2014 - 11 - 11: Prof. Maurizio Vitella - La collezione artistica del monastero del Gattopardo di Palma di Montechiaro; S. Martino: biscotti e vino


















Martedì 11 novembre 2014 alle ore 18.30 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, si è tenuto lìincontro con il Prof. Maurizio Vitella sulla base della programmazione delle attività previste dal XXVIII Corso di cultura per l'anno 2014. 

Hanno partecipato all'evento un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti che insieme al Prof. Valenti hanno accolto l'oratore proveniente appositamente da Palermo dove in serata dovrà ritornare. 

L'ospite che per molti anni ha operato Trapani presso la Biblioteca Fardelliana, ora insegna presso l'Università di Palermo. E' autore di diverse ricerche e pubblicazioni ed assiduamente negli ultimi anni trascorsi ha accettato sempre di buon grado e con entusiasmo di partecipare alle attività culturali dell'Associazione.
L'argomento della serata può essere relazionato con quanto esposto nella conferenza del 1° novembre 2014 dal Prof. Salvatore Vecchio ed incentrata sul '' Gattopardo '' di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in quanto anche la Beata Corbera, cui si deve la fondazione del monastero in Palma di Montechiaro, era una antenata dell'autore.

Effettuta una breve presentazione dell'oratore, dopo averlo ringraziato di aver ancora una volta accettato l'invito dell'Associazione, il Prof. Valenti ha ceduto la parola al Prof. Vitella.

Lo stesso dopo aver ringraziato i presenti, è entrato in argomento ed ha gentilmente e cortesemente messo a disposizione il testo e le immagini proiettate durante la sua relazione a disposizione dell'Associazione, riservandosi tuttavia tutti i diritti, perchè potessero essere inseriti sul sito del sodalizio a testimonianza delle sue attività culturali e per ciò sentitamente lo si ringrazia.   


















'' Maurizio Vitella - Ricamato dalle donne - La collezione tessile del monastero del Gattopardo 

Il tema di questo incontro mi spinge a presentare un argomento legato ad uno dei più famosi romanzi italiani, scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e pubblicato dopo la sua morte nel 1958. Conosciuta a livello internazionale è la trasposizione
cinematografica che del romanzo fece nel 1963 Luchino Visconti ( 50 anni dalla realizzazione ).  

La figura citata nel romanzo e anche nel film, la Beata Corbera, altri non è che la Venerabile Suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi, sorella del Cardinale San Giuseppe Tomasi. A lei si deve la fondazione nel comune di Palma di Montechiaro del Monastero intitolato alla Madonna del Rosario. Lo spirito benedettino dell'Ora et Labora fu sperimentato dalle monache seguendo l'esempio di Marta e Maria Maddalena: la prima esempio di vita attiva, l'altra esempio di vita contemplativa.

Nel monastero Benedettino di Palma di Montechiaro ancora viva è l'antica tradizione dell'arte del ricamo, nata contestualmente alla fondazione del monastero come testimoniano le tante opere seriche esistenti databili dalla seconda metà del XVII secolo ai nostri giorni, affermazione di un glorioso passato ed espressione di un'ininterrotta attività. La produzione di ricami ben si adatta alla regola stessa del monastero: si pone, infatti, non solo come esercizio manuale fine a se stesso, ma come vero e proprio atto di fede
'' partecipando all'abbellimento della chiesa e delle cerimonie, favorendo il raccoglimento e la preghiera " delle religiose.

Molto ricca è la collezione di paliotti d'altare. Tra questi spicca per virtuosismo compositivo e varie tecniche di punti d'esecuzione il paliotto con l'Ultima Cena. Datato 1751 si tramanda che per completarlo le suore impiegarono ben dodici anni (numero simbolico che rimanda alla quantità degli Apostoli ). Capolavoro dell'arte del ricamo presenta, entro una cornice di sapore barocco con girali floreali e pavoncelli, la scena dell'ultimo convito di Cristo con gli Apostoli raffigurata con considerevole effetto scenografico amplificato dal fastoso ambiente dove si svolge l'azione. Compaiono nell'episodio la Vergine, la Maddalena e dei servi vestiti con abiti di foggia seicentesca, presenza quest'ultima che laicizza l'insieme e riporta la mente a più famose opere pittoriche quali il Convito in casa di Levi del Veronese presso le Gallerie dell'Accademia di Venezia o all' Ultima Cena di Jacopo Tintoretto della chiesa di San Marcuola della stessa città lagunare. La figura, inoltre, della Penitente prona sul pavimento intenta ad offrire il vaso con gli oli profumati rimanda ancora
una volta alla pittura del secondo Cinquecento del nord Italia ricordando la donna in primo piano che nell'Ultima Cena del Tintoretto di San Giorgio Maggiore a Venezia prepara le stoviglie per i commensali o ancora la Maddalena della Cena in casa del Fariseo della cappella del Sacramento della chiesa di San Giovanni Evangelista di Brescia dipinta da Girolamo Romanino. Certo, nel nostro paliotto è assente la trattazione spaziale per diagonali che caratterizza le opere pittoriche citate: nell'opera di Palma di Montechiaro l'effetto prospettico è dato dal pavimento a scacchiera. L'opera di Palma, sebbene riduca ad espressione devozionale più importanti modelli tratti dal repertorio manierista, è una rilevante attestazione della maestria delle claustrali, dove esuberante inventiva, scelte cromatiche e abilità tecnica si fondono simultaneamente in un manufatto che perde la sua connotazione di prodotto artigianale per assurgere alle più alte vette delle produzioni artistiche. 

Donne che rappresentano donne, e quale figura femminile potevano rappresentare le monache se non la Vergine Maria. Ecco dunque una serie di Paliotti che hanno come protagonista la Madonna: nel primo è Maria Bambina,circondata da sinuosi racemi che formano un cuore a sua volta attorniato da numerosi cuori alati. L'opera è della prima metà del XVIII secolo. Risente ancora nell'insieme della fastosa cultura barocca.

Di carattere devozionale è il paliotto dell'Addolorata, tutt' oggi esposto nei Venerdi di Quaresima nella cappella del Crocifisso. Una raffinata cornice a girali acanti formi e floreali di gusto tardo seicentesco cinge uno stuolo di dodici angeli reggenti i simboli della Passione equamente distribuiti nelle due campiture divise dalla grande croce centrale su cui si staglia la Vergine con lo sguardo rivolto verso l'alto e il cuore trafitto da sette spade. La scena centrale sembrerebbe eseguita in un momento successivo rispetto gli ornati della bordura, forse reimpiegati da un precedente palio o operati su un disegno preparatorio più antico. La tecnica compositiva del collage,
copiosamente adoperata per gli incarnati dei personaggi, nonché la figura stessa dell'Addolorata qui ripresa da un repertorio figurativo siciliano pienamente settecentesco, inducono a datare l'opera alla metà del XVIII secolo.

Stesso apprezzamento può estendersi al paliotto del monastero benedettino con l'Incoronazione della Vergine. Anche in questo caso è chiaro il riferimento ad antichi dipinti, soprattutto tardo medievali e rinascimentali. Ma ciò che più colpisce della nostra opera è la ricca bordura dove sono ricamate da sinistra verso destra l'orazione nell'orto, la flagellazione, l'incoronazione di spine, l'andata al Calvario, la
crocifissione, la pietà, la resurrezione, l'ascensione, la pentecoste, la dormitio virginis, l'assunzione, Cristo tra i dottori, la presentazione al tempio, la natività, la visitazione e l'annunciazione. Ciascuna scena, particolarmente curata nei dettagli, riprende nell'iconografia le storiette laterali della macchina lignea che nella stessa chiesa del Monastero orna la cappella del Rosario. Non si può inoltre tacere l'ascendenza dell'episodio dell'andata al Calvario dal ben più noto Spasimo raffaellesco, tanto copiato da numerosi artisti siciliani.

La figurazione centrale del palio, con la trinità che incorona Maria, è inserita entro uno speculare corteggio di angeli musicanti, mentre più in basso sono altre figure celesti che offrono incenso, grappoli d'uva e spighe di grano, chiari simboli eucaristici. Anche in questo caso si assiste ad un trionfo del punto pittoresco con il quale si riesce a descrivere realisticamente i diversi soggetti, sebbene qui la resa
fisionomica decade in una grossolana esecuzione dei tratti, a ricamo nelle scene perimetrali e acquarellati nell'episodio centrale, che decadono in una sgraziata sintassi. I numerosi interventi di restauro, tesi ad integrare strappi o sollevamenti di ricami, operati negli anni dalle suore non rendono facile un sicuro inquadramento cronologico dell'opera.

Alla Venerabile Suor Maria Crocifissa della Concezione si deve un'altra interessantissima manifestazione dell'operosità delle monache benedettine del Monastero di Palma di Montechiaro: si tratta della realizzazione di piccoli paliotti per gli altari privati allestiti entro le loro celle. Le suore facevano a gara per ornare il 1oro piccolo spazio sacro privato di fronte al quale potevano pregare in profondo
raccoglimento. Secondo la tradizione orale tramandata nel Monastero alla fondatrice si deve il piccolo paliotto che ritrae Fiorico, l'uccellino con cui la Mistica dialogava e che riempiva di melodioso cinguettio le sue giornate. L'opera, considerata quasi una reliquia e che pertanto datiamo prima del 1699, spicca per policromia e ricchezza del filato. Sempre attribuita alla Isabella Tomasi è la borsa per il corporale, con al centro un minuscolo Bambinello con una croce in mano modellato in corallo. Superfluo indicare la ben nota simbologia eucaristica del corallo di cui, invece, si preferisce evidenziare lo scopo decorativo che con il suo caratteristico colore esalta gli aurei decori donando sfarzo all'insieme del parato liturgico.

Il paliotto blu qui presentato è forse il più antico e probabilmente eseguito per la cerimonia di professione delle prime suore e la contestuale inaugurazione del monastero avvenuta il 12 giugno del 16S9. Si tratta del paliotto ancora oggi esposto sull'altare maggiore la Domenica delle Palme con al centro una rigogliosa palma incorniciata da stilizzazioni angolari. Nell'opera si palesa un duplice intento
simbolico che, se da un lato rimanda a note significazioni cristiane quali l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme o al trionfo dei martiri sulla morte, dall'altro non può prescindere dall'esprimere un segno laico legato alla fondazione dell'abitato - dove una palma svettava nella piazza antistante il monastero come si può notare nell'acquaforte di Desprez tratta dal Voyage pittoresque di Saint-Non — riferendosi, quindi, alla missione civile dei duchi Carlo e Giulio Tomasi.

Espressione del ricercato gusto barocco è il paliotto del monastero benedettino con al centro un ricco vaso impreziosito da perline di corallo da cui fuoriesce uno straripante ornato floreale carico di effetti policromi offerti dai numerosi cangiantismi dei fili di seta del ricamo. Il tortuoso sviluppo dei tralci e la presenza di soggetti aviformi rimandano a soluzioni decorative tardo seicentesche. 

Cinque antependia tutti con la stesso tessuto rosso di fondo e simili bordure, realizzati dalle suore per addobbare armoniosamente tutti gli altari della loro chiesa per la Domenica di Pentecoste. Sebbene si noti qualche variante nello sviluppo del modulo disegnativo dei ricami, si distinguono per il medaglione centrale dove sono esplicitate simboliche figurazioni che si legano con coerenza alla cappella per cui sono stati concepiti: il palio con al centro con la palma per la cappella della Natività; quello con la croce patriarcale, la mitria e il pastorale è per l'altare di san Benedetto; l'altro con al centro la croce penitenziale si colloca nella cappella del Crocifisso; sono da datare alla metà del XVIII secolo e rientra tra essi il paliotto con ricamato al centro l'Agnus Dei sul Libro dai Sette Sigilli. L'immagine centrale dell'opera palmense, contornata da esili racemi che intersecandosi si estendono per tutta l'ampiezza, viene spesso ripresa entro ornamentazioni liturgiche. È un simbolo ampiamente diffuso dall'iconografia cristiana che sintetizza, anche se non letteralmente, una delle visioni apocalittiche di san Giovanni, in particolare quella in cui Dio consegna all'Agnello il Libro dei Sette Sigilli (Ap., 5).

Pienamente settecenteschi sono altri due paliotti del monastero di Palma entrambi con fontana al centro. Il primo, con fontana a candeliere con tre conche, pavoncelli e vasi fioriti, ripropone un repertorio ornamentale ormai semplificato, ma ripreso da barocchi paliotti architettonici con arcate campite proprio dai nostri soggetti o ambientati in prospetti apparati.
Il secondo palio del Monastero presenta una fontana stilizzata da cui fuoriescono lateralmente sottili racemi fioriti che lambiscono il Cuore di Gesù, ricamato a sinistra e circondato dalla corona di spine, e il Cuore di Maria, posto specularmente a destra e ornato da una corona di fiori. Anche in questo caso l'intento devozionale supera il precipuo aspetto simbolico. Nelle due opere non è infatti casuale la presenza della fontana la cui " eccezionale diffusione nella accezione di fons vitae battesimale o eucaristica, e di fons vivum mariano, non contempla varianti tipologiche .. del solo tipo a candeliere ... in quanto essa sola consente di rappresentare l'acqua della grazia
come discendente dall'alto ".

Tra gli altri paliotti figurati realizzati per gli altari laterali della chiesa del Monastero di Palma si segnalano quello con San Giuseppe e il Bambino, abitualmente esposto il 19 marzo nell'altare del Crocifisso, e Valtro con Cristo, la Madonna, San Benedetto e Santa Scolastica. Quest'ultimo, realizzato per la prima cappella di sinistra dedicata al Santo titolare dell'ordine monastico, presenta un'originale soluzione iconografica che esprime l'offerta del monastero di Palma, ricamato con efficace prospettiva, da parte dei due Santi monaci fratelli. Entrambi i paliotti presentano un medesimo cliché decorativo a racemi fioriti che si estendono con vivaci girali per tutta l'opera. Databili alla seconda metà del XVIII secolo stilisticamente sono ancora ascrivibili al rococò, sebbene l'assottigliarsi dei tralci denoti un avvio verso il nascente neoclassicismo. 

Un altro antependium del monastero benedettino ha ricamato al centro il Buon Pastore. Si tratta di un'opera particolarmente importante perché reca dipinta sul telaio un'iscrizione da cui si evince che è stato realizzato nel 1757. Aver rilevato la data è cosa di grande interesse e permette di considerare l'opera qui esaminata come punto di riferimento cronologico, riscontrando in essa ornati barocchetti a girali fioriti insieme al frivolo movimento rocaille della cornice del medaglione centrale. Notevole l'intento didascalico della figurazione mediana dove, oltre al Cristo con la pecorella sulle spalle, al gregge e al lupo in lontananza, sono riportate frasi desunte dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni. La carnosità dei petali e la sinuosa andatura dei tralci sono simili a quelli di un altro paliotto della stesso monastero con al centro la Sacra Famiglia. Forse realizzato con qualche anno di anticipo rispetto al precedente, presenta una trattazione coloristica degli ornati piuttosto accentuata e dalla forte policromia. Inoltre la scena centrale risulta ibrida e potrebbe infatti rimandare al riposo dopo la fuga in Egitto.

Chiude l'importante e inedita rassegna di paliotti ricamati del Monastero benedettino di Palma di Montechiaro un antependium neoclassico di fattura ottocentesca. In esso gli ornati sono rigidamente scanditi entro geometriche cornici riempite da stilizzati motivi vegetali, fardelli, rosette, ovuli e al centro il monogramma mariano. Abbandonate le vivaci decorazioni policrome è il solo filo d'oro ad essere utilizzato per gli accademizzanti ricami che " si ridurranno di dimensioni e quantità, lasciando in bianco gran parte della stoffa sottostante ".

Il corredo tessile di arredi d'altare del Monastero di Palma di Montechiaro è anche ricco di paramenti sacri. Ricamati dalle stesse monache sono stati nei secoli custoditi con scrupolosa cura e restaurati via via secondo necessità con vari interventi di rammendo e in alcuni casi anche di reintegrazione e di riporto. Pertanto le aggiunte e anche alcune manomissioni non rendono facile esprimere una sicura datazione delle opere.

Sicuramente il più pregiato per la ricchezza dei materiali e per la magnifica esecuzione tradizionalmente attribuita a Suor Maria Crocifissa è il parato detto, appunto, della Venerabile.
Composto da una pianeta, una stola, un velo per il calice, una borsa e una palla è caratterizzato da raffinati ricami in fili d'oro, d'argento e perline di corallo. Sulla pianeta gli esili racemi si intersecano sviluppandosi con un movimento costante e speculare, secondo un modulo disegnativo lontano dalle esuberanze seicentesche. I petali dei fiori sono arricchiti dal corallo usato con maggiore profusione nella stola tanto da far ritenere, considerata l'abbondanza del prezioso materiale marino, che sia antecedente alla pianeta con la quale, pure, non condivide il medesimo ornato floreale. Inoltre, la profusione dell'argento filato e del coraflo farebbero anche
supporre un'esecuzione più antica, rispetto agli altri elementi del completo liturgico, sia della borsa per il corporale che della palla: splendida la soluzione adottata con un fitto ricamo di base in fili d'argento da cui spiccano con forte effetto luministico gli ornati stilizzati e floreali in filo d'oro e corallo. 

Analoga fastosità si nota nella pianeta tardo seicentesca dello stesso Monastero a fondo rosso e ricami in fili d'oro e d'argento. Ornati fitomorfi e floreali fortemente stilizzati si affollano, sia nel recto che nel verso, attorno una fontana posta al centro, figurazione metaforica alludente alla fonte dell'acqua della vita della Gerusalemme Celeste descritta nell'Apocalisse {21,6). Altra presenza allegorica sono le piume di pavone con i cento occhi, immagine della Chiesa che tutto vede e dell'onniscienza divina. L'alta qualità dei ricami disposti con perizia ed eleganza sono un'ulteriore conferma dell'abilità tecnica delle monache benedettine, sempre attente alle più aggiornate soluzioni decorative a cui non si disdegna di associare scopi didascalici. È probabile che la pianeta esaminata venisse indossata dal celebrante contestualmente all'esposizione del paliotto col medesimo soggetto centrale, creando, cosi, un equilibrato effetto scenografico consono alle solennità religiose.

Decori settecenteschi con leggiadri tralci fioriti ondulati, foglie ventagliate, frivoli elementi rocailles e simbolici grappoli d'uva e spighe di grano caratterizzano una pianeta avorio del Monastero palmense ricamata con fili policromi, utilizzati per guarnire le corolle di alcuni fiori, e abbondante profusione di filo d'oro. L'alleggerimento cromatico e la riduzione degli ornati attestano il lento avvio verso
composizioni dall'impostazione più diradata e poco invasiva cara al barocchetto siciliano di fine Settecento.

Molto importante è l'aver ritrovato numerosi disegni preparatori, sicuri indizi che confermano la manifattura locale delle opere. Addirittura uno di questi è anche datato e ad esso tutt' oggi corrisponde il " prodotto finito ". Si tratta di una pianeta ricamata con fili d'oro a cui corrisponde un disegno del 1834. L'opera presenta un ornato neoclassico, stile che tra la fine del Settecento e la prima metà del secolo successivo furoreggia in Sicilia. Da un'anfora centrale sormontata da una caratteristica linea greca prendono l'avvio sinuosi tralci dalle terminazioni a grandi fiori: repertorio decorativo, questo, riscontrabile in un'altra pianeta dello stesso Monastero, arricchita
da simboliche foglie d'edera, spighe di grano e grappoli d'uva.

Un altro disegno conferma ulteriormente l'esecuzione interna al Monastero del ricamo di due tonacelle e di un piviale. Gli ornati neoclassici con sottili racemi che originano da un'anfora centrale sono realizzati con la tecnica dello sfilato, paziente e meticoloso lavoro che ancora oggi le suore di Palma eseguono con raffinata perizia. Di queste sacre vesti colpisce l'impalbabilità del batista ricamato foderato con un taffetas rosaceo che, in cromatico contrasto con il candido lino, evidenzia le figure ricamate. 

















Gusto tardo barocco e influssi della bizzarra cultura esoticheggiante propria dei tessuti del primo trentennio del XVIII secolo si colgono nei ricami di tre superbe stole parrocali sicuramente realizzate dalle suore, nella seconda metà del Settecento, come documentano i disegni preparatori ancora esistenti. Sontuosi ornati attinti da un inesauribile repertorio decorativo campiscono le sacre insegne nella loro ampiezza: si riconoscono croci, cornucopie, fiaccole, conchiglie, ombrellini, fiori, foglie, piume tutti elementi eseguiti con dovizia e gran quantità di punti.
                                                                                            Accostando un'altra pianeta di moiré avorio ricamato a fili d'oro ad un disegno custodito nel monastero si scopre che l'estro creativo delle monache ha dato vita a composizioni decorative cronologicamente distanti, ma armoniosamente coesistenti. Si nota, infatti, che al semplice ornato di ovuli e foglie di ascendenza neoclassica posto lungo il bordo e le fasce della colonna sono stati aggiunti nelle campiture un tempo libere, come indica il modello grafico, altri ricami fitomorfi riportati da una stola preesistente e, nella zona centrale, un ornato figurativo riproducente il cuore di Gesù su un calice panciuto. Aggiunte, queste, eseguite, secondo quanto riferito dalle stesse religiose del Monastero, da Suor Maria Margherita tra gli anni '60 e '70 del Novecento, artefice, nello stesso periodo, dei ricami di un piviale avorio realizzati in filo d'oro riproponendo antiche tecniche tramandate di generazione in generazione che fanno dell'arte del ricamo una tradizione sempre viva alla quale ancora oggi le monache si applicano con qualificata maestria. 

Per chi si occupa di storia delle arti decorative e in particolare di analizzare le produzioni seriche e di ricami è momento di grande interesse indagare i tessili per l'altare e per la celebrazione eucaristica di una comunità religiosa femminile. La soddisfazione più grande è quella di poter finalmente attribuire e datare con certezza la manifattura di parecchie opere confermandone con sicuri riscontri la realizzazione all'interno dello stesso edificio claustrale.

Le monache a loro insaputa divengono artiste, creando un patrimonio unico di paramenti ricamati.'' 

Alla conclusione della relazione è seguito un dibattito con molti interventi dei presenti che hanno chiesto precisazioni e chiarimenti ai quali il Prof. Vitella ha risposto esaurientemente fornendo altre notizie ed approfondimenti in merito alla sua accurata ricerca .

Chiuso il dibattito, il Prof. Valenti ha ringraziato il Prof. Vitella per l'interessante relazione svolta ed a ricordo della serata gli ha fatto omaggio di un piatto in ceramica di Burgio sponsorizzato dalla Ditta Bono Antiquariato di Trapani.

Ricorrendo la festività di S. Martino la serata è poi continuata con il tradizionale consumo dei '' mufuletti '' variamente infarciti dai presenti a cui ha fatto seguito quello dei biscotti di S. Martino degustati inzuppati, come tradizione vuole, nel vino liquoroso. 

Dalle immagini riportate di seguito si può evincere la soddisfazione dei presenti per quanto accuratamente predisposto che ha riscosso, come del resto in queste circostanze avviene el sodalizio, notevole successo, allegria e soddisfazione.









 





 

 

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