annunziatà dell'immagine marmorea della Madonna di Trapani nell'agosto di quell'anno 1947, quando ancora vivo era nei fedeli il ricordo della ressa che si faceva per venerarla nella nicchia antiaerea in cui era stata collocata e quando ancora le macerie della città, gravemente danneggiata dai bombardamenti, erano parzialmente rimosse. Dal punto di vista del rinnovamento religioso si registrò l'entusiasmo accresciuto per la devozione alla Madonna, cui si associarono i Carmelitani del santuario che vi impiantarono addirittura il loro seminario regionale. La ripresa, inoltre, coincise con la riapertura del seminario da parte dell'amministratore apostolico card. Ernesto Ruffini: vi entrò un nucleo di dodici seminaristi, assistiti da due dei superstiti, reduci dalla guerra o sfuggiti a diffuse malattie letali, nei locali provvisori offerti dai Salesiani che gestivano un Oratorio consistente di attività sportive coinvolgendo ragazzi e giovani, ma anche adulti e famiglie. Degli edifici vescovado e annesso seminario occorreva al più presto la ricostruzione da marginali esiti di bombardamenti di cui il centro storico della città rimase una delle più colpite a livello nazionale. Le parrocchie costituivano la parte stabile della vita religiosa che risentiva negativamente dell'attrattiva esercitata dalla presenza di giovani preti Salesiani, cui presto si aggiunsero i Serviti ugualmente sistemati nella nuova zona di espansione della città. Di riflesso in città incalzavano le missioni cittadine e la Peregrinatio Muriae con una immagine di gesso giunta dal santuario di Fatima. Una loro vita senza tradizioni religiose sviluppavano le chiesette, quelle servite da anziani preti che vi avevano dedicato l'esistenza con l'ininterrotta dimora e le nuove talvolta in locali adattati, nei borghi sparsi del territorio, aggiunte settimanalmente da giovani preti in motocicletta o con altri mezzi di locomozione. Le religiose erano rimaste in due istituti del centro storico e nelle strutture di assistenza e si occupavano di scuole e asili ai bambini anche diseredati o si dedicavano al servizio di ammalati ed anziani, a sua volta sostenute quotidianamente dal cappellano per la celebrazione eucaristica e che interveniva per altre solennità.
Ben diverso appare il lasso di tempo che segna l'omologazione del consenso elettorale dalle posizioni maggioritarie dei partiti laici, soprattutto nell'entroterra agricolo, alla Democrazia Cristiana nel 1948. Fino agli inizi degli anni '50 prevalgono le esigenze di ritorno alla normalità ed appaiono ispirate alla lotta per l'autonomia siciliana a seguito delle elezioni regionali del 20 aprile 1947. Alla vittoria elettorale del blocco socialcomunista rispondeva il drammatico eccidio del l° maggio a Portella della Ginestra sopra il territorio di Piana degli Albanesi, quando il bandito Salvatore Giuliano aprì il fuoco contro inermi contadini riuniti per la festa del lavoro. Di tali tensioni divenne interprete la cultura siciliana, a Trapani rappresentata da Antonino De Stefano, rientrato definitivamente dalle sue peregrinazioni nel 1932 ed ora nella cattedra universitaria e nella lotta politica con il Partito d'Azione. A Trapani dal luglio 1952 per un intero anno si instauravano amministrazioni guidate da indipendenti e dalle destre, dove si aggregava pure la Democrazia Cristiana. E allorché il partito dei cattolici prevalse dovette allearsi con le destre fino al giugno 1956 quando seguirono maggioranze democristiane di monocolore per breve, finché solo dal giugno 1962 si susseguirono giunte a guida democristiana sostenuta da forze classificate di sinistra fino agli anni '80. E perché questa carrellata non sembri inutile, basta riflettere la provenienza ed i contatti dei singoli amministratori con la base elettorale, contatti spesso inficiati da clientelismo e favoritismi.
Ma la Chiesa di Trapani si limitava a sostenere apertamente la Democrazia Cristiana da quando la sede provinciale era allocata al piano terra del palazzo vescovile, il Partito dei cattolici, per il quale lavoravano i Comitati civici responsabilmente guidati da preti. Neppure, invece, per l'eccidio di Portella della Ginestra il l° maggio 1947 erano state pronunziate parole di condanna o esortazioni alla giustizia in nome dell'Evangelo. Ne approfittava lo sparuto gruppo della Chiesa Evangelica Valdese, impiantata da Palermo a Trapani dal 1864, con la conseguente reazione cattolica, più violenta nel 1872. Sono gli evangelisti, cosi intesi dalle popolazioni, che ora rafforzavano la loro consistenza con un pastore permanente ed attivo, mentre giungevano i propagandisti di alcune denominazioni Evangeliche Pentecostali ed i Testimoni di Geova, tutti proiettati al contatto con i ceti popolari diseredati. Dal punto di vista delle strutture nuove di collegamento si segnalano, intanto, il rifacimento ed il potenziamento della strade cittadine e extra urbane, ma anche l'interramento di parecchie saline per dare spazio all'espansione edilizia, modificando l'assetto del territorio sempre più soggetto a dissesti idrogeologici. La vecchia zona portuale di Trapani, quella bombardata, risorgeva parzialmente ma con tante trasformazioni e con lo sventramento del vecchio Casalicchio, per dare spazio a nuove esigenze di viabilità e ad una grande via nuova - poi denominata Corso Italia - ed a tante speculazioni edilizie. Né mancavano crolli di antichi edifici, uno particolare nel 1954 che fece vittime anche dentro la bottega di un vecchio calzolaio. Per altri versi, il ripristino degli enti e delle loro attività istituzionali dava impulso alla vita culturale più diffusa, tanto che si assegna all'anno 1948 un maggiore irrigidimento ideologico ed una maggiore coesione verso i partiti nazionali, a confronto con le reciproche polemiche per l'addietro sviluppate e riflesse dai settimanali proliferanti come organi dei piccoli partiti. A cui bisogna aggiungere come certamente la recente ripresa postbellica si fosse manifestata fra incertezze e ambivalenze appena tacitate con l'allargamento della diocesi nel 1950, all'indomani della ricostruzione dopo il secondo conflitto.
Tale clima riemerse vigorosamente allorché apparve in tutta la sua consistenza il divario fra l'ambito trapanese-ericino segnato dalle trascorse crisi e la religiosità a tinte fortemente antimoderne e pietistiche rinvenuta e diffusa nelle città accorpate. Popolazioni e preti di tradizioni diverse vennero a confronto con atteggiamenti di distacco gli uni verso gli altri: devoti provenienti dalla diocesi di Mazara e trapanesi adusi al mare e aperti all'Africa. Tuttavia non si può negare che tali nuovi fermenti di modernità emergessero dall'intera diocesi, man mano che si procedeva nelle motivazioni a monte di ciascuna tradizione particolare. A Trapani una vivace esperienza editoriale nasceva alla fine degli anni '50 attorno al settimanale «Panorama» di Antonio Vento che proveniva dall'antifascismo militante e che pubblicava volumi di studiosi ed artisti prevalentemente locali. Nella sua stessa tipografia si stampavano il settimanale «Trapani Nuova» e le composizioni di uno stuolo di letterati e cultori vari che si riconoscevano nel cosiddetto "Antigruppo" e simpatizzavano per i partiti laici, anche se non direttamente in essi coinvolti. Da notare come nelle elezioni regionali del giugno 1959 la Democrazia Cristiana avesse perduto parecchi consensi sul culmine raggiunto in quelle del giugno 1955, anche a Trapani. Un periodo, allora, etichettato MITOLOGIE E SCHIERAMENTI: 1948-1960, che per la Chiesa di Trapani, a parte l'incremento delle associazioni giovanili e l'accresciuta presenza di istituti religiosi in città e nelle borgate, può essere specificato come COLLATERALISMO POLITICO, da quando al partito cattolico fu riservato il piano terra nella progettata ricostruzione e nell'ammodernamento del palazzo vescovile. Un segnale artatamente stabilito già, che incise negli anni dell'anticomunismo spietato in cui i democristiani sentivano direttamente l'appoggio del vescovo e dei fedeli da lui orientati. A parte deve essere considerato il breve episcopato di Filippo Jacolino (1895-1950) dal gennaio 1948 a luglio 1950, ambientato tra ricostruzione lenta dalle macerie materiali e singolari testimonianze del laicato cattolico che emergeva da esperienze circoscritte quanto consistenti nel passato anteguerra. Tra le testimonianze che direttamente si dirigevano ad alleviare le sofferenze si manifestò quella di Nicasio Triolo (1912-1999), proveniente da benestante famiglia di agrari, medico benefattore degli umili in un ambulatorio sempre aperto ed affollato. Il quale, non si sottrasse alla militanza religiosa senza limiti di tempo e di risorse, inserito nella vita politica comunale per breve tempo, finché prevalse la sua vocazione missionaria, un distacco fortemente voluto per rendere al massimo la sua professione medica dove avvertiva maggiori bisogni: decise la sua partenza per l'Africa. Le pressioni politiche che pure avevano irretito Triolo, rimasero estranee al nuovo vescovo Jacolino che andò ad abitare una casa di città, perché ancora in episcopio proseguivano i restauri indispensabili. Esemplare la sua modestia anche nella conduzione del suo compito, nel trattare con preti e laici tralasciando incontri ufficiali con autorità civili e con i potenti che chiedevano privilegi; ma anche negli spostamenti ridotti all'essenziale, al punto da apparire un semplice parroco con una cura di fedeli più vasta. Si occupò in particolare delle chiese rurali nel momento in cui le popolazioni dell'agro ericino si organizzavano per l'autonomia amministrativa, insistendo perché i parroci vi dimorassero a testimoniare la vita quotidiana. Promosse ed ottenne la revisione della circoscrizione territoriale della diocesi che accorpò dal 1950 le città e i territori di Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi, con tre santuari mariani, numeroso clero, conventi e monasteri, cedendo contemporaneamente alla diocesi di Mazara l'isola di Pantelleria. Colpito da male incurabile, mori il 10 luglio 1950, appena in tempo per apprendere dell'avvenuto ampliamento.
Si qualificava, invece, dal punto di vista organizzativo l'episcopato decennale di Corrado Mingo (*1901) dal 1951 al giugno1961, negli anni che presentavano esigenze di armonizzare le due parti fuse della diocesi dopo l'ampliamento del 1950. Suo compito iniziale l'avvicinamento e la conoscenza dei singoli preti, che riceveva puntualmente nel palazzo vescovile rinnovato dove viveva con il segretario del vescovo defunto da lui confermato, anche per ragioni di continuità. Rientravano in diocesi i preti che avevano frequentato le università romane, ma anche altri che avevano trovato sistemazione negli uffici della Segreteria di Stato di Pio XII. Lo ritenne indispensabile per organizzare accanto la Curia vescovile, adeguando gli uffici e immettendovi anche preti provenienti dai territori acquisiti dall'ampliamento del 1950. Notava come l'espansione degli impegni pastorali, da lui caldeggiata, richiedesse tanti preti e ne accolse di extradiocesani, tra cui alcuni usciti da ordini religiosi o da lui precedentemente conosciuti. Ai laici delle associazioni cattoliche dedicava tante energie, gratificandone le attitudini. Con il contributo ampio di preti e fedeli dei nuovi territori accorpati nella diocesi, passò all'erezione di nuove parrocchie nella Trapani in espansione e nelle città autonome che sorgevano dal 1950 dalle antiche frazioni staccate da Erice. Ripose fiducia nelle nuove congregazioni religiose, come in particolare i Rosminiani, che si erano insediati nella periferia di ponente di Trapani ed eresse la loro chiesa, affiancata da ampi locali, a parrocchia. Curò ancora la assidua presenza dei parroci nelle parrocchie, provvedendo alla sistemazione meno disagiata delle canoniche. Ancora nell'anno mariano 1954 avvenne l'ultimo trasporto della Madonna di Trapani, la statua marmorea dal santuario in cattedrale per un breve periodo di predicazioni e di preghiere. Intanto l'opera d'assistenza, su fondamenti psico-pedagogici, si era sviluppata in parecchie strutture, ora che il vescovo la sosteneva e il suo iniziatore Antonio Campanile riusciva ad ottenere finanziamenti cospicui dagli enti locali. Il vescovo appoggiò apertamente le opere di assistenza sociale promosse da questo prete divenuto a lui vicino. Concepì inoltre il riordinamento amministrativo nelle singole parrocchie che legò alla Curia e da questa allo IORdel Vaticano. Il suo episcopato apparve sostenuto da un diuturno "commercio" dei beni acquisiti dalla Regione Siciliana e da altre fonti, nonché da un pesante orientamento verso l'unico partito di ispirazione cristiana, senza lesinare appoggi singoli o di frange laiche all'esperienza, seppure breve, di un nuovo partito di ispirazione cattolica sorto nel 1958, in piena crisi della Regione Siciliana per le aspre conflittualità tra correnti della Democrazia Cristiana. Il nuovo partito, condannato dal Sant'Uffizio nell'aprile 1959, era l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS) di Silvio Milazzo (1903-1982). L'appoggio dato ai Comitati civici passò per breve tempo all'operazione Milazzo, ossia ad un governo autonomista di tutti i partiti dall'agosto 1959 al febbraio 1960, ma si creò una crisi tra fedeli ad Alcamo e il vescovo lanciò sulla città l'interdetto, ossia la sospensione di tutte le attività religiose anche quotidiane, in occasione di una processione interrotta dall'arciprete quando al seguito si era presentato con le insegne proprie il sindaco della città, un militante e organizzatore sul territorio dell'esperienza di Silvio Milazzo. Una vicenda che non avrebbe richiesto simili antichi ed improponibili provvedimenti coercitivi. Ma il vescovo Mingo era apparso in altra occasione incline a sfogare la sua collera accusando facilmente di insubordinazione preti e laici. Altra volta, infatti, aveva lanciato simile provvedimento nel 1954 ad Erice, perché in concomitanza si organizzava l'elezione e la premiazione di una bella ragazza a Venere Ericina: quella volta la data coincideva con la settimana di festeggiamenti della Patrona, l'antica tavola della Madonna di Custonaci. Ambedue provvedimenti, ad Alcamo e ad Erice, con cui si aizzarono le popolazioni che ricevettero l'appoggio dei rispettivi sindaci e manifestarono con cortei anche contro il vescovo, lasciando ampi sprazzi di dissenso nell'opinione pubblica.
Annunzio tra normative e avanguardie
Dal «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» nell'intero anno 1959 non si incontra alcuna nota, neppure breve o riportata tra gli Atti della Santa Sede, come di consueto, che additi l'annunzio con cui papa Giovanni XXIII indiceva un Concilio il 25 gennaio di quell'anno. Un annunzio che sbalordiva e sconvolgeva gli ambienti ecclesiastici in tutto il mondo, ma che a Trapani non aveva risonanze ufficiali. C'è invece in quel Bollettino l'annunzio della seconda visita pastorale che il vescovo programmava, dopo la prima del 1953; inoltre sono stilate Norme per la Settimana Santa, tra le invettive contro il preteso dialogo tra cattolici e comunisti atei e contro La moda invereconda, cui seguiva immancabile l'elenco, cui il vescovo teneva tanto, sui casi morali da risolvere nelle assemblee dei preti. Per il 1960 si notano le Stazioni quaresimali da una parrocchia all'altra a partire dal Mercoledì delle ceneri 2 marzo alla Domenica delle Palme 10 aprile. Tuttavia fa, in seguito, la sua apparizione solo una Preghiera per il Concilio, seguita da avvertenze sulle rubriche nelle celebrazioni ed un breve saggio sull'amministrazione dei beni ecclesiastici. L'impianto non è smentito l'anno seguente, con la celebrazione del decennale di permanenza a Trapani del vescovo, quando si insiste sul Codice delle Rubriche e Norme per la Quaresima, dopo una condanna per le Giunte comunali aperte ai socialisti. In definitiva, mentre si sperimentavano a Trapani nuove incidenze della reggenza vescovile sull'osservanza formale del cattolicesimo e sulle condanne in campo politico e morale, Mingo complessivamente era orientato a personalizzare la sua influenza di incallito disquisitore di impronta gesuitica, Non per nulla riusciva a consolidare il COLLATERALISMO PQLITICO, di cui era viva l'esperienza avanzata in più modeste forme da qualche suo predecessore e da altri vescovi siciliani. Ma proprio nel 1961 Mingo venne promosso alla sede arcivescovile di Monreale e consegnò alla diocesi un patrimonio ingente di beni, ma anche una diffusa chiusura alle innovazioni che diffondeva esplicitamente o implicitamente l'amico della Vetta: cosi era canzonato un giovane prete destinato ad Erice.
La diocesi, infatti, era stata preceduta, seppure marginalmente, da iniziative di chi alla liturgia da sempre si era dedicato dagli anni della formazione a Roma, quando aveva ricercato autonomamente e contro le rigide regole del Pontificio Seminario Romano, libri-riviste e incontri in sintonia con le aperture teologiche d'oltr'alpe che per vie traverse si reperivano clandestinamente. Già dalla Pasqua del 1958 in cattedrale e nella visita a parrocchie e comunità religiose da prete novello aveva con grinta presentato il messaggio del ritorno all'essenziale nelle celebrazioni, perfino nelle vesti liturgiche semplici e rimodellate a Roma sullo stile che dall'uso quotidiano greco-romano era passato alle celebrazioni di un tempo. In questo aperto ripudio c'era una nuova liturgia, liberata dai ricchi parati ridotti di dimensioni lungo l'intero medioevo e giunti striminziti e tempestati di ori alle soglie di Riforma e cosiddetta Controriforma. Il giovane prete si presentava nelle celebrazioni con una semplice veste sul camice senza merletti, la "casula", di cui a Trapani non c'era traccia, appena qualcuna rappresentata iconograficamente nelle antiche tavole del Museo. "Casula", uguale a quella che da celebrante indossava sempre, ma bianca con croce rossa equilatera, aveva donato al vescovo perché si illudeva che l'avrebbe indossato la notte di Pasqua, per la sua ordinazione presbiterale: non venne mai indossata. Il suo messaggio non era solo liturgia, ma teologia ed ecclesiologia di partecipazione, che cosi si diffondeva, tra i sorrisi beffardi e le aperte critiche di preti giovani e vecchi generalmente maliziosi, pronti a disapprovare con la scusa della sua irruenza congenita. Teologia ed ecclesiologia ricavata da studio assiduo di testi antichi e nuovi, che reperiva nelle biblioteche di Palermo o fotocopiava o acquistava dalle librerie di Roma nei suoi periodici ritorni tra amici ed avanguardie ecclesiali. Da Erice, dove iniziava il ministero come cappellano di istituti religiosi, si spingeva ben oltre, suffragando le iniziative con lo studio, precipuo della Theologie Nouvelle che era preconciliare e condannata ufficialmente, ma non era impossibile procurare. Contestualmente il giovane prete pubblicava, poi, sul settimanale locale «Panorama>>, fin dal 1959, alcune annotazioni che segnalavano ritmi e commemorazioni dei tempi liturgici attraverso un Almanacco della settimana. Intanto aveva formato tra i ragazzi dell'Oratorio San Martino ad Erice il gruppetto di Piccoli Cantori, sulla traccia dell'Istruzione sulla Liturgia del 1958 e sull'esempio di esperienze affermate a Roma e relazionate tra amici preti nell'ottobre 1958. Particolare entusiasmo aveva riportato nell'ottobre 1959 da una celebrazione a Bologna in attesa di colloquiare con il card.Giacomo Lercaro, riconosciuto iniziatore della riforma liturgica fino al limite consentito prima del Concilio. Era una novità sentire i Piccoli cantori di Erice eseguire adattamenti facili di melodie gregoriane o leggere a turno brevi parafrasi introduttive ad ogni momento della celebrazione, segnatamente per riassumere le orazioni del celebrante che si fermava prima di leggerle o cantarle in latino. Per la vestizione e la benedizione delle loro tunichette, bianche con asola rossa pendente dalle spalle, si scelse il sabato precedente la quarta domenica di Avvento, uno dei giorni nella liturgia un tempo dedicati ad ordinazioni e chiamati Tempora, quando chiamò il vescovo a presiedere. Da allora con i Piccoli Cantori o Pueri Chorales si avviarono celebrazioni o paraliturgie anche a Trapani o in qualche chiesa parrocchiale nelle borgate, su invito di parroci amici e ammirati. Addirittura il richiamo alla liturgia di Roma aveva dato impulso a far precedere la celebrazione nel tempo di Quaresima dalle Stazioni quaresimali, ossia raduni e processioni con canti e litanie da una chiesa ad un'altra. Richiamo alla Chiesa di Roma ed alla sua esemplarità dei secoli trascorsi non disgiunto dallo studio dei testi biblici e dei Padri della Chiesa nelle lunghe mattinate o nelle serate invernali ad Erice. In questo contesto per la prima volta nell'agosto 1960 ad Erice si aprirono le manifestazioni, conferenze ed esibizioni d'arte, della Sagra della Bibbia, iniziativa che sarebbe stata realizzata con successo nelle varie edizioni per dieci anni fino al 1972, con relatori specialisti e temi scelti, per presentare con accenti storico-critici l'autore additato dalla tradizione per l'uno o l'altro tra i 73 scritti che compongono il Libro per antonomasia, la Bibbia. Appunto Bibbia e Liturgia divenne il binomio da coniugare nel tempo in cui giungevano notizie della preparazione e delle prime assemblee del Concilio. Proprio per illustrare il momento straordinario che si viveva nella cristianità e per diffondere le aspettative di rinnovamento anche alle famiglie, da quell'anno ad Erice era inviato brevi manu un ciclostilato di poche facciate a scadenza settimanale dal titolo allusivo allo scambio quotidiano, con il linguaggio dei loro ragazzi, «Chiacchiari a Sammartinu». Redatto a misura dei lettori, si soffermava su solennità e tempi liturgici, santorale dei culti locali e notizie dall'assise conciliare di Roma, avvenimenti cittadini e attrattive sportive per i ragazzi. Anche le forme devozionali, a cui singoli o intere famiglie erano legati, subivano una metamorfosi interna in quanto erano accostati al tempo liturgico e ai testi della Bibbia che, direttamente o indirettamente, li richiamavano; divenivano occasioni per presentare e leggere interi libri della Bibbia a brani nelle celebrazioni di alcuni mesi dedicati a pratiche devozionali. Il pretino di Erice leggeva, anche, le cronache della preparazione e poi dello svolgimento del Concilio: d'estate anche ad un vecchio professore, proprio il modernista Antonino De Stefano, incontrato come sindaco della cittadina medievale, negli anni a seguire fermo su una carrozzina, che l'attendeva a qualunque ora nella casa di villeggiatura, propenso a condividere la sua passione e quasi a rafforzarla nell'attesa dell'evento Concilio. In questo ambiente ed in pochi altri più disposti al rinnovamento, pressante divenne il rinnovamento biblico-liturgico durante la fase di preparazione della Costituzione Sulla Sacra Liturgia: era il primo documento del Concilio e richiedeva l'adeguamento della mentalità e della pratica liturgica in tutte le sue manifestazioni. Il messaggio essenziale che si scorgeva dal primo documento non poteva rimanere nascosto: la Chiesa popolo di Dio, i testi biblici in lingua parlata, le acclamazioni, i canti propri di ciascuna celebrazione, con il gregoriano di cui si ritrovavano dal Graduale simplexi appena pubblicato le melodie semplici e se ne escogitavano adattamenti in italiano, tutti segni incitanti alla partecipazione dei fedeli. Le Chiese ricche di Erice, modestamente baroccate o neoclassiche, non costituirono ostacoli, anche se altari rivolti al popolo ed amboni furono provvisori per limitate e racimolate risorse.
Si entrava cosi nel vivo dell'epoca del Concilio con il periodo segnato dai MUTAMENTI SOCIO-POLITICI 1961-1968, quando l'apertura a livello nazionale dei democristiani, per costituire governi di centro-sinistra, era stata anticipata in Sicilia con l'esperienza dei cristiano-sociali di Silvio Milazzo, seppure circoscritta negli anni 1959-1960, ed era proseguita con più precisi appoggi dai governi regionali di centro sinistra che dal settembre 1961 si succedettero fino all'estate 1964. Si assistette all'autonomia imprenditrice con l'Ente Minerario Siciliano ed alla nascita della Sofis, la prima società finanziaria in Italia, nonché agli investimenti in Sicilia ad opera di Enrico Mattei (1906-1982). Superata l'epoca del banditismo, si affermava la presenza della mafia uscita dalla latitanza nell'aprile 1963 con la strage di Ciaculli alla periferia ovest di Palermo, cui segui nell'anno seguente l'attivazione della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sul moltiplicarsi delle violenze mafiose. Dal punto di vista civico il Comune di Trapani era retto da una Giunta monocolore e dal 1962 da una maggioranza tra Democrazia Cristiana e i due Partiti Socialisti, cui si univa talvolta il Partito Repubblicano. Diversa la composizione dell'amministrazione provinciale in attività dal 1961, quando iniziò la serie dei Presidenti tutti democristiani dell'una o dell'altra città.
Sono gli anni che coincidono con la prima parte dell'episcopato di Francesco Ricceri (*1903), iniziato nel luglio 1961, allorché si rafforzò l'esigenza di aggiornamenti non soolo esteriori che, ovviamente, giungevano, almeno indirettamente ed in prevalenza dall'annunzio del Concilio, annunzio recepito da alcune avanguardie tra preti e laici. Il «Bollettino Fcclesiastico della Diocesi di Trapani» riportava con foto e cronaca l'ingresso del vescovo a Trapani il 23 luglio 1961 in aereo, anche per non transitare da Alcamo, città vessata ancora dall'interdetto che il vescovo Mingo aveva comminato nel 1960 per la vicenda del sindaco impegnato nell'operazione dei cristiano-sociali di Silvio Milazzo alla Regione Siciliana. Il vescovo Ricceri proveniva dalla prelatura di Santa Lucia del Mela, ma in precedenza era stato impegnato nell'Opera Diocesana di Assistenza della Chiesa di Catania. Per questo si presentò coreograficamente scendendo dall'aereo annunziando la liberalizzazione dei pegni depositati in banca fino ad una certa somma e distribuendo pacchi dono ai diseredati e perfino un taglio di talare a tutti i preti. Incrementò, ovviamente l'Opera Diocesana di Assistenza aprendo uno sportello con assistente sociale al pianterreno del palazzo vescovile e programmando la distribuzione di pacchi per il Natale. Il suo primo impegno consistente fu la partecipazione alla seconda Sagra della Bibbia ad Erice concludendo le manifestazioni il 13 agosto. Intanto nel «Bollettino Ecclesiastico Diocesano» appariva in gennaio 1962 la Bulla di Giovanni XXIII di indizione del Concilio che si aprì l'11 ottobre 1962 a Roma: partecipazione materialmente ineccepibile, quella del vescovo Ricceri, in quanto a Roma si era sistemato a casa del fratello che provvedeva a condurlo all'aula conciliare, da cui tornava come da un impiego svolto diligentemente. Di fatto non si annovera neppure un suo minimo intervento, tranne la responsabile presa di posizione nelle votazioni sulla linea stabilita da contatti informali con altri vescovi. Nei suoi ritorni a Trapani, a parte le comunicazioni per vie brevi e con qualcuno dei preti diocesani di passaggio a Roma, non creava opportuni incontri per riferire pubblicamente sui temi che il Concilio affrontava, tranne i brevi cenni nelle omelie in cattedrale quando celebrava la liturgia pontificale o poche volte con i curiali ed altri occasionali collaboratori per l'attuazione canonica delle disposizioni. A condizione che tutti i mutamenti fossero emanati con direttive provenienti dalla Conferenza Episcopale Italiana, da cui pervenivano sul suo duplice tavolo di lavoro, quello aperto al pubblico e quello riservato. Tuttavia il vescovo volle che nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» apparissero i discorsi con cui il papa annunziava e apriva il Concilio, compreso il primo messaggio dei Padri conciliari ed in seguito che fosse diramato l'impulso alle assemblee conciliari da parte del nuovo papa Paolo VI, anche attraverso le sue encicliche, come, del resto, quelle del predecessore. Anzi vi inserì in diverse annate piccoli articoli di esperti nazionali, evidentemente ricopiati da altre testate, su Concilio e Liturgia, su Altare e Tabernacolo e in particolare Lo scopo della riforma liturgica del card. Giacomo Lercaro nel 1965. Altri relatori illustrarono in quegli anni con la loro presenza le tematiche conciliari in incontri organizzati. Ma poco spazio ebbero gli altri documenti conciliari appena usciti, l'ultimo dei quali la Costituzione Gaudium et spes con le aperture ai segni dei tempi ed alla Chiesa proiettata essenzialmente sul mondo. La Chiesa di Trapani, peraltro, era radicata in ambienti modesti quasi completamente borghesi, privi delle problematiche industriali od occupazionali, tranne zone ristrette.
Ormai l'aumentato e consistente numero dei seminaristi non era più contenuto nel vecchio seminario adiacente all'episcopio, ma nel nuovo edificio inaugurato nell'anno scolastico 1961-1962, ampio e alle falde del Monte Erice, costruito sfruttando con immancabile astuzia la legislazione regionale che destinava fondi ai figli degli emigranti. I seminaristi, parecchie decine, vi frequentavano tutte le scuole e perfino il corso di teologia, distinto in due classi, avendo cosi abolito il trasferimento pregresso ad Agrigento dello sparuto numero di chierici. Ad insegnare ai chierici il vescovo chiamò, tra dogmatici e moralisti di sua fiducia, giovani preti specializzati a Roma o di cui riconosceva l'acquisita competenza. Per la Patrologia ed il Canto gregoriano nel collegio dei professori entrava il giovane prete di Erice, incautamente o inconsciamente nominato per i pochi chierici, dove trovò solo qualcuno entusiasta e disposto a seguirne le orme. L'insegnamento era comunicazione attiva e non scolastica, con lettura di testi patristici e prove di canto gregoriano, attraverso i quali diffondeva la concezione biblico-liturgica ed un indomito entusiasmo. Erano occasioni in cui preti e popolo di Dio scoprivano la sua dedizione al canto gregoriano che eseguiva con i seminaristi addestrati alle modulazioni delle parti proprie in alcune solennità ed immancabilmente alla Missa Chrismatis del Giovedi Santo. Quello in particolare dei seminaristi che lo seguiva, coglieva le novità teologiche e liturgiche. Li adatterà, con una propria impronta, all’ambiente semplice e contadino di un borgo, Scopello, da lui segnato da innovazioni d'avanguardia nella condivisione sofferta della vita degli umili, quale preparazione a quelle liturgiche: erano i segni della tensione al rinnovamento, che restano tuttora nella chiesetta trasformata dai tronchi d'ulivo adoperati come supporto alla mensa-altare, nell'ambone e nel sostegno al cero pasquale, inoltre dalla rete dei pescatori per la piccola mensa della reposizione, ed ancora da un magnifico affresco, in tempera gialla luminosa, di Gesù vestito ed appoggiato ad una croce di ulivo verdeggiante. Assieme a lui un altro chierico, che l'aveva seguito a completare gli studi a Roma, assegnato ad un altro borgo, vi si immetteva come prete-operaio in una segheria e continuava la sua testimonianza nelle celebrazioni liturgiche semplici ed essenziali. Il lavoro manuale per ambedue si esplicò in altre esperienze, senza smentire il nocciolo biblico-liturgico, colorito da loro con la vicinanza costruttiva alla gente del proprio borgo.
Soprattutto l'aggi ornamento pastorale era inculcato a vuoto a preti restii ed a persone, talune anche colte, povere di religiosità, se non genericamente devoti. Questa la realtà oggettiva, ammessa apertamente e non denunziata in atteggiamenti di superiorità. C'era, al fondo, l'ansia di porgere aiuto in piena disponibilità, ma spesso gli altri coglievano imposizioni e modalità di arroganza. In questo contesto era difficile proporre una Chiesa per il mondo, in quanto i due termini apparivano dimezzati per un confronto costruttivo. Ma sarebbe bastato rifugiarsi nel quotidiano delle gente, nelle città ricche di tradizioni come Erice, o nei borghi sprovvisti e muniti solo di un magazzino adattato al culto ed avviare una testimonianza conseguente con i dovuti impulsi a vivere la teologia del Concilio. Impossibile scalfire la preparazione manualistica e formale di preti e laici, anche devoti, restii a mettere in discussione il fardello finora da altri giustificato e di cui amavano le certezze. Equivocavano la "tradizione" come intoccabile, avulsa da testi, dall'essenziale, dall’evoluzione insita nella vita. Nessuna visione della Tradizione che procede con Bibbia, Patristica, Liturgia ed Ecclesiologia. Chi ad esse si riferiva era fuori contesto, anzi redarguito come arrivista e aspirante a primeggiare tra chi non aveva tempo, e neppure voglia, per l'aggiornamenio pastorale, tanto meno teologico.
Quando si dovette provvedere, specificamente, all'attuazione della riforma liturgica, avviata con la promulgazione il 4 dicembre 1963 della Costituzione, Sulla Sacra Liturgia, la Chiesa di Trapani nel suo complesso era disorientata tra la pratica inveterata e la ventata di novità sul campo delle celebrazioni quotidiane che richiedevano preparazione ed impegno. Appunto per invitare alla comprensione ed all’attuazione del Concilio il vescovo Ricceri costituì la Commissione liturgica che, date le esigue competenze dei componenti, si limitò soltanto a ribadire le disposizioni vincolanti e le norme legate alle rubriche. Ciò potrebbe essere indice di una certa sua disponibilità a proporre le innovazioni provenienti dal Concilio, forse perché pesavano le richieste che al Concilio si ispiravano; ma certamente tale disponibilità del vescovo doveva rapportarsi all'impreparazione generale o all'incapacità di manifestarsi. Del resto si insisteva sull'adempimento delle disposizioni, soprattutto esteriori e si pubblicavano la revisione del Proprium Ecclesiae Drepanensis, le disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana sulla lingua italiana nelle celebrazioni liturgiche, e penetravano appena nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» programma e cronache dell'annuale Sagra della Bibbia nel periodo estivo ad Erice.
Da segnalare l'alluv ione disastrosa avvenuta a Trapani nel 1965 con tanti morti e con rovine nell'agricoltura e nelle saline. In quell'occasione il vescovo Ricceri si attivò con tutte le risorse disponibili e con mezzi adeguati a percorrere le strade, ordinando la distribuzione a carico della Diocesi di viveri e di indumenti, appoggiandosi soprattutto alla Opera Diocesana di Assistenza, che si era trasformata dalla sede locale della tradizionale Pontificia Opera di Assistenza. Nel 1965 organizzò per la città di Trapani una Missione cittadina e dal 1966 gli annuali Convegni estivi ad Erice sulla Catechesi. L'annata 1966, peraltro, è dominata dal Giubileo straordinario indetto nelle singole diocesi dal papa e dai riferimenti occasionali agli altri decreti conciliari. Inoltre nel 1966 l'organo ufficiale della Curia annota disposizioni liturgiche sull'abuso dell'organo e dell'amministrazione privata dei battesimi; pubblica brevi cronache sull'anno giubilare incentrato sulla cattedrale e su ricorrenze e dimissioni di preti dopo il 75° di età. A margine spiccava la relazione di un partecipante, il solito prete di Erice, al Congresso Internazionale di Teologia svoltosi a Roma e le cronache del Natale degli emigranti a Calatafimi, della concelebrazione per il possesso canonico del nuovo giovane parroco di San Cataldo in Erice, del Convegno Biblico Regionale ospitato ad Erice e del primo Convegno Catechistico Diocesano, tutte notizie riportate nel 1967. Dal 1967, peraltro, i giovani preti si riunivano ed il vescovo li aveva incoraggiati accogliendoli in una delle ville della Diocesi dove erano liberi di discutere, e talvolta animatamente, sulle problematiche inerenti il loro ministero e sulle prospettive annunziate da Linee di rilessione a cui seguiva una Traccia di discussione sui problemi del clero: richiedevano risposte da consegnare entro i primi mesi del 1970, ma ne furono redatte anche in gruppo dai giovani preti. L'11 gennaio 1968 poi in episcopio si riuniva il Consiglio Presbiterale: era la prima seduta di un organismo provvisorio che avrebbe elaborato uno Statuto a partire da una bozza redatta da esperti locali e distribuita nell'ottobre 1969.
Più vaste dimensioni dell'alluvione ebbe il terremoto che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 colpì la valle del Belice, tante piccole città con l'entroterra agricolo distribuito tra le diocesi di Mazara, di Agrigento e di Palermo. La Chiesa di Trapani, seppure toccata prevalentemente nella città di Calatafimi e nelle sue chiese, partecipò con aiuti e con volontari per i primi soccorsi distribuiti nelle zone più disagiate ed impegnando assistenti ed operatori sociali nelle strade secondarie, nelle tendopoli e negli li alloggi provvisori, anche con aiuti venuti da tante diocesi e città, tutto convogliato in un centro operativo presso l' ONARMO ed in contatto con la Santa Sede. La scossa era avvertita nella città capoluogo dove si registrarono danni in talune chiese ed in qualche edificio monumentale che furono chiusi. Un cenno appena nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» rievoca l'inaugurazione nel 1969 di un prefabbricato adibito come chiesa San Pietro. Il vescovo Ricceri invitò tutti i parroci dei centri popolosi a curare le celebrazioni liturgiche in qualunque posto disponibile. La città di Trapani incontrò tanti terremotati in cerca di sistemazione diversa dalle tendopoli allestite come emergenza durante un rigido inverno. La diocesi si era organizzata con mezzi di locomozione e viveri, coperte e medicine, per l'assistenza nelle tendopoli e successivamente con assistenti sociali. Ancora singoli preti e laici in gruppo avevano girato per le tendopoli, interrompendo anche i loro studi a Roma, altri in occasione della celebrazione dell’eucarestia e dei sacramenti si prodigavano per colmare il vuoto che i terremotati si portavano appresso. Nella tendopoli di Alcamo e ad Erice il vescovo presenziava alla celebrazione di matrimoni tra giovani terremotati, offrendo l’abito di nozze a che aveva perduto tutto, proprio quando le nozze erano vicine , inoltre ad Erice anche il rinfresco in un locale che fu allietato da cittadini quali parenti acquisiti. Sul versante liturgico si solennizzava nella cattedrale di Trapani la consacrazione del nuovo altare marmoreo rivolto al popolo e l'inaugurazione del nuovo organo.
Per altri versi il 1968 con le agitazioni studentesche nelle piazze delle città, a Trapani non apparve particolarmente vivace nella contestazione giovanile che si svolse senza intemperanze. Piuttosto in quegli anni la reviviscenza della mafia. segnava l'entroterra anche limitrofo e nella città era sotterraneo, visibile appena nel proliferare degli sportelli bancari, al punto da configurarsi una "cassa" del potere mafioso. Ovviamente in questa estrema sintesi si omettono le implicanze economiche, delittuose, giudiziarie e morali dell'assetto del territorio. Spiccava, invece, l'emigrazione all'estero, in particolare in Svizzera ed in Germania, che depauperò di cittadini alcune piccole città e svuoto le campagne. Per le città di Trapani e di Erice bisogna segnalare lo spopolamento ulteriore dei due centri storici e l'incremento del territorio pedemontano con cittadini del comune di Trapani trasferiti ad Erice, mentre anche l'ospedale del capoluogo dal 1968 era un grande edificio realizzato nel territorio di questo secondo comune. Emergeva altresì l'inurbamento selvaggio nei grossi comuni del trapanese, segnatamente Alcamo per restare nei limiti della diocesi di Trapani, anche se non regge il paragone con quello di Agrigento e tanto meno con quello di Palermo, dove si verificò dagli inizi degli anni '60 il dissesto edilizio di monumenti e di ville nella
periferia, il cosiddetto sacco di Palermo, spesso promosso dall'intesa tra politica e mafia. In compenso cresceva il benessere generale, anche se a Trapani si notava il parassitismo della classe egemone che preferiva depositare gli introiti nelle Banche anziché investirli; e cresceva ugualmente la spesa per consumi voluttuari e per attività ricreative.
Dal «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» nell'intero anno 1959 non si incontra alcuna nota, neppure breve o riportata tra gli Atti della Santa Sede, come di consueto, che additi l'annunzio con cui papa Giovanni XXIII indiceva un Concilio il 25 gennaio di quell'anno. Un annunzio che sbalordiva e sconvolgeva gli ambienti ecclesiastici in tutto il mondo, ma che a Trapani non aveva risonanze ufficiali. C'è invece in quel Bollettino l'annunzio della seconda visita pastorale che il vescovo programmava, dopo la prima del 1953; inoltre sono stilate Norme per la Settimana Santa, tra le invettive contro il preteso dialogo tra cattolici e comunisti atei e contro La moda invereconda, cui seguiva immancabile l'elenco, cui il vescovo teneva tanto, sui casi morali da risolvere nelle assemblee dei preti. Per il 1960 si notano le Stazioni quaresimali da una parrocchia all'altra a partire dal Mercoledì delle ceneri 2 marzo alla Domenica delle Palme 10 aprile. Tuttavia fa, in seguito, la sua apparizione solo una Preghiera per il Concilio, seguita da avvertenze sulle rubriche nelle celebrazioni ed un breve saggio sull'amministrazione dei beni ecclesiastici. L'impianto non è smentito l'anno seguente, con la celebrazione del decennale di permanenza a Trapani del vescovo, quando si insiste sul Codice delle Rubriche e Norme per la Quaresima, dopo una condanna per le Giunte comunali aperte ai socialisti. In definitiva, mentre si sperimentavano a Trapani nuove incidenze della reggenza vescovile sull'osservanza formale del cattolicesimo e sulle condanne in campo politico e morale, Mingo complessivamente era orientato a personalizzare la sua influenza di incallito disquisitore di impronta gesuitica, Non per nulla riusciva a consolidare il COLLATERALISMO PQLITICO, di cui era viva l'esperienza avanzata in più modeste forme da qualche suo predecessore e da altri vescovi siciliani. Ma proprio nel 1961 Mingo venne promosso alla sede arcivescovile di Monreale e consegnò alla diocesi un patrimonio ingente di beni, ma anche una diffusa chiusura alle innovazioni che diffondeva esplicitamente o implicitamente l'amico della Vetta: cosi era canzonato un giovane prete destinato ad Erice.
La diocesi, infatti, era stata preceduta, seppure marginalmente, da iniziative di chi alla liturgia da sempre si era dedicato dagli anni della formazione a Roma, quando aveva ricercato autonomamente e contro le rigide regole del Pontificio Seminario Romano, libri-riviste e incontri in sintonia con le aperture teologiche d'oltr'alpe che per vie traverse si reperivano clandestinamente. Già dalla Pasqua del 1958 in cattedrale e nella visita a parrocchie e comunità religiose da prete novello aveva con grinta presentato il messaggio del ritorno all'essenziale nelle celebrazioni, perfino nelle vesti liturgiche semplici e rimodellate a Roma sullo stile che dall'uso quotidiano greco-romano era passato alle celebrazioni di un tempo. In questo aperto ripudio c'era una nuova liturgia, liberata dai ricchi parati ridotti di dimensioni lungo l'intero medioevo e giunti striminziti e tempestati di ori alle soglie di Riforma e cosiddetta Controriforma. Il giovane prete si presentava nelle celebrazioni con una semplice veste sul camice senza merletti, la "casula", di cui a Trapani non c'era traccia, appena qualcuna rappresentata iconograficamente nelle antiche tavole del Museo. "Casula", uguale a quella che da celebrante indossava sempre, ma bianca con croce rossa equilatera, aveva donato al vescovo perché si illudeva che l'avrebbe indossato la notte di Pasqua, per la sua ordinazione presbiterale: non venne mai indossata. Il suo messaggio non era solo liturgia, ma teologia ed ecclesiologia di partecipazione, che cosi si diffondeva, tra i sorrisi beffardi e le aperte critiche di preti giovani e vecchi generalmente maliziosi, pronti a disapprovare con la scusa della sua irruenza congenita. Teologia ed ecclesiologia ricavata da studio assiduo di testi antichi e nuovi, che reperiva nelle biblioteche di Palermo o fotocopiava o acquistava dalle librerie di Roma nei suoi periodici ritorni tra amici ed avanguardie ecclesiali. Da Erice, dove iniziava il ministero come cappellano di istituti religiosi, si spingeva ben oltre, suffragando le iniziative con lo studio, precipuo della Theologie Nouvelle che era preconciliare e condannata ufficialmente, ma non era impossibile procurare. Contestualmente il giovane prete pubblicava, poi, sul settimanale locale «Panorama>>, fin dal 1959, alcune annotazioni che segnalavano ritmi e commemorazioni dei tempi liturgici attraverso un Almanacco della settimana. Intanto aveva formato tra i ragazzi dell'Oratorio San Martino ad Erice il gruppetto di Piccoli Cantori, sulla traccia dell'Istruzione sulla Liturgia del 1958 e sull'esempio di esperienze affermate a Roma e relazionate tra amici preti nell'ottobre 1958. Particolare entusiasmo aveva riportato nell'ottobre 1959 da una celebrazione a Bologna in attesa di colloquiare con il card.Giacomo Lercaro, riconosciuto iniziatore della riforma liturgica fino al limite consentito prima del Concilio. Era una novità sentire i Piccoli cantori di Erice eseguire adattamenti facili di melodie gregoriane o leggere a turno brevi parafrasi introduttive ad ogni momento della celebrazione, segnatamente per riassumere le orazioni del celebrante che si fermava prima di leggerle o cantarle in latino. Per la vestizione e la benedizione delle loro tunichette, bianche con asola rossa pendente dalle spalle, si scelse il sabato precedente la quarta domenica di Avvento, uno dei giorni nella liturgia un tempo dedicati ad ordinazioni e chiamati Tempora, quando chiamò il vescovo a presiedere. Da allora con i Piccoli Cantori o Pueri Chorales si avviarono celebrazioni o paraliturgie anche a Trapani o in qualche chiesa parrocchiale nelle borgate, su invito di parroci amici e ammirati. Addirittura il richiamo alla liturgia di Roma aveva dato impulso a far precedere la celebrazione nel tempo di Quaresima dalle Stazioni quaresimali, ossia raduni e processioni con canti e litanie da una chiesa ad un'altra. Richiamo alla Chiesa di Roma ed alla sua esemplarità dei secoli trascorsi non disgiunto dallo studio dei testi biblici e dei Padri della Chiesa nelle lunghe mattinate o nelle serate invernali ad Erice. In questo contesto per la prima volta nell'agosto 1960 ad Erice si aprirono le manifestazioni, conferenze ed esibizioni d'arte, della Sagra della Bibbia, iniziativa che sarebbe stata realizzata con successo nelle varie edizioni per dieci anni fino al 1972, con relatori specialisti e temi scelti, per presentare con accenti storico-critici l'autore additato dalla tradizione per l'uno o l'altro tra i 73 scritti che compongono il Libro per antonomasia, la Bibbia. Appunto Bibbia e Liturgia divenne il binomio da coniugare nel tempo in cui giungevano notizie della preparazione e delle prime assemblee del Concilio. Proprio per illustrare il momento straordinario che si viveva nella cristianità e per diffondere le aspettative di rinnovamento anche alle famiglie, da quell'anno ad Erice era inviato brevi manu un ciclostilato di poche facciate a scadenza settimanale dal titolo allusivo allo scambio quotidiano, con il linguaggio dei loro ragazzi, «Chiacchiari a Sammartinu». Redatto a misura dei lettori, si soffermava su solennità e tempi liturgici, santorale dei culti locali e notizie dall'assise conciliare di Roma, avvenimenti cittadini e attrattive sportive per i ragazzi. Anche le forme devozionali, a cui singoli o intere famiglie erano legati, subivano una metamorfosi interna in quanto erano accostati al tempo liturgico e ai testi della Bibbia che, direttamente o indirettamente, li richiamavano; divenivano occasioni per presentare e leggere interi libri della Bibbia a brani nelle celebrazioni di alcuni mesi dedicati a pratiche devozionali. Il pretino di Erice leggeva, anche, le cronache della preparazione e poi dello svolgimento del Concilio: d'estate anche ad un vecchio professore, proprio il modernista Antonino De Stefano, incontrato come sindaco della cittadina medievale, negli anni a seguire fermo su una carrozzina, che l'attendeva a qualunque ora nella casa di villeggiatura, propenso a condividere la sua passione e quasi a rafforzarla nell'attesa dell'evento Concilio. In questo ambiente ed in pochi altri più disposti al rinnovamento, pressante divenne il rinnovamento biblico-liturgico durante la fase di preparazione della Costituzione Sulla Sacra Liturgia: era il primo documento del Concilio e richiedeva l'adeguamento della mentalità e della pratica liturgica in tutte le sue manifestazioni. Il messaggio essenziale che si scorgeva dal primo documento non poteva rimanere nascosto: la Chiesa popolo di Dio, i testi biblici in lingua parlata, le acclamazioni, i canti propri di ciascuna celebrazione, con il gregoriano di cui si ritrovavano dal Graduale simplexi appena pubblicato le melodie semplici e se ne escogitavano adattamenti in italiano, tutti segni incitanti alla partecipazione dei fedeli. Le Chiese ricche di Erice, modestamente baroccate o neoclassiche, non costituirono ostacoli, anche se altari rivolti al popolo ed amboni furono provvisori per limitate e racimolate risorse.
Si entrava cosi nel vivo dell'epoca del Concilio con il periodo segnato dai MUTAMENTI SOCIO-POLITICI 1961-1968, quando l'apertura a livello nazionale dei democristiani, per costituire governi di centro-sinistra, era stata anticipata in Sicilia con l'esperienza dei cristiano-sociali di Silvio Milazzo, seppure circoscritta negli anni 1959-1960, ed era proseguita con più precisi appoggi dai governi regionali di centro sinistra che dal settembre 1961 si succedettero fino all'estate 1964. Si assistette all'autonomia imprenditrice con l'Ente Minerario Siciliano ed alla nascita della Sofis, la prima società finanziaria in Italia, nonché agli investimenti in Sicilia ad opera di Enrico Mattei (1906-1982). Superata l'epoca del banditismo, si affermava la presenza della mafia uscita dalla latitanza nell'aprile 1963 con la strage di Ciaculli alla periferia ovest di Palermo, cui segui nell'anno seguente l'attivazione della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sul moltiplicarsi delle violenze mafiose. Dal punto di vista civico il Comune di Trapani era retto da una Giunta monocolore e dal 1962 da una maggioranza tra Democrazia Cristiana e i due Partiti Socialisti, cui si univa talvolta il Partito Repubblicano. Diversa la composizione dell'amministrazione provinciale in attività dal 1961, quando iniziò la serie dei Presidenti tutti democristiani dell'una o dell'altra città.
Sono gli anni che coincidono con la prima parte dell'episcopato di Francesco Ricceri (*1903), iniziato nel luglio 1961, allorché si rafforzò l'esigenza di aggiornamenti non soolo esteriori che, ovviamente, giungevano, almeno indirettamente ed in prevalenza dall'annunzio del Concilio, annunzio recepito da alcune avanguardie tra preti e laici. Il «Bollettino Fcclesiastico della Diocesi di Trapani» riportava con foto e cronaca l'ingresso del vescovo a Trapani il 23 luglio 1961 in aereo, anche per non transitare da Alcamo, città vessata ancora dall'interdetto che il vescovo Mingo aveva comminato nel 1960 per la vicenda del sindaco impegnato nell'operazione dei cristiano-sociali di Silvio Milazzo alla Regione Siciliana. Il vescovo Ricceri proveniva dalla prelatura di Santa Lucia del Mela, ma in precedenza era stato impegnato nell'Opera Diocesana di Assistenza della Chiesa di Catania. Per questo si presentò coreograficamente scendendo dall'aereo annunziando la liberalizzazione dei pegni depositati in banca fino ad una certa somma e distribuendo pacchi dono ai diseredati e perfino un taglio di talare a tutti i preti. Incrementò, ovviamente l'Opera Diocesana di Assistenza aprendo uno sportello con assistente sociale al pianterreno del palazzo vescovile e programmando la distribuzione di pacchi per il Natale. Il suo primo impegno consistente fu la partecipazione alla seconda Sagra della Bibbia ad Erice concludendo le manifestazioni il 13 agosto. Intanto nel «Bollettino Ecclesiastico Diocesano» appariva in gennaio 1962 la Bulla di Giovanni XXIII di indizione del Concilio che si aprì l'11 ottobre 1962 a Roma: partecipazione materialmente ineccepibile, quella del vescovo Ricceri, in quanto a Roma si era sistemato a casa del fratello che provvedeva a condurlo all'aula conciliare, da cui tornava come da un impiego svolto diligentemente. Di fatto non si annovera neppure un suo minimo intervento, tranne la responsabile presa di posizione nelle votazioni sulla linea stabilita da contatti informali con altri vescovi. Nei suoi ritorni a Trapani, a parte le comunicazioni per vie brevi e con qualcuno dei preti diocesani di passaggio a Roma, non creava opportuni incontri per riferire pubblicamente sui temi che il Concilio affrontava, tranne i brevi cenni nelle omelie in cattedrale quando celebrava la liturgia pontificale o poche volte con i curiali ed altri occasionali collaboratori per l'attuazione canonica delle disposizioni. A condizione che tutti i mutamenti fossero emanati con direttive provenienti dalla Conferenza Episcopale Italiana, da cui pervenivano sul suo duplice tavolo di lavoro, quello aperto al pubblico e quello riservato. Tuttavia il vescovo volle che nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» apparissero i discorsi con cui il papa annunziava e apriva il Concilio, compreso il primo messaggio dei Padri conciliari ed in seguito che fosse diramato l'impulso alle assemblee conciliari da parte del nuovo papa Paolo VI, anche attraverso le sue encicliche, come, del resto, quelle del predecessore. Anzi vi inserì in diverse annate piccoli articoli di esperti nazionali, evidentemente ricopiati da altre testate, su Concilio e Liturgia, su Altare e Tabernacolo e in particolare Lo scopo della riforma liturgica del card. Giacomo Lercaro nel 1965. Altri relatori illustrarono in quegli anni con la loro presenza le tematiche conciliari in incontri organizzati. Ma poco spazio ebbero gli altri documenti conciliari appena usciti, l'ultimo dei quali la Costituzione Gaudium et spes con le aperture ai segni dei tempi ed alla Chiesa proiettata essenzialmente sul mondo. La Chiesa di Trapani, peraltro, era radicata in ambienti modesti quasi completamente borghesi, privi delle problematiche industriali od occupazionali, tranne zone ristrette.
Ormai l'aumentato e consistente numero dei seminaristi non era più contenuto nel vecchio seminario adiacente all'episcopio, ma nel nuovo edificio inaugurato nell'anno scolastico 1961-1962, ampio e alle falde del Monte Erice, costruito sfruttando con immancabile astuzia la legislazione regionale che destinava fondi ai figli degli emigranti. I seminaristi, parecchie decine, vi frequentavano tutte le scuole e perfino il corso di teologia, distinto in due classi, avendo cosi abolito il trasferimento pregresso ad Agrigento dello sparuto numero di chierici. Ad insegnare ai chierici il vescovo chiamò, tra dogmatici e moralisti di sua fiducia, giovani preti specializzati a Roma o di cui riconosceva l'acquisita competenza. Per la Patrologia ed il Canto gregoriano nel collegio dei professori entrava il giovane prete di Erice, incautamente o inconsciamente nominato per i pochi chierici, dove trovò solo qualcuno entusiasta e disposto a seguirne le orme. L'insegnamento era comunicazione attiva e non scolastica, con lettura di testi patristici e prove di canto gregoriano, attraverso i quali diffondeva la concezione biblico-liturgica ed un indomito entusiasmo. Erano occasioni in cui preti e popolo di Dio scoprivano la sua dedizione al canto gregoriano che eseguiva con i seminaristi addestrati alle modulazioni delle parti proprie in alcune solennità ed immancabilmente alla Missa Chrismatis del Giovedi Santo. Quello in particolare dei seminaristi che lo seguiva, coglieva le novità teologiche e liturgiche. Li adatterà, con una propria impronta, all’ambiente semplice e contadino di un borgo, Scopello, da lui segnato da innovazioni d'avanguardia nella condivisione sofferta della vita degli umili, quale preparazione a quelle liturgiche: erano i segni della tensione al rinnovamento, che restano tuttora nella chiesetta trasformata dai tronchi d'ulivo adoperati come supporto alla mensa-altare, nell'ambone e nel sostegno al cero pasquale, inoltre dalla rete dei pescatori per la piccola mensa della reposizione, ed ancora da un magnifico affresco, in tempera gialla luminosa, di Gesù vestito ed appoggiato ad una croce di ulivo verdeggiante. Assieme a lui un altro chierico, che l'aveva seguito a completare gli studi a Roma, assegnato ad un altro borgo, vi si immetteva come prete-operaio in una segheria e continuava la sua testimonianza nelle celebrazioni liturgiche semplici ed essenziali. Il lavoro manuale per ambedue si esplicò in altre esperienze, senza smentire il nocciolo biblico-liturgico, colorito da loro con la vicinanza costruttiva alla gente del proprio borgo.
Soprattutto l'aggi ornamento pastorale era inculcato a vuoto a preti restii ed a persone, talune anche colte, povere di religiosità, se non genericamente devoti. Questa la realtà oggettiva, ammessa apertamente e non denunziata in atteggiamenti di superiorità. C'era, al fondo, l'ansia di porgere aiuto in piena disponibilità, ma spesso gli altri coglievano imposizioni e modalità di arroganza. In questo contesto era difficile proporre una Chiesa per il mondo, in quanto i due termini apparivano dimezzati per un confronto costruttivo. Ma sarebbe bastato rifugiarsi nel quotidiano delle gente, nelle città ricche di tradizioni come Erice, o nei borghi sprovvisti e muniti solo di un magazzino adattato al culto ed avviare una testimonianza conseguente con i dovuti impulsi a vivere la teologia del Concilio. Impossibile scalfire la preparazione manualistica e formale di preti e laici, anche devoti, restii a mettere in discussione il fardello finora da altri giustificato e di cui amavano le certezze. Equivocavano la "tradizione" come intoccabile, avulsa da testi, dall'essenziale, dall’evoluzione insita nella vita. Nessuna visione della Tradizione che procede con Bibbia, Patristica, Liturgia ed Ecclesiologia. Chi ad esse si riferiva era fuori contesto, anzi redarguito come arrivista e aspirante a primeggiare tra chi non aveva tempo, e neppure voglia, per l'aggiornamenio pastorale, tanto meno teologico.
Quando si dovette provvedere, specificamente, all'attuazione della riforma liturgica, avviata con la promulgazione il 4 dicembre 1963 della Costituzione, Sulla Sacra Liturgia, la Chiesa di Trapani nel suo complesso era disorientata tra la pratica inveterata e la ventata di novità sul campo delle celebrazioni quotidiane che richiedevano preparazione ed impegno. Appunto per invitare alla comprensione ed all’attuazione del Concilio il vescovo Ricceri costituì la Commissione liturgica che, date le esigue competenze dei componenti, si limitò soltanto a ribadire le disposizioni vincolanti e le norme legate alle rubriche. Ciò potrebbe essere indice di una certa sua disponibilità a proporre le innovazioni provenienti dal Concilio, forse perché pesavano le richieste che al Concilio si ispiravano; ma certamente tale disponibilità del vescovo doveva rapportarsi all'impreparazione generale o all'incapacità di manifestarsi. Del resto si insisteva sull'adempimento delle disposizioni, soprattutto esteriori e si pubblicavano la revisione del Proprium Ecclesiae Drepanensis, le disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana sulla lingua italiana nelle celebrazioni liturgiche, e penetravano appena nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» programma e cronache dell'annuale Sagra della Bibbia nel periodo estivo ad Erice.
Da segnalare l'alluv ione disastrosa avvenuta a Trapani nel 1965 con tanti morti e con rovine nell'agricoltura e nelle saline. In quell'occasione il vescovo Ricceri si attivò con tutte le risorse disponibili e con mezzi adeguati a percorrere le strade, ordinando la distribuzione a carico della Diocesi di viveri e di indumenti, appoggiandosi soprattutto alla Opera Diocesana di Assistenza, che si era trasformata dalla sede locale della tradizionale Pontificia Opera di Assistenza. Nel 1965 organizzò per la città di Trapani una Missione cittadina e dal 1966 gli annuali Convegni estivi ad Erice sulla Catechesi. L'annata 1966, peraltro, è dominata dal Giubileo straordinario indetto nelle singole diocesi dal papa e dai riferimenti occasionali agli altri decreti conciliari. Inoltre nel 1966 l'organo ufficiale della Curia annota disposizioni liturgiche sull'abuso dell'organo e dell'amministrazione privata dei battesimi; pubblica brevi cronache sull'anno giubilare incentrato sulla cattedrale e su ricorrenze e dimissioni di preti dopo il 75° di età. A margine spiccava la relazione di un partecipante, il solito prete di Erice, al Congresso Internazionale di Teologia svoltosi a Roma e le cronache del Natale degli emigranti a Calatafimi, della concelebrazione per il possesso canonico del nuovo giovane parroco di San Cataldo in Erice, del Convegno Biblico Regionale ospitato ad Erice e del primo Convegno Catechistico Diocesano, tutte notizie riportate nel 1967. Dal 1967, peraltro, i giovani preti si riunivano ed il vescovo li aveva incoraggiati accogliendoli in una delle ville della Diocesi dove erano liberi di discutere, e talvolta animatamente, sulle problematiche inerenti il loro ministero e sulle prospettive annunziate da Linee di rilessione a cui seguiva una Traccia di discussione sui problemi del clero: richiedevano risposte da consegnare entro i primi mesi del 1970, ma ne furono redatte anche in gruppo dai giovani preti. L'11 gennaio 1968 poi in episcopio si riuniva il Consiglio Presbiterale: era la prima seduta di un organismo provvisorio che avrebbe elaborato uno Statuto a partire da una bozza redatta da esperti locali e distribuita nell'ottobre 1969.
Più vaste dimensioni dell'alluvione ebbe il terremoto che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 colpì la valle del Belice, tante piccole città con l'entroterra agricolo distribuito tra le diocesi di Mazara, di Agrigento e di Palermo. La Chiesa di Trapani, seppure toccata prevalentemente nella città di Calatafimi e nelle sue chiese, partecipò con aiuti e con volontari per i primi soccorsi distribuiti nelle zone più disagiate ed impegnando assistenti ed operatori sociali nelle strade secondarie, nelle tendopoli e negli li alloggi provvisori, anche con aiuti venuti da tante diocesi e città, tutto convogliato in un centro operativo presso l' ONARMO ed in contatto con la Santa Sede. La scossa era avvertita nella città capoluogo dove si registrarono danni in talune chiese ed in qualche edificio monumentale che furono chiusi. Un cenno appena nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» rievoca l'inaugurazione nel 1969 di un prefabbricato adibito come chiesa San Pietro. Il vescovo Ricceri invitò tutti i parroci dei centri popolosi a curare le celebrazioni liturgiche in qualunque posto disponibile. La città di Trapani incontrò tanti terremotati in cerca di sistemazione diversa dalle tendopoli allestite come emergenza durante un rigido inverno. La diocesi si era organizzata con mezzi di locomozione e viveri, coperte e medicine, per l'assistenza nelle tendopoli e successivamente con assistenti sociali. Ancora singoli preti e laici in gruppo avevano girato per le tendopoli, interrompendo anche i loro studi a Roma, altri in occasione della celebrazione dell’eucarestia e dei sacramenti si prodigavano per colmare il vuoto che i terremotati si portavano appresso. Nella tendopoli di Alcamo e ad Erice il vescovo presenziava alla celebrazione di matrimoni tra giovani terremotati, offrendo l’abito di nozze a che aveva perduto tutto, proprio quando le nozze erano vicine , inoltre ad Erice anche il rinfresco in un locale che fu allietato da cittadini quali parenti acquisiti. Sul versante liturgico si solennizzava nella cattedrale di Trapani la consacrazione del nuovo altare marmoreo rivolto al popolo e l'inaugurazione del nuovo organo.
Per altri versi il 1968 con le agitazioni studentesche nelle piazze delle città, a Trapani non apparve particolarmente vivace nella contestazione giovanile che si svolse senza intemperanze. Piuttosto in quegli anni la reviviscenza della mafia. segnava l'entroterra anche limitrofo e nella città era sotterraneo, visibile appena nel proliferare degli sportelli bancari, al punto da configurarsi una "cassa" del potere mafioso. Ovviamente in questa estrema sintesi si omettono le implicanze economiche, delittuose, giudiziarie e morali dell'assetto del territorio. Spiccava, invece, l'emigrazione all'estero, in particolare in Svizzera ed in Germania, che depauperò di cittadini alcune piccole città e svuoto le campagne. Per le città di Trapani e di Erice bisogna segnalare lo spopolamento ulteriore dei due centri storici e l'incremento del territorio pedemontano con cittadini del comune di Trapani trasferiti ad Erice, mentre anche l'ospedale del capoluogo dal 1968 era un grande edificio realizzato nel territorio di questo secondo comune. Emergeva altresì l'inurbamento selvaggio nei grossi comuni del trapanese, segnatamente Alcamo per restare nei limiti della diocesi di Trapani, anche se non regge il paragone con quello di Agrigento e tanto meno con quello di Palermo, dove si verificò dagli inizi degli anni '60 il dissesto edilizio di monumenti e di ville nella
periferia, il cosiddetto sacco di Palermo, spesso promosso dall'intesa tra politica e mafia. In compenso cresceva il benessere generale, anche se a Trapani si notava il parassitismo della classe egemone che preferiva depositare gli introiti nelle Banche anziché investirli; e cresceva ugualmente la spesa per consumi voluttuari e per attività ricreative.
L'attuazione
Il 25 gennaio 1964 papa Paolo VI motu proprio aveva avviatola preparazione dei Libri liturgici quale fondamento della riforma e costituì un Consilium da cui nel 1968 sorse la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, organismo da cui fu edito nel 1969 il Missale Romanum che sostituiva quello di Pio V del 1570. Successivamente nel 1970 venne pubblicato il Messale Romano in lingua italiana, dove spiccavano le orazioni, le risposte dei fedeli, le letture, il canone, l'orientamento del celebrante rivolto al popolo, l'ambone. Ma già da tempo proliferavano in campo internazionale e nazionale adattamenti o nuovi testi prodotti dalle singole comunità ed in seguito precisati o ufficialmente soppressi. La ricezione nella Chiesa di Trapani delle nuove disposizioni liturgiche non fu omogenea, anzitutto per il superamento dell'inveterata mentalità che insisteva sulle cerimonie e per l'impreparazione teologica e liturgica. Talvolta si registrò la
resistenza alla riforma da parte di tanti preti abituati a rotolare in meno di mezz' ora la celebrazione quotidiana in latino, che influenzavano l'atteggiamento restio dei fedeli, proni davanti all'altare e avvezzi a forme devozionali personali perché non comprendevano il latino. Pochi preti accolsero l'innovazione con entusiasmo e con la dovuta preparazione, anzi si attivarono chiedendo aiuto ad uno dei confratelli per conversazioni preparatorie in alcune assemblee con i fedeli. Mancava la Teologia come fondamento che corrobora la testimonianza e l'innovazione in tutti i campi della pastorale. Ciò nonostante, pochissimi preti approdarono all'omelia quotidiana per spiegare i testi letti in italiano e per commentare il senso della riforma. Si era sperimentata alla fine del 1966 anche ad Erice la cosiddetta "Messa dei giovani" con canti folk e nuovi strumenti oltre l'organo, che riproponeva esperienze di Roma e di altre città d'Italia, eseguendo musiche appositamente composte da valenti maestri, in collaborazione con liturgisti. Trapani ed altri centri provarono ed importare testi e strumenti e riuscirono. Il vescovo in un'intervista del 1967 tracciò una panoramica genericamente normalizzante di tutte le iniziative ufficialmente promosse, ignorando le innovazioni per lui ardite, ma anche le reali situazioni e gli ostacoli al mutamento verso la mentalità ecclesialmente liturgica.
Preparato da accenni del vescovo Ricceri in tante occasioni, alla fine del 1968 fu indetto il Congresso Eucaristico Diocesano che doveva espletarsi anzitutto nei congressi parrocchiali, dove non mancarono devozionazionalismi ancestrali verso l'adorazione, proprio quando in pochi altri contesti l'eucaristia significava partecipazione alla mensa da parte del popolo di Dio. Fu celebrato dal 24 maggio al 1° giugno del 1969 con conferenze e liturgie culminate nella processione per la città e la partecipazione del card. Giacomo Lercaro. Un evento realizzato nelle forme trionfalistiche: cosi apparve negli annunzi ad alcuni giovani preti che lo disertarono. Il Congresso Eucaristico Diocesano del 1969 e le mancate aperture nel presbiterio, anzi, ruppero la comunione ecclesiale, per tesi sull'ecclesiologia e sulla figura del prete, redarguite "non ortodosse" in animate assemblee di preti, anche perché tutto dall'esiguo gruppo di giovani preti era diffuso con scritti ed interviste, puntualmente fornite al vescovo da delatori quasi mestieranti. Ciò avveniva proprio quando il gruppo sparuto di giovani preti si aggiornava e seguiva il professore o i professori più aperti alla Bibbia ed alla Liturgia. Era appena emerso il desiderio di una Teologia ed una visione ecclesiale fondata sui testi e sulla pratica nella Chiesa antica, aperta alle testimonianze dirompenti ed al lavoro, anche manuale, tra la gente.
Pochi preti giovani, reduci dagli studi romani in parte conclusi, parlavano di pace, di vicinanza al mondo del lavoro, di giustizia sociale, di aperture al femminismo, di semplicità di vita e di austerità perfino nell'abbigliamento usuale per non distinguersi dai fedeli: e mettevano in atto le vibranti parole che ricalcavano la tradizione profetico-gesuana e che urtavano spesso in forme aggressive intere assemblee di sprezzanti confratelli attaccati al quieto vivere. Preti giovani che non curavano il rapporto verticistico con il vescovo, come la maggioranza del clero "municipale" adagiato alle camarille locali ed illuminato solo dalle consuetudini decrepite e dal ripudio di qualsiasi aggiornamento pastorale in cui scorgevano la prosecuzione del dannato modernismo studiato a suo tempo come esecrabile. Il riferimento continuo del minuscolo gruppo di giovani preti, tra tanti altri allineati, era piuttosto la comunità e non solo delimitata dai recinti chiesastici, il linguaggio anticuriale ed evangelico, la formazione romana ispirata al Concilio ed ai profeti moderni che l'avevano auspicato con iniziative concrete nell'Italia fascista o postbellica. Accusati di temerarietà perfino dottrinali, tanti preti lasciarono il ministero a partire dal 1970, convinti di una ricerca oltre gli indirizzi ufficiali. Altri si schierarono apertamente contro le scelte personali di vita ed altri ancora approvavano senza osare.
In questo contesto di rinnovamento si ponevano gli incontri ecumenici iniziati a metà degli anni '60 a Trapani tra cattolici ed evangelici valdesi e pentecostali, con l'intervento di pastori e di un solo prete cattolico affiancato da laici. Erano stati avviati occasionalmente da rapporti di conoscenza e, per le preclusioni insite nel mondo cattolico, si tenevano presso abitazioni private. Dagli incontri occasionali erano derivati quelli settimanali, il primo anno presso un anziano pentecostale, che comportavano una lettura biblica continuata, la libera discussione esegetica attualizzata e preghiere spontanee finali. Dopo alcuni anni, nel 1968 alla Sagra della Bibbia ad Erice sul tema Culto e comunità si svolgeva, a conclusione delle giornate di studio e di manifestazioni artistiche, una tavola rotonda, preceduta da letture concordate, con la partecipazione di due pastori della Chiesa Valdese di Trapani e Palermo. Ovviamente il vescovo non era presente e seguiva da lontano tramite emissari che gli riferirono dell'animato dibattito nella sede, usata dal 1963 ininterrottamente, della Sagra della Bibbia, la chiesa di San Martino. Di fatto nel 1969 la Sagra della Bibbia non si svolse, anche se ad Erice e a Trapani nella settimana di preghiere per l'Unità delle Chiese, dal 18 al 25 gennaio, si erano tenuti incontri ecumenici su "Concilio e Concili" ed altre manifestazioni in poche chiese cattoliche ed in quella valdese. Le iniziative si reiterarono a Palermo, con il sostegno della rivista «Dialogo>> da anni impegnata nel settore ecumenico, dove gli interventi suscitarono polemiche con lettere permissive dei rispettivi vescovi a proposito del prete animatore che da Erice addirittura oltrepassava la diocesi senza alcun permesso della Curia.
Proprio in quell'anno 1969 erano partiti, in circostanze e per sedi diverse due giovani preti per un'esperienza in Africa, animati nel postconcilio dalla nuova ecclesiologia e dall'impegno sociale fuori diocesi ed in terre lontane, forse anche per un certo voluto distacco dalle contingenze locali. Da uno di loro furono preparati sette africani, tra cui due ragazze, che furono accolti come studenti infermieri presso l'ospedale di Trapani nel 1970 per poi tornare a più riprese nella loro terra d'Uganda. Proprio in quell'anno ebbe diffusione ristretta la partecipazione a tale accoglienza che voleva implicare l'impegno della Chiesa locale per la "Missione". Anche all'annuale Sagra della Bibbia di Erice si organizzò una conferenza ed una mostra. Un nucleo di giovani laici e qualche prete, invece, avviarono una iniziativa che superò quella verso l'Africa, attorno ad un'attività di raccolta dell'usato, denominata "Operazione Mato Grosso", attività scandita dal momento domenicale in cui gli operatori si ritrovavano per la "Messa dei giovani" con canti e strumenti importati da altre situazioni ecclesiali. Da questa convergenza verso l'America Latina si svilupparono vocazioni laiche: due giovani, in circostanze diverse e dopo aver lavorato per anni all'Ufficio Catechistico Diocesano rinnovato o in altre mansioni ecclesiali, partirono, la ragazza maestra elementare par il Brasile nel 1973 ed il giovane trentenne per il Paraguay nel 1978. Nè il legame con l'Africa e neppure quello con l'America Latina incisero, se non provvisoriamente ed emotivamente, nella pastorale e nella ecclesiologia della Chiesa di Trapani.
Il «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» da quell'anno 1970 appare proiettato verso impegni di aggiornamento pastorale: Scuola di Teologia organizzata in 3 anni, con una settimana di studio ad Erice, Convegno di Catechesi, Norme sulla ‘’ Messa dei Giovani ‘’che già assumeva contorni musicali nuovi. Informazioni sui missionari d’ Africa e d’America Latina. In particolare deve essere annoverata la costituzione formale e partecipata con elezioni, dei Consigli Presbiterale e Pastorale, di cui era stata approvata la stesura definitiva del rispettivo Statuto, su bozza preparata da una ristretta cerchia di studiosi locali alla fine del 1969 ed approvata definitivamente in assemblea dagli inizi del 1970. A parte nello stesso organo ufficiale della Curia erano inserite due relazioni, in preparazione al Congresso dei Teologi Italiani e sulla partecipazione al Convegno Biblico Regionale alle isole Eolie nel 1971. Intanto nel 1972 a Palermo sorgeva l'Istituto Filosofico-Teologico per la Sicilia Occidentale dove partecipavano come professori alcuni preti diocesani. Ugualmente alla dimensione regionale appartiene l'ospitalità e la partecipazione allo scambio di esperienze con i delegati del Sinodo Ortodosso di Grecia giunti a Palermo nell'ottobre 1973, e passati a Trapani, mentre la diocesi si preparava con specifici incontri per il Giubileo a Roma del 1975.
Ormai era stato completamente rimosso dalla Chiesa di Trapani il rifiuto plateale e diffuso del gruppo di giovani preti, maturati negli studi teologici a Roma, che avevano dato impulso a pregressi isolati fermenti di autentici antesignani, contagiando altri ed aprendo ai laici ed alla vita sociale. L'aggiornamento continuo sull'attuazione dei testi conciliari era uno degli obiettivi insistenti dei giovani preti: riforma liturgica, talora anticipata, cultura biblica, dialogo ecumenico e con marxisti, lavoro manuale subordinato o in proprio, Scuola di Teologia con apporti antropologici, contatti con altre esperienze ecclesiali, alfabetizzazione in zone degradate, viaggi tra emigrati all'estero, missioni nel terzo mondo e accoglienza di studenti di colore, rifiuto di collateralismo politico-mafioso. Tutte realizzazioni scaturite e vissute nell'ambito del postconcilio, in grado di conferire prima una spinta irrefrenabile di rinnovamento non condiviso dal contesto ecclesiale di Trapani e successivamente una notevole fuoruscita di preti e laici dal servizio alla comunità. Servizio inteso anche come testimonianza di lavoro manuale tra contadini, marmisti, falegnami, ceramisti, proprio quando altri entravano nelle segreterie delle scuole o avevano titoli congrui per insegnare materie comuni.
La crisi penetrò nel laicato e nel seminario dove finì il corso teologico. E cosi da tempo era comparso, quasi in sordina, il cosiddetto neo-modernismo, come frattura interna alla convivenza ecclesiale, anche se solo tardivamente si sono registrate altre aperte defezioni, nentre talune restarono trattenute dall'imperante devozionalismo o dall'ambiente restio ad accogliere spinte ed innovazioni. Il vescovo Ricceri aveva dovuto accettare e chiedere per ciascuno che lasciava il ministero la dispensa alla Santa Sede, ma solo nel primo caso riuscì a convincere l’interessato a cercare lavoro nelle scuole fuori diocesi, mentre altri affrontarono il lavoro in sede locale e non solo nell’insegnamento. Altri non chiesero nulla e semplicemente comunicarono al vescovo la rinunzia all’incarico e partirono o restarono; e c'era chi avrebbe fatto a meno della dispensa pontificia nella convinzione dei poteri pieni del vescovo locale cui sentivano di essere legati da in impegno ora ritenuto limitato nel tempo, per passare ad altro servizio nella comunità. La quale non frappose ostacoli preconcetti, finché dall’alto giunsero i veti che valsero ad escludere l'accoglienza comunitaria pregressa.
Intanto con la ripresa del regionalismo siciliano e con i governi nazionali del centro-sinistra si verificava l'estensione di alcune prerogative di autonomia alle altre regioni d'Italia nel 1970. Lo spostamento a sinistra registrò il calo della Democrazia Cristiana e la massima affermazione del Partito Comunista con il Partito Socialista quale terza forza. In Sicilia si notavano dissomiglianze in quando il Partito dei cattolici rimaneva saldamente ancorato nella mentalità delle popolazioni, anche per l’appoggio indiscusso da parte dei vescovi che puntualmente nelle vigilie elettorali emanavano un loro comunicato, quello che il vescovo Ricceri non mancava di raccomandare ai preti riuniti nel terzo giovedì del mese. Gli accordi politici, invece, giunsero alla "solidarietà autonomistica" tra partiti di governo e di sinistra e procurarono riflessi anche a Trapani, dove continuò l'egemonia della Democrazia Cristiana appoggiata da socialdemocratici e socialisti e talvolta dal Partito Repubblicano. E così fino al 1980 quando emerse un sindaco socialista, ma per poco e venne la ripresa della Democrazia Cristiana per lunghi anni ancora. Non altrettanto nell'amministrazione provinciale dove i democristiani si alternarono solo tra loro e tra gli eletti nei grossi comuni, mentre gli altri partiti rimasero nella maggioranza o all'opposizione. Con questi mutamenti socio-politici affiorano altre PROBLEMATICHE DEL TERRITORIO dal 1969 al 1976, dove si inserisce la straordinaria partecipazione di alcuni preti nel sociale, scaturita nel 1975 da un evento luttuoso nella zona estrema e anticamente acquitrinosa del porto di Trapani, denominata dai locali-per della specie di molluschi dalla piccola conchiglia rosata a strisce che vi si raccoglievano - Porta 'Addi /Porta Galli, secondo una storpiata italianizzazione. Fu il crollo di una palazzina, annunziato dall'incuria dei proprietari e dichiarata già inagibile ma non vigilata dagli addetti all'Ufficio Tecnico del Comune di Trapani; crollo che provocò alcuni morti, i disagi dei superstiti di quella famiglia rimasta senza tetto e abbandonata a se stessa. Da qui la polemica aizzata dall’arciprete e condivisa da parrocchiani e da cittadini, tutti mobilitatisi in cortei e interviste ai quotidiani regionali e nazionali. Finché il padre di quella famiglia ricevette una casa popolare ed un posto di lavoro al Comune e tutto fu sopito. Non poteva mancare l'ulteriore sfollamento della zona che solo negli anni recenti ricevette una sistemazione decente.
Pubblicamente il dissenso all'interno della Chiesa di Trapani, finora circoscritto nelle assemblee di clero o nelle parrocchie in cui il prete aveva lasciato il ministero, si era manifestato già nel 1974 per il referendum sul divorzio, anche se solo un piccolo gruppo di preti e laici sottoscrissero il volantino Cattolici per il no. Pochissimi poi si trovarono nel ]976 con Cristiani per il socialismo alle elezioni comunali, con esiti sparuti già previsti quanto significativi di una concezione pluralista e dialogante con la sinistra laica. Per lo sciopero dei pescatori a Trapani poi nessuna presa di posizione ufficiale o almeno rappresentativa della comunità ecclesiale, ma solo quella del solito gruppetto di dissenzienti dalla cosiddetta ortodossia, in una città seconda solo a Mazara del Vallo per la flotta peschereccia in Sicilia. Più corposo l'appoggio e la condivisione fisica vissuta da alcuni del gruppo, preti e laici, che ebbero la forza di trainare altri normalmente trincerati nella prudente astensione: restarono a fianco dei diseredati nell'occupazione della cattedrale da parte di alcune famiglie senza casa per l’alluvione del 1976. Ma il vescovo Ricceri stette a guardare, come fu notato dalla stampa regionale di sinistra, finché fu liberato dalla sua inerzia attraverso lo sgombero, probabilmente sollecitato ed ottenuto, effettuato dalla polizia, gradatamente, sicché l'operazione fu conclusa dopo lunghi mesi entro l'8 maggio 1977. Nulla della condivisione di tanta sofferenza, seppure manifestata da alcuni e quasi generalmente ignorata o tollerata da chi in cattedrale partecipava alle celebrazioni mai smesse: nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» soltanto un breve cenno all'evento disastroso dell'alluvione, redatto nelle modeste dimensioni con cui nella pagina accanto si relazionava sulla Missione cittadina a Castellammare del Golfo. Anzi a metà settembre 1977 ad Erice il Convegno organizzato dall'Ufficio Catechistico Diocesano aveva l'ardire di incentrarsi, senza prese di posizione ed evidentemente con distacco, sul tema Promozione umana e cristiana., come risulta dalla cronaca riportata nell'organo ufficiale della Curia. E cosi la Chiesa di Trapani rimaneva complessivamente chiusa su elaborazioni teoriche o su attività proprie, mentre proseguivano da anni, riemersi più consistenti nel 1977, iniziative di dialogo interreligioso e di impegno sociale laico ad opera del consolidato gruppo dissenziente, con riflessi sulla stampa regionale.
Quasi a suggello dei convegni annuali, il vescovo Ricceri organizzò, verso la fine del suo mandato, il Sinodo, senza alcun riferimento a quello tenuto dal vescovo Francesco Maria Raiti nel 1911. Avvenimento cardine di quell'episcopato, continuamente richiamato nella pastorale, avvenimento i cui atti furono allora pubblicati, seppure soltanto con i tre fondamentali discorsi del vescovo nei rispettivi giorni: vi sono disposizioni a difesa del dogma, del culto, del rito e della disciplina. Quello convocato da Ricceri nel 1976 si caratterizzò dalla mancata preparazione e si estrinsecò in alcune assemblee generali, che continuavano nei giovedì sinodali di zona. Nessuna velleità di ansia del Concilio, ormai definitivamente smarrito nei meandri mentali di qualche nostalgico.
Era giunto, intanto, come coadiutore a supporto dell’attività pastorale il vescovo Emanuele Romano (*1912), quando Ricceri raggiungeva il 75° anno d’età e lasciava il 31 luglio 1977 il suo ministero episcopale, cosicchè Rornano era nominato dalla Santa Sede in agosto a pieno titolo vescovo di Trapani. Ma il successore Romano, già docente nel seminario e vicario generale a Monreale, non riuscì a sanare la frattura acuitasi pubblicamente con le posizioni assunte anche in campo civile dai soliti dissenzienti. In attivo si avvertirono il distacco da appoggi politici e nuove forme d'evangelizzazione che presero consistenza dopo ricerche sociologiche modeste avviate. All'esterno del gruppo promotore affioravano proposte di apertura rivolte al Sinodo, come riproposizione dell'inveterata e sparuta concezione conciliare della Chiesa, ma non sortirono un minimo ascolto. Motivato con il richiamo ai 130 anni dalla fondazione della Diocesi nel 1844, nonostante atteso come straordinario evento per un bilancio della pastorale e l'impulso all’innovazione, il Sinodo si estinse sul sorgere e fu chiuso rapidamente nel 1978, quando il vescovo Ricceri si accingeva a lasciare la diocesi al successore. Di fatto furono ignorati gli apporti non clericali, mentre altri preti ed altri laici si allontanavano, forse con l'ultima delusione ricevuta da quell'evento mancato, ora che il Concilio era un ricordo vago, per crisi di fede.
Una spaccatura che lo stesso vescovo Romano sminuì e che, invece, si allargò, quando i residui delle istanze di aggiornamento furono da lui stroncate nella moderazione e nella quotidianità, mentre l'intera convivenza civile sperimentava nuovi, seppure circoscritti, stimoli nella affannosa RICERCA DI IDENTITÀ NEGLI ANNI 1977-1983. Dal punto di vista della politica regionale si notava la "solidarietà autonomistica" ossia un certo consociativismo tra democristiani e comunisti, che valse alla moralizzazione della gestione regionale ed anticipò la strategia politica nazionale auspicata quale compromesso storico, stroncata drammaticamente con l'assassinio del presidente della Regione siciliana il democristiano Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980 Attorno a questo efferato episodio se ne sviluppavano altri di notevole ripercussione nella vita delle città. L'entroterra di Trapani era stato segnato dall'emergenza mafia che si sarebbe rafforzata negli anni '80 per esplodere nel 1983 con l'assassinio del magistrato trapanese Giangiacomo Ciaccio Montalto il 25 gennaio. A parte una esortazione per la giornata della Pace del gennaio 1983 e per l'Anno Santo, nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» si riporta la cronaca breve e l'omelia del vescovo per i funerali in cattedrale di Giangiacomo Ciaccio Montalto, dove non c’è cenno ad una denunzia vibrata contro la criminalità organizzata. Il 1984 il vescovo Romano annunziava l'intensificarsi del programma triennale dedicato all'Eucaristia, lasciando spazio per tutto l'anno seguente ai riflessi in diocesi del Convegno Nazionale di Loreto 5-13 aprile 1985 sulla riconciliazione cristiana. Emergevano invece nel 1985 le norme attuative del Concordato rinnovato nel febbraio 1984, di cui si discuteva in privato nelle assemblee ecclesiali, senza risvolti orientativi nella pastorale. Quando esplose la strage di Pizzolungo il 2 aprile 1985 la Chiesa di Trapani rimase ufficialmente silente, seppure avvertì nell'immediato un sussulto nella componente popolare e nei preti accanto. Nessuna traccia della strage nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani», eppure vi morirono Barbara Asta e i due figlioletti al posto del magistrato Carlo Palermo, cui era diretto l'agguato mafioso. Ancora nel 1985 affiorava un rapporto tra Gorbaciov e Regan in campo internazionale e in Italia Francesco Cossiga si insediava al Quirinale. Ripercussioni popolari si notavano per la vicenda incresciosa del presentatore televisivo Enzo Tortora quell'anno condannato a 10 anni. Era l'anno in cui un numero unico del «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» pubblicava, quasi una sintesi scadente, le lettere del vescovo ai singoli parroci per la visita pastorale in ciascuna parrocchia negli anni 1979-1985. Peraltro le amministrazioni civiche dell'intera zona trapanese, dalla città ad Erice, Paceco, Valderice ed altri comuni minori, erano appiattite nella spartizione dei sindaci tra democristiani e socialisti, con rare eccezioni, come Custonaci dove si imponeva per anni ininterrottamente un esponente delle destre. La sintesi della situazione stagnante era rappresentata dall’amministrazione provinciale. La Chiesa di Trapani continuava la reggenza del vescovo Romano che restava immobile, quanto l'apparato amministrativo-politico, tra Lettere Pastorali, Peregrinatio Mariae, visita pastorale e convegni ad Erice, solo scalfito dall'attuazione delle disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana a proposito di ministri straordinari dell'Eucaristia nel 1979, istituzione del Consultorio familiare, orientamenti della pastorale e le "giornate" da raccomandare ai fedeli tramite il clero, oltre ai convegni estivi prevalentemente organizzati dall'Ufficio Catechistico Diocesano e quelli dell'Azione Cattolica. Il 1980 si era chiuso con una Lettera pastorale dedicata esclusivamente alla famiglia, per incrementare le attività delle parrocchie in questo settore. La variante era costituita da inaugurazioni, necrologi di esponenti del clero e relazioni sui movimenti di rinnovamento cattolico che ormai entravano nelle città. Poi ad inizio del 1986 sono annotate nomine pontificie a preti e laici, su segnalazione del vescovo, mentre nel 1987 la programmazione disposta dagli Uffici della Curia e l'annunzio di missioni cittadine a Trapani ed a Paceco. Più avanti il vescovo, in preparazione al Convegno Nazionale sulla Catechesi, annunziava il tema per il nuovo anno e la programmazione del Convegno Ecclesiale in estate ad Erice, di cui si offriva la relazione nel numeri di luglio-settembre e del seguente, sottolineando i compiti, quasi sclusivamente interni, della Chiesa Comunità Missionaria Per una nuova.Evangelizzazione , completando in una sintesi dei risultati conseguiti con le niziative nelle varie zone della diocesi. Tra gli appuntamenti del 1988 per l’Anno Mariano si presentava il Santuario della Madonna di Custonaci e successivamente si leggevano le cronache dei pellegrinaggi a tutti i Santuari sparsi nel territorio. Compiuto il decennio di episcopato con la solennità dovuta in cattedrale, il vescovo Romano rassegnava le dimissioni l'8 settembre 1988 per raggiunti limiti d'età, quando a Trapani maturavano le situazioni per un duplice omicidio: il 14 settembre assassinato il magistrato Alberto Giacomelli (*1919), presidente di Corte d'Assise in pensione, che nel 1985 aveva firmato il sequestro di beni a Gaetano Riina, fratello del boss; il 26 settembre di quell'anno assassinato Mauro Rostagno, il sociologo trentino impegnato nella comunità di recupero Saman, che da una Tv locale documentava l'affarismo e lo scempio del territorio nell'intera provincia. La Chiesa di Trapani si limitò ad officiare i due funerali in cattedrale con parole di cordoglio e di circostanza, ma senza denunzie contro la matrice mafiosa, che si poteva ipotizzare dal lavoro svolto dai due, mentre straordinaria fu la partecipazione popolare.
Persistente apparve la chiusura del vescovo Romano verso forme di partecipazione e di democratizzazione delle strutture, proprio quelle consegnate ai due Statuti del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale, appena formalmente insediati rispettivamente alla fine del 1970 e nella Pentecoste del 1971 e, con attività ordinaria consultiva, via via rinnovati con la nomina dei componenti. Eppure durante l'episcopato di Romano si era consolidato il flusso immigratorio di gente di colore che affluiva nel territorio, anche se prevalentemente di passaggio. Un fenomeno, l'immigrazione consistente, che non toccava la visione della Chiesa del vescovo e dei preti già diminuiti di numero e restii ad iniziative oltre il quotidiano. Chiusure pesanti, altresì, verso apporti che non fossero clericali o di laici serventi. In definitiva è vero, allora, che, in merito al Concilio, l'arco di tempo, che dall'attesa e dall'annunzio giunge alla prima attuazione, si può ritenere frenato dall'episcopato del vescovo Romano esauritosi nel 1988.
Gli anni a seguire appaiono segnati dal punto di vista ecclesiale da una ripresa interna dedita alla evangelizzazione ed all'azione pastorale-liturgica più oculata, certamente ispirata al rinnovamento promosso dal Concilio. Sono gli anni del vescovo Domenico Amoroso (1927-1997), a Trapani dal 1988 fino alla immatura scomparsa, quando le manifestazioni della presenza ecclesiale appaiono dogmaticamente segnate o piuttosto inibite, almeno in certi campi. Per altri aspetti si ergeva sicuro, specialmente per chi lo confrontava con quasi tutti i predecessori a Trapani, quale instancabile e autentico pastore. Alimentava le realizzazioni con lettere pastorali e con incisivi colloqui a tutti i livelli. Uno degli obiettivi fu quello di rendere l'ambiente più consono alle celebrazioni liturgiche, sistemando in cattedrale, esemplarmente, l'ambone della Parola e la mensa dell’Eucaristia. Né trascurava di dare rilievo alle altre disposizioni via via sopraggiunte dalla Conferenza Episcopale di Sicilia, di cui era esperto nella Liturgia. Certamente dalla sua visione ecclesiologica derivava straordinario alla Charitas, cui offrì fondamento e dinamismo, in un momento in cui la città ed il territorio ne avvertivano la mancata efficiente testimonianza, attraverso una struttura centrale e distribuita nelle parrocchie ed attraverso personale preparato e disponibile. La Charitas escogitava una traiettoria di sostegno e non di semplice assistenza verso i diseredati e gli immigrati di colore con i quali in alcune parrocchie iniziarono rapporti costruttivi appena dischiusi alla loro diversa religiosità. Gli anni delle guerre del Golfo imposero comunanza di iniziativa pacifista con la Chiesa Evangelica Valdese che promuoveva od interveniva in cattedrale, aggregando anche frange laiche che sensibilizzavano i movimenti giovanili e l'associazionismo di qualsiasi indirizzo in fase di successivo coordinamento. Coordinamento effettuato dal 1994 al 2000 da quel prete di Erice poi passato ad altra scelta di vita, professore e impegnato nel sociale con la Consulta delle Associazioni che organizzava iniziative di animazione dei monumenti a Trapani ed in altre città. Agli immigrati opportunamente si pensava di offrire un locale di culto, purché non esclusivo, ma lo rifiutarono secondo le loro usanze, mentre si costituivano in gruppo e si riferivano agli imam di passaggio e poi stabili. Si stanziarono albanesi che praticavano talune ritualità incomprensibili, anche se accedevano alle scuole e avviavano attività. In seguito all'aggregazione di altri Stati dell'Europa Orientale, si riversavano nelle città e nelle campagne cittadini comunitari cristiani, alcuni non cattolici, accanto ai quali si notava un papas tra loro, nei giorni di riposo dalle mansioni di lavoro nelle case. Nessun cenno di accoglienza in una chiesa adattabile al culto da loro praticato, tranne ad Alcamo dove fu concessa loro una chiesa. Un vescovo proveniente dai Salesiani, Amoroso, dimesso nei suoi comportamenti, vicino in un primo momento alla quindicina di preti che avevano lasciato il ministero e vivevano a Trapani, finché si orientò diversamente, per convinta refrattarietà nei confronti della interpretazione del Concilio difforme dalla linea ufficiale. Complessivamente la comunità ecclesiale si dimostrò incapace di dialogare, tranne sparute eccezioni, con la società, anche se a Trapani fu creato un Centro di accoglienza per immigrati in una ex-chiesa, seppure senza gli apporti offerti da parte di chi aveva titoli e competenze, ma orientato ad altre scelte di vita. Purtroppo l'indubbia vitalità del centro della Diocesi non ebbe piena rispondenza in città diverse che pure avrebbero dovuto seguirne gli stimoli.
Il 25 gennaio 1964 papa Paolo VI motu proprio aveva avviatola preparazione dei Libri liturgici quale fondamento della riforma e costituì un Consilium da cui nel 1968 sorse la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, organismo da cui fu edito nel 1969 il Missale Romanum che sostituiva quello di Pio V del 1570. Successivamente nel 1970 venne pubblicato il Messale Romano in lingua italiana, dove spiccavano le orazioni, le risposte dei fedeli, le letture, il canone, l'orientamento del celebrante rivolto al popolo, l'ambone. Ma già da tempo proliferavano in campo internazionale e nazionale adattamenti o nuovi testi prodotti dalle singole comunità ed in seguito precisati o ufficialmente soppressi. La ricezione nella Chiesa di Trapani delle nuove disposizioni liturgiche non fu omogenea, anzitutto per il superamento dell'inveterata mentalità che insisteva sulle cerimonie e per l'impreparazione teologica e liturgica. Talvolta si registrò la
resistenza alla riforma da parte di tanti preti abituati a rotolare in meno di mezz' ora la celebrazione quotidiana in latino, che influenzavano l'atteggiamento restio dei fedeli, proni davanti all'altare e avvezzi a forme devozionali personali perché non comprendevano il latino. Pochi preti accolsero l'innovazione con entusiasmo e con la dovuta preparazione, anzi si attivarono chiedendo aiuto ad uno dei confratelli per conversazioni preparatorie in alcune assemblee con i fedeli. Mancava la Teologia come fondamento che corrobora la testimonianza e l'innovazione in tutti i campi della pastorale. Ciò nonostante, pochissimi preti approdarono all'omelia quotidiana per spiegare i testi letti in italiano e per commentare il senso della riforma. Si era sperimentata alla fine del 1966 anche ad Erice la cosiddetta "Messa dei giovani" con canti folk e nuovi strumenti oltre l'organo, che riproponeva esperienze di Roma e di altre città d'Italia, eseguendo musiche appositamente composte da valenti maestri, in collaborazione con liturgisti. Trapani ed altri centri provarono ed importare testi e strumenti e riuscirono. Il vescovo in un'intervista del 1967 tracciò una panoramica genericamente normalizzante di tutte le iniziative ufficialmente promosse, ignorando le innovazioni per lui ardite, ma anche le reali situazioni e gli ostacoli al mutamento verso la mentalità ecclesialmente liturgica.
Preparato da accenni del vescovo Ricceri in tante occasioni, alla fine del 1968 fu indetto il Congresso Eucaristico Diocesano che doveva espletarsi anzitutto nei congressi parrocchiali, dove non mancarono devozionazionalismi ancestrali verso l'adorazione, proprio quando in pochi altri contesti l'eucaristia significava partecipazione alla mensa da parte del popolo di Dio. Fu celebrato dal 24 maggio al 1° giugno del 1969 con conferenze e liturgie culminate nella processione per la città e la partecipazione del card. Giacomo Lercaro. Un evento realizzato nelle forme trionfalistiche: cosi apparve negli annunzi ad alcuni giovani preti che lo disertarono. Il Congresso Eucaristico Diocesano del 1969 e le mancate aperture nel presbiterio, anzi, ruppero la comunione ecclesiale, per tesi sull'ecclesiologia e sulla figura del prete, redarguite "non ortodosse" in animate assemblee di preti, anche perché tutto dall'esiguo gruppo di giovani preti era diffuso con scritti ed interviste, puntualmente fornite al vescovo da delatori quasi mestieranti. Ciò avveniva proprio quando il gruppo sparuto di giovani preti si aggiornava e seguiva il professore o i professori più aperti alla Bibbia ed alla Liturgia. Era appena emerso il desiderio di una Teologia ed una visione ecclesiale fondata sui testi e sulla pratica nella Chiesa antica, aperta alle testimonianze dirompenti ed al lavoro, anche manuale, tra la gente.
Pochi preti giovani, reduci dagli studi romani in parte conclusi, parlavano di pace, di vicinanza al mondo del lavoro, di giustizia sociale, di aperture al femminismo, di semplicità di vita e di austerità perfino nell'abbigliamento usuale per non distinguersi dai fedeli: e mettevano in atto le vibranti parole che ricalcavano la tradizione profetico-gesuana e che urtavano spesso in forme aggressive intere assemblee di sprezzanti confratelli attaccati al quieto vivere. Preti giovani che non curavano il rapporto verticistico con il vescovo, come la maggioranza del clero "municipale" adagiato alle camarille locali ed illuminato solo dalle consuetudini decrepite e dal ripudio di qualsiasi aggiornamento pastorale in cui scorgevano la prosecuzione del dannato modernismo studiato a suo tempo come esecrabile. Il riferimento continuo del minuscolo gruppo di giovani preti, tra tanti altri allineati, era piuttosto la comunità e non solo delimitata dai recinti chiesastici, il linguaggio anticuriale ed evangelico, la formazione romana ispirata al Concilio ed ai profeti moderni che l'avevano auspicato con iniziative concrete nell'Italia fascista o postbellica. Accusati di temerarietà perfino dottrinali, tanti preti lasciarono il ministero a partire dal 1970, convinti di una ricerca oltre gli indirizzi ufficiali. Altri si schierarono apertamente contro le scelte personali di vita ed altri ancora approvavano senza osare.
In questo contesto di rinnovamento si ponevano gli incontri ecumenici iniziati a metà degli anni '60 a Trapani tra cattolici ed evangelici valdesi e pentecostali, con l'intervento di pastori e di un solo prete cattolico affiancato da laici. Erano stati avviati occasionalmente da rapporti di conoscenza e, per le preclusioni insite nel mondo cattolico, si tenevano presso abitazioni private. Dagli incontri occasionali erano derivati quelli settimanali, il primo anno presso un anziano pentecostale, che comportavano una lettura biblica continuata, la libera discussione esegetica attualizzata e preghiere spontanee finali. Dopo alcuni anni, nel 1968 alla Sagra della Bibbia ad Erice sul tema Culto e comunità si svolgeva, a conclusione delle giornate di studio e di manifestazioni artistiche, una tavola rotonda, preceduta da letture concordate, con la partecipazione di due pastori della Chiesa Valdese di Trapani e Palermo. Ovviamente il vescovo non era presente e seguiva da lontano tramite emissari che gli riferirono dell'animato dibattito nella sede, usata dal 1963 ininterrottamente, della Sagra della Bibbia, la chiesa di San Martino. Di fatto nel 1969 la Sagra della Bibbia non si svolse, anche se ad Erice e a Trapani nella settimana di preghiere per l'Unità delle Chiese, dal 18 al 25 gennaio, si erano tenuti incontri ecumenici su "Concilio e Concili" ed altre manifestazioni in poche chiese cattoliche ed in quella valdese. Le iniziative si reiterarono a Palermo, con il sostegno della rivista «Dialogo>> da anni impegnata nel settore ecumenico, dove gli interventi suscitarono polemiche con lettere permissive dei rispettivi vescovi a proposito del prete animatore che da Erice addirittura oltrepassava la diocesi senza alcun permesso della Curia.
Proprio in quell'anno 1969 erano partiti, in circostanze e per sedi diverse due giovani preti per un'esperienza in Africa, animati nel postconcilio dalla nuova ecclesiologia e dall'impegno sociale fuori diocesi ed in terre lontane, forse anche per un certo voluto distacco dalle contingenze locali. Da uno di loro furono preparati sette africani, tra cui due ragazze, che furono accolti come studenti infermieri presso l'ospedale di Trapani nel 1970 per poi tornare a più riprese nella loro terra d'Uganda. Proprio in quell'anno ebbe diffusione ristretta la partecipazione a tale accoglienza che voleva implicare l'impegno della Chiesa locale per la "Missione". Anche all'annuale Sagra della Bibbia di Erice si organizzò una conferenza ed una mostra. Un nucleo di giovani laici e qualche prete, invece, avviarono una iniziativa che superò quella verso l'Africa, attorno ad un'attività di raccolta dell'usato, denominata "Operazione Mato Grosso", attività scandita dal momento domenicale in cui gli operatori si ritrovavano per la "Messa dei giovani" con canti e strumenti importati da altre situazioni ecclesiali. Da questa convergenza verso l'America Latina si svilupparono vocazioni laiche: due giovani, in circostanze diverse e dopo aver lavorato per anni all'Ufficio Catechistico Diocesano rinnovato o in altre mansioni ecclesiali, partirono, la ragazza maestra elementare par il Brasile nel 1973 ed il giovane trentenne per il Paraguay nel 1978. Nè il legame con l'Africa e neppure quello con l'America Latina incisero, se non provvisoriamente ed emotivamente, nella pastorale e nella ecclesiologia della Chiesa di Trapani.
Il «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» da quell'anno 1970 appare proiettato verso impegni di aggiornamento pastorale: Scuola di Teologia organizzata in 3 anni, con una settimana di studio ad Erice, Convegno di Catechesi, Norme sulla ‘’ Messa dei Giovani ‘’che già assumeva contorni musicali nuovi. Informazioni sui missionari d’ Africa e d’America Latina. In particolare deve essere annoverata la costituzione formale e partecipata con elezioni, dei Consigli Presbiterale e Pastorale, di cui era stata approvata la stesura definitiva del rispettivo Statuto, su bozza preparata da una ristretta cerchia di studiosi locali alla fine del 1969 ed approvata definitivamente in assemblea dagli inizi del 1970. A parte nello stesso organo ufficiale della Curia erano inserite due relazioni, in preparazione al Congresso dei Teologi Italiani e sulla partecipazione al Convegno Biblico Regionale alle isole Eolie nel 1971. Intanto nel 1972 a Palermo sorgeva l'Istituto Filosofico-Teologico per la Sicilia Occidentale dove partecipavano come professori alcuni preti diocesani. Ugualmente alla dimensione regionale appartiene l'ospitalità e la partecipazione allo scambio di esperienze con i delegati del Sinodo Ortodosso di Grecia giunti a Palermo nell'ottobre 1973, e passati a Trapani, mentre la diocesi si preparava con specifici incontri per il Giubileo a Roma del 1975.
Ormai era stato completamente rimosso dalla Chiesa di Trapani il rifiuto plateale e diffuso del gruppo di giovani preti, maturati negli studi teologici a Roma, che avevano dato impulso a pregressi isolati fermenti di autentici antesignani, contagiando altri ed aprendo ai laici ed alla vita sociale. L'aggiornamento continuo sull'attuazione dei testi conciliari era uno degli obiettivi insistenti dei giovani preti: riforma liturgica, talora anticipata, cultura biblica, dialogo ecumenico e con marxisti, lavoro manuale subordinato o in proprio, Scuola di Teologia con apporti antropologici, contatti con altre esperienze ecclesiali, alfabetizzazione in zone degradate, viaggi tra emigrati all'estero, missioni nel terzo mondo e accoglienza di studenti di colore, rifiuto di collateralismo politico-mafioso. Tutte realizzazioni scaturite e vissute nell'ambito del postconcilio, in grado di conferire prima una spinta irrefrenabile di rinnovamento non condiviso dal contesto ecclesiale di Trapani e successivamente una notevole fuoruscita di preti e laici dal servizio alla comunità. Servizio inteso anche come testimonianza di lavoro manuale tra contadini, marmisti, falegnami, ceramisti, proprio quando altri entravano nelle segreterie delle scuole o avevano titoli congrui per insegnare materie comuni.
La crisi penetrò nel laicato e nel seminario dove finì il corso teologico. E cosi da tempo era comparso, quasi in sordina, il cosiddetto neo-modernismo, come frattura interna alla convivenza ecclesiale, anche se solo tardivamente si sono registrate altre aperte defezioni, nentre talune restarono trattenute dall'imperante devozionalismo o dall'ambiente restio ad accogliere spinte ed innovazioni. Il vescovo Ricceri aveva dovuto accettare e chiedere per ciascuno che lasciava il ministero la dispensa alla Santa Sede, ma solo nel primo caso riuscì a convincere l’interessato a cercare lavoro nelle scuole fuori diocesi, mentre altri affrontarono il lavoro in sede locale e non solo nell’insegnamento. Altri non chiesero nulla e semplicemente comunicarono al vescovo la rinunzia all’incarico e partirono o restarono; e c'era chi avrebbe fatto a meno della dispensa pontificia nella convinzione dei poteri pieni del vescovo locale cui sentivano di essere legati da in impegno ora ritenuto limitato nel tempo, per passare ad altro servizio nella comunità. La quale non frappose ostacoli preconcetti, finché dall’alto giunsero i veti che valsero ad escludere l'accoglienza comunitaria pregressa.
Intanto con la ripresa del regionalismo siciliano e con i governi nazionali del centro-sinistra si verificava l'estensione di alcune prerogative di autonomia alle altre regioni d'Italia nel 1970. Lo spostamento a sinistra registrò il calo della Democrazia Cristiana e la massima affermazione del Partito Comunista con il Partito Socialista quale terza forza. In Sicilia si notavano dissomiglianze in quando il Partito dei cattolici rimaneva saldamente ancorato nella mentalità delle popolazioni, anche per l’appoggio indiscusso da parte dei vescovi che puntualmente nelle vigilie elettorali emanavano un loro comunicato, quello che il vescovo Ricceri non mancava di raccomandare ai preti riuniti nel terzo giovedì del mese. Gli accordi politici, invece, giunsero alla "solidarietà autonomistica" tra partiti di governo e di sinistra e procurarono riflessi anche a Trapani, dove continuò l'egemonia della Democrazia Cristiana appoggiata da socialdemocratici e socialisti e talvolta dal Partito Repubblicano. E così fino al 1980 quando emerse un sindaco socialista, ma per poco e venne la ripresa della Democrazia Cristiana per lunghi anni ancora. Non altrettanto nell'amministrazione provinciale dove i democristiani si alternarono solo tra loro e tra gli eletti nei grossi comuni, mentre gli altri partiti rimasero nella maggioranza o all'opposizione. Con questi mutamenti socio-politici affiorano altre PROBLEMATICHE DEL TERRITORIO dal 1969 al 1976, dove si inserisce la straordinaria partecipazione di alcuni preti nel sociale, scaturita nel 1975 da un evento luttuoso nella zona estrema e anticamente acquitrinosa del porto di Trapani, denominata dai locali-per della specie di molluschi dalla piccola conchiglia rosata a strisce che vi si raccoglievano - Porta 'Addi /Porta Galli, secondo una storpiata italianizzazione. Fu il crollo di una palazzina, annunziato dall'incuria dei proprietari e dichiarata già inagibile ma non vigilata dagli addetti all'Ufficio Tecnico del Comune di Trapani; crollo che provocò alcuni morti, i disagi dei superstiti di quella famiglia rimasta senza tetto e abbandonata a se stessa. Da qui la polemica aizzata dall’arciprete e condivisa da parrocchiani e da cittadini, tutti mobilitatisi in cortei e interviste ai quotidiani regionali e nazionali. Finché il padre di quella famiglia ricevette una casa popolare ed un posto di lavoro al Comune e tutto fu sopito. Non poteva mancare l'ulteriore sfollamento della zona che solo negli anni recenti ricevette una sistemazione decente.
Pubblicamente il dissenso all'interno della Chiesa di Trapani, finora circoscritto nelle assemblee di clero o nelle parrocchie in cui il prete aveva lasciato il ministero, si era manifestato già nel 1974 per il referendum sul divorzio, anche se solo un piccolo gruppo di preti e laici sottoscrissero il volantino Cattolici per il no. Pochissimi poi si trovarono nel ]976 con Cristiani per il socialismo alle elezioni comunali, con esiti sparuti già previsti quanto significativi di una concezione pluralista e dialogante con la sinistra laica. Per lo sciopero dei pescatori a Trapani poi nessuna presa di posizione ufficiale o almeno rappresentativa della comunità ecclesiale, ma solo quella del solito gruppetto di dissenzienti dalla cosiddetta ortodossia, in una città seconda solo a Mazara del Vallo per la flotta peschereccia in Sicilia. Più corposo l'appoggio e la condivisione fisica vissuta da alcuni del gruppo, preti e laici, che ebbero la forza di trainare altri normalmente trincerati nella prudente astensione: restarono a fianco dei diseredati nell'occupazione della cattedrale da parte di alcune famiglie senza casa per l’alluvione del 1976. Ma il vescovo Ricceri stette a guardare, come fu notato dalla stampa regionale di sinistra, finché fu liberato dalla sua inerzia attraverso lo sgombero, probabilmente sollecitato ed ottenuto, effettuato dalla polizia, gradatamente, sicché l'operazione fu conclusa dopo lunghi mesi entro l'8 maggio 1977. Nulla della condivisione di tanta sofferenza, seppure manifestata da alcuni e quasi generalmente ignorata o tollerata da chi in cattedrale partecipava alle celebrazioni mai smesse: nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» soltanto un breve cenno all'evento disastroso dell'alluvione, redatto nelle modeste dimensioni con cui nella pagina accanto si relazionava sulla Missione cittadina a Castellammare del Golfo. Anzi a metà settembre 1977 ad Erice il Convegno organizzato dall'Ufficio Catechistico Diocesano aveva l'ardire di incentrarsi, senza prese di posizione ed evidentemente con distacco, sul tema Promozione umana e cristiana., come risulta dalla cronaca riportata nell'organo ufficiale della Curia. E cosi la Chiesa di Trapani rimaneva complessivamente chiusa su elaborazioni teoriche o su attività proprie, mentre proseguivano da anni, riemersi più consistenti nel 1977, iniziative di dialogo interreligioso e di impegno sociale laico ad opera del consolidato gruppo dissenziente, con riflessi sulla stampa regionale.
Quasi a suggello dei convegni annuali, il vescovo Ricceri organizzò, verso la fine del suo mandato, il Sinodo, senza alcun riferimento a quello tenuto dal vescovo Francesco Maria Raiti nel 1911. Avvenimento cardine di quell'episcopato, continuamente richiamato nella pastorale, avvenimento i cui atti furono allora pubblicati, seppure soltanto con i tre fondamentali discorsi del vescovo nei rispettivi giorni: vi sono disposizioni a difesa del dogma, del culto, del rito e della disciplina. Quello convocato da Ricceri nel 1976 si caratterizzò dalla mancata preparazione e si estrinsecò in alcune assemblee generali, che continuavano nei giovedì sinodali di zona. Nessuna velleità di ansia del Concilio, ormai definitivamente smarrito nei meandri mentali di qualche nostalgico.
Era giunto, intanto, come coadiutore a supporto dell’attività pastorale il vescovo Emanuele Romano (*1912), quando Ricceri raggiungeva il 75° anno d’età e lasciava il 31 luglio 1977 il suo ministero episcopale, cosicchè Rornano era nominato dalla Santa Sede in agosto a pieno titolo vescovo di Trapani. Ma il successore Romano, già docente nel seminario e vicario generale a Monreale, non riuscì a sanare la frattura acuitasi pubblicamente con le posizioni assunte anche in campo civile dai soliti dissenzienti. In attivo si avvertirono il distacco da appoggi politici e nuove forme d'evangelizzazione che presero consistenza dopo ricerche sociologiche modeste avviate. All'esterno del gruppo promotore affioravano proposte di apertura rivolte al Sinodo, come riproposizione dell'inveterata e sparuta concezione conciliare della Chiesa, ma non sortirono un minimo ascolto. Motivato con il richiamo ai 130 anni dalla fondazione della Diocesi nel 1844, nonostante atteso come straordinario evento per un bilancio della pastorale e l'impulso all’innovazione, il Sinodo si estinse sul sorgere e fu chiuso rapidamente nel 1978, quando il vescovo Ricceri si accingeva a lasciare la diocesi al successore. Di fatto furono ignorati gli apporti non clericali, mentre altri preti ed altri laici si allontanavano, forse con l'ultima delusione ricevuta da quell'evento mancato, ora che il Concilio era un ricordo vago, per crisi di fede.
Una spaccatura che lo stesso vescovo Romano sminuì e che, invece, si allargò, quando i residui delle istanze di aggiornamento furono da lui stroncate nella moderazione e nella quotidianità, mentre l'intera convivenza civile sperimentava nuovi, seppure circoscritti, stimoli nella affannosa RICERCA DI IDENTITÀ NEGLI ANNI 1977-1983. Dal punto di vista della politica regionale si notava la "solidarietà autonomistica" ossia un certo consociativismo tra democristiani e comunisti, che valse alla moralizzazione della gestione regionale ed anticipò la strategia politica nazionale auspicata quale compromesso storico, stroncata drammaticamente con l'assassinio del presidente della Regione siciliana il democristiano Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980 Attorno a questo efferato episodio se ne sviluppavano altri di notevole ripercussione nella vita delle città. L'entroterra di Trapani era stato segnato dall'emergenza mafia che si sarebbe rafforzata negli anni '80 per esplodere nel 1983 con l'assassinio del magistrato trapanese Giangiacomo Ciaccio Montalto il 25 gennaio. A parte una esortazione per la giornata della Pace del gennaio 1983 e per l'Anno Santo, nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» si riporta la cronaca breve e l'omelia del vescovo per i funerali in cattedrale di Giangiacomo Ciaccio Montalto, dove non c’è cenno ad una denunzia vibrata contro la criminalità organizzata. Il 1984 il vescovo Romano annunziava l'intensificarsi del programma triennale dedicato all'Eucaristia, lasciando spazio per tutto l'anno seguente ai riflessi in diocesi del Convegno Nazionale di Loreto 5-13 aprile 1985 sulla riconciliazione cristiana. Emergevano invece nel 1985 le norme attuative del Concordato rinnovato nel febbraio 1984, di cui si discuteva in privato nelle assemblee ecclesiali, senza risvolti orientativi nella pastorale. Quando esplose la strage di Pizzolungo il 2 aprile 1985 la Chiesa di Trapani rimase ufficialmente silente, seppure avvertì nell'immediato un sussulto nella componente popolare e nei preti accanto. Nessuna traccia della strage nel «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani», eppure vi morirono Barbara Asta e i due figlioletti al posto del magistrato Carlo Palermo, cui era diretto l'agguato mafioso. Ancora nel 1985 affiorava un rapporto tra Gorbaciov e Regan in campo internazionale e in Italia Francesco Cossiga si insediava al Quirinale. Ripercussioni popolari si notavano per la vicenda incresciosa del presentatore televisivo Enzo Tortora quell'anno condannato a 10 anni. Era l'anno in cui un numero unico del «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Trapani» pubblicava, quasi una sintesi scadente, le lettere del vescovo ai singoli parroci per la visita pastorale in ciascuna parrocchia negli anni 1979-1985. Peraltro le amministrazioni civiche dell'intera zona trapanese, dalla città ad Erice, Paceco, Valderice ed altri comuni minori, erano appiattite nella spartizione dei sindaci tra democristiani e socialisti, con rare eccezioni, come Custonaci dove si imponeva per anni ininterrottamente un esponente delle destre. La sintesi della situazione stagnante era rappresentata dall’amministrazione provinciale. La Chiesa di Trapani continuava la reggenza del vescovo Romano che restava immobile, quanto l'apparato amministrativo-politico, tra Lettere Pastorali, Peregrinatio Mariae, visita pastorale e convegni ad Erice, solo scalfito dall'attuazione delle disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana a proposito di ministri straordinari dell'Eucaristia nel 1979, istituzione del Consultorio familiare, orientamenti della pastorale e le "giornate" da raccomandare ai fedeli tramite il clero, oltre ai convegni estivi prevalentemente organizzati dall'Ufficio Catechistico Diocesano e quelli dell'Azione Cattolica. Il 1980 si era chiuso con una Lettera pastorale dedicata esclusivamente alla famiglia, per incrementare le attività delle parrocchie in questo settore. La variante era costituita da inaugurazioni, necrologi di esponenti del clero e relazioni sui movimenti di rinnovamento cattolico che ormai entravano nelle città. Poi ad inizio del 1986 sono annotate nomine pontificie a preti e laici, su segnalazione del vescovo, mentre nel 1987 la programmazione disposta dagli Uffici della Curia e l'annunzio di missioni cittadine a Trapani ed a Paceco. Più avanti il vescovo, in preparazione al Convegno Nazionale sulla Catechesi, annunziava il tema per il nuovo anno e la programmazione del Convegno Ecclesiale in estate ad Erice, di cui si offriva la relazione nel numeri di luglio-settembre e del seguente, sottolineando i compiti, quasi sclusivamente interni, della Chiesa Comunità Missionaria Per una nuova.Evangelizzazione , completando in una sintesi dei risultati conseguiti con le niziative nelle varie zone della diocesi. Tra gli appuntamenti del 1988 per l’Anno Mariano si presentava il Santuario della Madonna di Custonaci e successivamente si leggevano le cronache dei pellegrinaggi a tutti i Santuari sparsi nel territorio. Compiuto il decennio di episcopato con la solennità dovuta in cattedrale, il vescovo Romano rassegnava le dimissioni l'8 settembre 1988 per raggiunti limiti d'età, quando a Trapani maturavano le situazioni per un duplice omicidio: il 14 settembre assassinato il magistrato Alberto Giacomelli (*1919), presidente di Corte d'Assise in pensione, che nel 1985 aveva firmato il sequestro di beni a Gaetano Riina, fratello del boss; il 26 settembre di quell'anno assassinato Mauro Rostagno, il sociologo trentino impegnato nella comunità di recupero Saman, che da una Tv locale documentava l'affarismo e lo scempio del territorio nell'intera provincia. La Chiesa di Trapani si limitò ad officiare i due funerali in cattedrale con parole di cordoglio e di circostanza, ma senza denunzie contro la matrice mafiosa, che si poteva ipotizzare dal lavoro svolto dai due, mentre straordinaria fu la partecipazione popolare.
Persistente apparve la chiusura del vescovo Romano verso forme di partecipazione e di democratizzazione delle strutture, proprio quelle consegnate ai due Statuti del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale, appena formalmente insediati rispettivamente alla fine del 1970 e nella Pentecoste del 1971 e, con attività ordinaria consultiva, via via rinnovati con la nomina dei componenti. Eppure durante l'episcopato di Romano si era consolidato il flusso immigratorio di gente di colore che affluiva nel territorio, anche se prevalentemente di passaggio. Un fenomeno, l'immigrazione consistente, che non toccava la visione della Chiesa del vescovo e dei preti già diminuiti di numero e restii ad iniziative oltre il quotidiano. Chiusure pesanti, altresì, verso apporti che non fossero clericali o di laici serventi. In definitiva è vero, allora, che, in merito al Concilio, l'arco di tempo, che dall'attesa e dall'annunzio giunge alla prima attuazione, si può ritenere frenato dall'episcopato del vescovo Romano esauritosi nel 1988.
Gli anni a seguire appaiono segnati dal punto di vista ecclesiale da una ripresa interna dedita alla evangelizzazione ed all'azione pastorale-liturgica più oculata, certamente ispirata al rinnovamento promosso dal Concilio. Sono gli anni del vescovo Domenico Amoroso (1927-1997), a Trapani dal 1988 fino alla immatura scomparsa, quando le manifestazioni della presenza ecclesiale appaiono dogmaticamente segnate o piuttosto inibite, almeno in certi campi. Per altri aspetti si ergeva sicuro, specialmente per chi lo confrontava con quasi tutti i predecessori a Trapani, quale instancabile e autentico pastore. Alimentava le realizzazioni con lettere pastorali e con incisivi colloqui a tutti i livelli. Uno degli obiettivi fu quello di rendere l'ambiente più consono alle celebrazioni liturgiche, sistemando in cattedrale, esemplarmente, l'ambone della Parola e la mensa dell’Eucaristia. Né trascurava di dare rilievo alle altre disposizioni via via sopraggiunte dalla Conferenza Episcopale di Sicilia, di cui era esperto nella Liturgia. Certamente dalla sua visione ecclesiologica derivava straordinario alla Charitas, cui offrì fondamento e dinamismo, in un momento in cui la città ed il territorio ne avvertivano la mancata efficiente testimonianza, attraverso una struttura centrale e distribuita nelle parrocchie ed attraverso personale preparato e disponibile. La Charitas escogitava una traiettoria di sostegno e non di semplice assistenza verso i diseredati e gli immigrati di colore con i quali in alcune parrocchie iniziarono rapporti costruttivi appena dischiusi alla loro diversa religiosità. Gli anni delle guerre del Golfo imposero comunanza di iniziativa pacifista con la Chiesa Evangelica Valdese che promuoveva od interveniva in cattedrale, aggregando anche frange laiche che sensibilizzavano i movimenti giovanili e l'associazionismo di qualsiasi indirizzo in fase di successivo coordinamento. Coordinamento effettuato dal 1994 al 2000 da quel prete di Erice poi passato ad altra scelta di vita, professore e impegnato nel sociale con la Consulta delle Associazioni che organizzava iniziative di animazione dei monumenti a Trapani ed in altre città. Agli immigrati opportunamente si pensava di offrire un locale di culto, purché non esclusivo, ma lo rifiutarono secondo le loro usanze, mentre si costituivano in gruppo e si riferivano agli imam di passaggio e poi stabili. Si stanziarono albanesi che praticavano talune ritualità incomprensibili, anche se accedevano alle scuole e avviavano attività. In seguito all'aggregazione di altri Stati dell'Europa Orientale, si riversavano nelle città e nelle campagne cittadini comunitari cristiani, alcuni non cattolici, accanto ai quali si notava un papas tra loro, nei giorni di riposo dalle mansioni di lavoro nelle case. Nessun cenno di accoglienza in una chiesa adattabile al culto da loro praticato, tranne ad Alcamo dove fu concessa loro una chiesa. Un vescovo proveniente dai Salesiani, Amoroso, dimesso nei suoi comportamenti, vicino in un primo momento alla quindicina di preti che avevano lasciato il ministero e vivevano a Trapani, finché si orientò diversamente, per convinta refrattarietà nei confronti della interpretazione del Concilio difforme dalla linea ufficiale. Complessivamente la comunità ecclesiale si dimostrò incapace di dialogare, tranne sparute eccezioni, con la società, anche se a Trapani fu creato un Centro di accoglienza per immigrati in una ex-chiesa, seppure senza gli apporti offerti da parte di chi aveva titoli e competenze, ma orientato ad altre scelte di vita. Purtroppo l'indubbia vitalità del centro della Diocesi non ebbe piena rispondenza in città diverse che pure avrebbero dovuto seguirne gli stimoli.
Considerazioni finali
Dopo l’episcopato di Domenico Amoroso, stroncato da male galoppante nel 1997, la Chiesa di Trapani è piombata nell'amministrazione del quotidiano, addirittura con progetti di rimozione nei due campi che quell'episcopato aveva segnato, la Liturgia e la Charitas. Per questi motivi incerto sarebbe valutare il quindicennio successivo al 1998, anche per sopraggiunte vicissitudini poco chiare che si sono svolte nella diocesi e che attendono ancora verdetti ufficiali del tribunale ecclesiastico e perfino di quello civile, nonostante sopite con la dignitosa amministrazione apostolica appena trascorsa. In ogni caso appare un periodo che non illustra direttamente, nelle linee fondanti, il messaggio del Concilio, anzi può essere considerato un ritorno drammatico al periodo pre-conciliare. Il resto appare cronaca tuttora viva che si estende fino all'ingresso dell’ultimo vescovo Pietro Maria Fragnelli (*1952) il 3 novembre 20013.
Tanto più risalta, a paragone, il lungo travaglio che portò la Chiesa di Trapani, a parte la storia attorno alla sua fondazione, dall'annuncio di papa Giovanni XXIII del 1959 non recepito se non da avanguardie marginali, agli esiti del Concilio fino al 1998.
Si tinge di attualità, allora, l'insofferenza a suo tempo esplosa di un consistente gruppo di giovani preti e laici verso la Chiesa preconciliare, che si fuse con la partecipazione entusiastica ai prodromi del Concilio Vaticano IIi, al punto che la celebrazione e i documenti da quella assise elaborati costituirono la piattaforma di scontro aperto fra generazioni e dentro le singole comunità. Anzi la maturazione teologica ha portato il gruppo, oltre che a scelte individuali in forme diverse di rinunzia al ministero presbiterale, ad una ecclesiologia di partecipazione in cui Chiesa si coniuga unicamente in dimensione conciliare. Fondamento di tale visione sono le affermazioni dei documenti conciliari sulla centralità del popolo di Dio e sul rapporto diretto con il mondo che muta continuamente soprattutto nella nuova era della multimedialità e della globalizzazione. Chiesa e modernità, allora, equivale a Chiesa sempre da rinnovare ossia Chiesa in permanenza nella dimensione sinodale o conciliare.
Una storia, quella della Chiesa di Trapani, in parte priva di supporti documentari, ma viva nelle testimonianze dei pochi protagonisti, seppure ignorati dalla compagine ecclesiale. Certamente un'esperienza circoscritta alla stagione conciliare, seguita in tutta la sua estensione fino al postconcilio, seppure rimossa dalla memoria, soprattutto per l'incalzare dei comportamenti di parecchi preti e di alcuni laici, ispirati formalmente solo ad alcuni aspetti del papato di Giovanni Paolo II. Papato ed episcopato in quel periodo di fatto segnarono una interpretazione riduttiva del Concio in termini di continuità nella vita ecclesiale, più chè di práfèzta, insistendo sulla conquista della società in forme spesso plateali. Tutto ciò a Trapani ha significato di collusione con i potenti di turno proclamata o sotterranea oppure quotidianità senza sconvolgimenti neppure in occasione di eventi o calamità sociali. Da allora è emerso sempre più chiaramente come i due termini del confronto Chiesa e modernità trovino marginalmente spazi intraecclesiali a Trapani e risultino unidirezionali in funzione di un'immagine consona all'esteriorità e contraria alla plurisensorialità della comunicazione nell'erompere dell'epoca multimediale.
E per chi da questi brevi cenni intuisce la traccia per un approccio diretto, non resta che sfogliare i documenti seguenti, seppure non esaurienti della vitalità iniziale del rinnovamento, allegati a supporto di questa relazione, per essere depositati in un costituendo Archivio del Post-Concilio in Sicilia. Documenti da cui trarre sprone ad una riflessione sull'attuazione dell'impulso al rinnovamento conciliare, specificatamente ai suoi indirizzi, quelli riassunti nell'aggiornamento pastorale di papa Giovanni XXIII; documenti allegati, sulla Chiesa di Trapani e provenienti dal suo ambito, che costituiscono la base delle riflessioni ecclesiologiche finora esposte e che si vogliono conservare dall'incuria di chi vuole, con o senza pregiudizi, ignorarli. Sicché, alla fine,l'esperienza ,trapanese appare emblematica nel suo genere, tra le poche in Sicilia, come risultava da ùna rassegna anche visiva condotta dalle avanguardie trapanesi agli inizi degli anni '60. Esperienza all'interno della Chiesa di Trapani, ossia ristretta alla visione di una sola Chiesa locale, nonché descrittiva della fase ancora strisciante del cosiddetto neo-modernismo, che non si può intendere solo in termini di sorpassate ed inutili condanne.
Tanto più che modernismo con o senza prefissi ha caratterizzato almeno dal 1860 la Chiesa di Trapani mediante i rappresentanti del pre-modernismo ossia delle istanze di conciliarismo e di ritorno ai testi neotestamentari, nel momento in cui proprio da Trapani partivano stimoli per promuovere esemplarmente la fine del potere temporale; modernismo che è riemerso ancora nel secolo XX con l'argomentato rifiuto del medievalismo resuscitato da papa Leone XIII, nel momento in cui operava la restaurazione di Pio X, mentre si sprigionava dalla repressione l'invito alla libertà in quanto esaltazione del pauperismo e dell'ecumenismo; modernismo che infine rivive nel dopo concilio attuale, ora che il neo-modernismo ricava dai documenti del Concilio Vaticano II gli aspetti di profezia nel rapportare la Chiesa al suo interno con le esigenze del popolo di Dio e nel proiettarla verso il mondo senza trionfalismi ed in spirito di servizio. Istanza unitaria di rinnovamento, dunque, che non è estranea alla Chiesa di Trapani se è riemersa e vive, nonostante la marginalità: segno di consistenza non effimera ed anche di matrice provvidenziale, contro la quale non vale la repressione o la rimozione della memoria, come avvertiva lo scriba fariseo Gamaliele in Atti, 5, 34-39. Del resto la storia non è solo quella dei vincitori, che anzi non si può scrivere senza la ricerca-comprensione dei dissenzienti, ossia senza avvertire la presenza incalzante dei vinti, ugualmente appartenenti alla stessa ecclesia spiritualis come hanno proclamato nei secoli quanti finirono coll 'allontanarsi da Roma per salvare la loro fede e diventeranno eretici, per restare cristiani.
Riflessioni queste cui seguono documenti - qui sotto elencati - che procedono senza preventiva limitazione, da accorpare in capitoli scanditi all'interno dalla sequenza temporale. Si può anche cogliere una progressione che non nuoce alla diversità delle tematiche. Ciò non include la necessità di una lettura continuata, perché ogni segmento può essere separatamente valutato, ma riceve piena luce dal complesso degli altri. Soprattutto i documenti vanno analizzati nel contesto in cui si sono posti. La data 1985, seppure segnata dal Convegno della Chiesa Italiana a Loreto, non indica la fine del post-concilio e della sua attuazione. Per questo nessun limite deve essere frapposto alla cronistoria ed alla raccolta di documenti, come tentato da questa relazione.
Prevale la preoccupazione di conservare nella memoria quello che la storiografia ufficiale non appare disposta a valutare. Le testimonianze dirette dei veri protagonisti del rinnovamento rafforzano questa elementare esigenza e ne tramandano l'indomita forza. È questo l'impegno dei pochi che sono stati protagonisti del travaglio ecclesiale a Trapani e, per riflesso, in Sicilia, e che ora affidano considerazioni e documenti alla stampa, nella consapevolezza che questo medium riesca ancora a tradurre emozioni, sentimenti, attese e speranze, nonostante sia notoriamente un linguaggio da contemperare con la nuova multimedialità comunicativa. Perché emerga un interscambio paritario fra Chiesa e mo ondo, insito nella stessa definizione di ecclesia, ossia il suo intrinseco vincolo con l'aggiornamento pastorale propmosso dal Concilio Vaticano II, in definitiva il perenne rinnovamento o moderniotà in una Chiesa-Concilio''
Dopo l’episcopato di Domenico Amoroso, stroncato da male galoppante nel 1997, la Chiesa di Trapani è piombata nell'amministrazione del quotidiano, addirittura con progetti di rimozione nei due campi che quell'episcopato aveva segnato, la Liturgia e la Charitas. Per questi motivi incerto sarebbe valutare il quindicennio successivo al 1998, anche per sopraggiunte vicissitudini poco chiare che si sono svolte nella diocesi e che attendono ancora verdetti ufficiali del tribunale ecclesiastico e perfino di quello civile, nonostante sopite con la dignitosa amministrazione apostolica appena trascorsa. In ogni caso appare un periodo che non illustra direttamente, nelle linee fondanti, il messaggio del Concilio, anzi può essere considerato un ritorno drammatico al periodo pre-conciliare. Il resto appare cronaca tuttora viva che si estende fino all'ingresso dell’ultimo vescovo Pietro Maria Fragnelli (*1952) il 3 novembre 20013.
Tanto più risalta, a paragone, il lungo travaglio che portò la Chiesa di Trapani, a parte la storia attorno alla sua fondazione, dall'annuncio di papa Giovanni XXIII del 1959 non recepito se non da avanguardie marginali, agli esiti del Concilio fino al 1998.
Si tinge di attualità, allora, l'insofferenza a suo tempo esplosa di un consistente gruppo di giovani preti e laici verso la Chiesa preconciliare, che si fuse con la partecipazione entusiastica ai prodromi del Concilio Vaticano IIi, al punto che la celebrazione e i documenti da quella assise elaborati costituirono la piattaforma di scontro aperto fra generazioni e dentro le singole comunità. Anzi la maturazione teologica ha portato il gruppo, oltre che a scelte individuali in forme diverse di rinunzia al ministero presbiterale, ad una ecclesiologia di partecipazione in cui Chiesa si coniuga unicamente in dimensione conciliare. Fondamento di tale visione sono le affermazioni dei documenti conciliari sulla centralità del popolo di Dio e sul rapporto diretto con il mondo che muta continuamente soprattutto nella nuova era della multimedialità e della globalizzazione. Chiesa e modernità, allora, equivale a Chiesa sempre da rinnovare ossia Chiesa in permanenza nella dimensione sinodale o conciliare.
Una storia, quella della Chiesa di Trapani, in parte priva di supporti documentari, ma viva nelle testimonianze dei pochi protagonisti, seppure ignorati dalla compagine ecclesiale. Certamente un'esperienza circoscritta alla stagione conciliare, seguita in tutta la sua estensione fino al postconcilio, seppure rimossa dalla memoria, soprattutto per l'incalzare dei comportamenti di parecchi preti e di alcuni laici, ispirati formalmente solo ad alcuni aspetti del papato di Giovanni Paolo II. Papato ed episcopato in quel periodo di fatto segnarono una interpretazione riduttiva del Concio in termini di continuità nella vita ecclesiale, più chè di práfèzta, insistendo sulla conquista della società in forme spesso plateali. Tutto ciò a Trapani ha significato di collusione con i potenti di turno proclamata o sotterranea oppure quotidianità senza sconvolgimenti neppure in occasione di eventi o calamità sociali. Da allora è emerso sempre più chiaramente come i due termini del confronto Chiesa e modernità trovino marginalmente spazi intraecclesiali a Trapani e risultino unidirezionali in funzione di un'immagine consona all'esteriorità e contraria alla plurisensorialità della comunicazione nell'erompere dell'epoca multimediale.
E per chi da questi brevi cenni intuisce la traccia per un approccio diretto, non resta che sfogliare i documenti seguenti, seppure non esaurienti della vitalità iniziale del rinnovamento, allegati a supporto di questa relazione, per essere depositati in un costituendo Archivio del Post-Concilio in Sicilia. Documenti da cui trarre sprone ad una riflessione sull'attuazione dell'impulso al rinnovamento conciliare, specificatamente ai suoi indirizzi, quelli riassunti nell'aggiornamento pastorale di papa Giovanni XXIII; documenti allegati, sulla Chiesa di Trapani e provenienti dal suo ambito, che costituiscono la base delle riflessioni ecclesiologiche finora esposte e che si vogliono conservare dall'incuria di chi vuole, con o senza pregiudizi, ignorarli. Sicché, alla fine,l'esperienza ,trapanese appare emblematica nel suo genere, tra le poche in Sicilia, come risultava da ùna rassegna anche visiva condotta dalle avanguardie trapanesi agli inizi degli anni '60. Esperienza all'interno della Chiesa di Trapani, ossia ristretta alla visione di una sola Chiesa locale, nonché descrittiva della fase ancora strisciante del cosiddetto neo-modernismo, che non si può intendere solo in termini di sorpassate ed inutili condanne.
Tanto più che modernismo con o senza prefissi ha caratterizzato almeno dal 1860 la Chiesa di Trapani mediante i rappresentanti del pre-modernismo ossia delle istanze di conciliarismo e di ritorno ai testi neotestamentari, nel momento in cui proprio da Trapani partivano stimoli per promuovere esemplarmente la fine del potere temporale; modernismo che è riemerso ancora nel secolo XX con l'argomentato rifiuto del medievalismo resuscitato da papa Leone XIII, nel momento in cui operava la restaurazione di Pio X, mentre si sprigionava dalla repressione l'invito alla libertà in quanto esaltazione del pauperismo e dell'ecumenismo; modernismo che infine rivive nel dopo concilio attuale, ora che il neo-modernismo ricava dai documenti del Concilio Vaticano II gli aspetti di profezia nel rapportare la Chiesa al suo interno con le esigenze del popolo di Dio e nel proiettarla verso il mondo senza trionfalismi ed in spirito di servizio. Istanza unitaria di rinnovamento, dunque, che non è estranea alla Chiesa di Trapani se è riemersa e vive, nonostante la marginalità: segno di consistenza non effimera ed anche di matrice provvidenziale, contro la quale non vale la repressione o la rimozione della memoria, come avvertiva lo scriba fariseo Gamaliele in Atti, 5, 34-39. Del resto la storia non è solo quella dei vincitori, che anzi non si può scrivere senza la ricerca-comprensione dei dissenzienti, ossia senza avvertire la presenza incalzante dei vinti, ugualmente appartenenti alla stessa ecclesia spiritualis come hanno proclamato nei secoli quanti finirono coll 'allontanarsi da Roma per salvare la loro fede e diventeranno eretici, per restare cristiani.
Riflessioni queste cui seguono documenti - qui sotto elencati - che procedono senza preventiva limitazione, da accorpare in capitoli scanditi all'interno dalla sequenza temporale. Si può anche cogliere una progressione che non nuoce alla diversità delle tematiche. Ciò non include la necessità di una lettura continuata, perché ogni segmento può essere separatamente valutato, ma riceve piena luce dal complesso degli altri. Soprattutto i documenti vanno analizzati nel contesto in cui si sono posti. La data 1985, seppure segnata dal Convegno della Chiesa Italiana a Loreto, non indica la fine del post-concilio e della sua attuazione. Per questo nessun limite deve essere frapposto alla cronistoria ed alla raccolta di documenti, come tentato da questa relazione.
Prevale la preoccupazione di conservare nella memoria quello che la storiografia ufficiale non appare disposta a valutare. Le testimonianze dirette dei veri protagonisti del rinnovamento rafforzano questa elementare esigenza e ne tramandano l'indomita forza. È questo l'impegno dei pochi che sono stati protagonisti del travaglio ecclesiale a Trapani e, per riflesso, in Sicilia, e che ora affidano considerazioni e documenti alla stampa, nella consapevolezza che questo medium riesca ancora a tradurre emozioni, sentimenti, attese e speranze, nonostante sia notoriamente un linguaggio da contemperare con la nuova multimedialità comunicativa. Perché emerga un interscambio paritario fra Chiesa e mo ondo, insito nella stessa definizione di ecclesia, ossia il suo intrinseco vincolo con l'aggiornamento pastorale propmosso dal Concilio Vaticano II, in definitiva il perenne rinnovamento o moderniotà in una Chiesa-Concilio''
Conclusa la relazione è stto aperto un dibattito cui hanno partecipato con interesse molti dei presenti ed ai quali il Prof. Corso ha risposto fornendo ulteriori notizie ed integrazioni sui fatti verificatisi nella Chiesa di Trapani ne periodo considerato e letto alcune delle poesie in siciliano inserite in una sua pubblicazione dal titolo '' Tangi 'a via crucis - Ballata 'a via Lucis ''.
Ciuso il dibattito, la Prof.ssa Musumeci dopo aver ringraziato il Prof. Corso per l'interessante, documentato tema illustrato a nome dell'associazione ed a ricordo della serata gli ha offerto un piatto in ceramica sponsorizzato per l'anno 2014 dalla Ditta '' Bono Antiquariato '' di Trapani.
La serata si è conclusa con l'arrivederci a giovedì 1° maggio 2014 alle ore 11.00 presso il locale Villa Martinez, da raggiungere con mezzo proprio, dove sarà celebrata la ricorrenza con varie attività nella mattinata ed a cui farà seguito il pranzo.