2016 - 01 - 09: Prof. Giuseppe Camporeale - Identità e simbolismo del giovane di Mozia

Sabato 9 gennaio 2016 alle ore 18.20 nella sala delle riunioni dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti, dopo la tradizionale '' Tombolata '' di inizio anno, è stato ufficialmente aperto il XXX Corso di cultura relativo all'anno sociale 2016.

I lavori dell'evento sono stati aperti dal Presidente, Prof. Valenti Salvatore, che dopo aver esordito rivolgendo un indirizzo di saluto ed un ringraziamento all'oratore della serata, Prof. Giuseppe Camporeale ed ai presenti in sala, ha voluto espressamente ricordare che l'apertura del XXX Corso di Cultura, obiettivo non indifferente nella vita di un sodalizio, quale l'Associazione che ha il piacere di presiedere, è stato un traguardo reso possibile non solo per la collaborazione degli amici e dei relatori che nei vari anni si sono succeduti nei loro interventi e che hanno sempre risposto ed accettato con entusiasmo gli inviti loro rivolti dall'Associazione, ma anche per la serietà e per l'attaccamento manifestato dai soci che negli anni hanno assiduamente e con interesse partecipato agli eventi programmati e successivamente realizzati.

Dopo questa introduzione è passato a presentare il Prof. Giuseppe Camporeale, relatore della serata, che ha ancora una volta accettato di partecipare alle attività dell'Associazione e di aprire con il suo intervento il Corso di cultura per l'anno 2016.
Nato a Castelvetrano ( TP ), storico dell'antichità, poliglotta, autore di diverse pubblicazioni, docente, studioso di livello internazionale, si è particolarmente interessato al territorio di Selinunte ed ha dato un particolare ed approfondito contributo nell'identificazione di alcuni ed importanti reperti archeologici quali il '' Satiro danzante '', l' ''Efebo di Selinunte '', statuetta rappresentante l'aspetto giovanile di Dioniso, la corretta interpretazione della scitta del tempio G di Selinunte ed il '' Giovane di Mozia '', tema dell'apertura del nuovo programma di incontri relativo al 2016.

Avuta la parola, il Prof. Camporeale ha rivolto ai presenti un affettuoso saluto esprimendo nel contempo il piacere, aprendo il XXX Corso di cultura, di poter ancora una volta trattare un argomento relativo alle scoperte realizzate nel territorio di Selinunte, a lui molto caro, e nell'ambito del quale ha avuto la possibilità di effettuare molte ricerche delle quali, in passat, ha parlato ed illustrato i risultati.

Si riporta di seguito una sintesi liberamente tratta da quanto detto dal Prof. Camporeale che ha accompagnato e supportato la sua esposizione e le sue affermazioni relative a ciò che la statua del giovane di Mozia poteva rappresentare con la proiezione di una serie di dipositive che gentilmente ha rese disponibili per essere inserite nel sito dell'Associazione e che di seguito sono ripotate.

Ha pertanto iniziato la sua relazione constatando che, purtroppo, allorquando vengono alla luce nuovi reperti archeologici, essi, anche se dettagliatamente descritti nel loro aspetto, non sempre vengono correttamente identificati dagli addetti ai lavori che in ciò finiscono per commettere errori molto gravi frutto di fantasiose e non giustificate interpretazioni personali in quanto non correttamente relazionate e collegate sia alla iconologia che alla iconografia del tempo che indubbiamente, a loro volta, sono collegate ai problemi ed alle influenze del periodo storico in cui le opere stesse sono state realizzate.

La statua, ritrovata nel 1979 a Mozia sotto un cumulo di sfabbricidi ammucchiati a mò di barriccata di difesa con la faccia in giù e mancante sia delle braccia che dei piedi nell'area K a nord del Santuario del Cappiddazzu, evidenzia una fattura anatomica molto curata sia nella parte anteriore che posteriore come se chi l'avesse realizzata fosse molto preoccupato di rappresentarla accuratamente perchè potesse essere ammirata da entrambe le parti.
Dopo il suo ritrovamento alcuni affermarono che rappresentasse un mercante, altri un magistrato fenicio, altri ancora che fosse Eracle con una clava dietro la testa nell'atto chi colpire qualcosa, ma nessuna di queste ipotesi si dimostrò valida alla luce del suo abbigliamento che consisteva in una lunga tunica plissettata e senza maniche che potesse consentire un adeguato riscontro in altre opere del periodo rappresentanti i personaggi ipotizzati.

In realtà la statua ritrovata riproduceva un auriga e la riprova di ciò è stata largamente confermata da una serie di documenti e di reperti dell'epoca come l'auriga bronzeo ritrovato a Delfi ancora con una parte delle redini nelle mani dopo che una frana l'aveva ricoperta lasciando scoperti i cavalli successivamente rubati dai turchi per fonderli.
Altri riscontri si sono avuti:
- dalle figure di auriga riportate su diversi vasi esposti a Berlino, Firenze, Atene nonchè su una piccola lectos esposta al Museo di Castelvetrano, dove le vesti indossate erano talvolta di colore bianco;
- su monete del periodo ellenistico, ma anche successivamente, emesse da varie città ed in varie epoche in occasione della vittoria nelle gare di corsa sulle quali era riprodotto il carro e l'auriga sul capo del quale la vittoria alata deponeva un corona di alloro;
- su diversi rilievi votivi
come documentato dalle numerose diapositive proiettate.
Pertanto questo tipo di veste, lunga e plissettata con ai fianchi una cintura, era tipica dell'auriga del tempo ed ha consentito al relatore di identificare senza dubbio il giovane di Mozia come tale ponendo fine alle fantasiose e del tutto errate ed illogiche identificazioni fatte dagli esperti dopo il suo ritrovamento. 

Inoltre , sia la statua del giovane di Mozia che l'auriga di Delfi, appartengono al cosiddetto stile severo ovvero a quel periodo compreso fra il 480 ed il 450 a.c. nel corso del quale venne sperimentata una minore rigidità nelle figure e realizzato da parte degli artisti un maggior realismo anatomico nelle stesse.

Circa poi il significato simbolico di tale veste esso è legato a Dioniso, venerato a Selinunte ed al quale era dedicato il tempio G, che su di un vaso custodito nel Museo di Monaco è raffigurato con indossso due vesti: una che altro non è che un piton poderes lunga fino ai piedi sotto ed un'altra sopra che rappresenta un lussureggiante mantello che lo caratterizza come capo degli dei designato tale direttamente da Zeus.

Come tale in altre raffigurazioni è sempre rappresentato in trono insieme a Demetra e mentre il primo ha in mano il cantaros, la seconda è accompagnata da un gallo  che rappresenta a seconda dei casi il nuovo giorno della vita o anche il passaggio da una vita all'altra e quindi il simbolo di una promessa di resurezione.
Essi, come testimoniato da antiche fonti, furono gli dei che accompagnarono gli ultimi culti pagani dei greci che peraltro trasserro i loro dei ed i loro riti, cambiandone il nome, da quelli egiziani per cui Dioniso altro non era che Osiride mentre Demetra era Iside.

Dioniso è considerato il dio dei due vestiti ovvero delle due identità: una interna ed intima, una esterna e pomposa come spetta al capo degli dei.

Talvolta tuttavia ha addosso un solo vestito, quello esterno, come succede nelle raffigurazioni dei riti notturni ed invernali nei santuari presso le paludi dove la terra mescolandosi con l'acqua diventa simbolo di nuova vita e prosperità, nel corso dei quali le menadi dispensano con un mestolo il nuovo vino ai partecipanti al rito detti baccanti per le danze sfrenate a cui davano successivamente luogo sotto l'effetto del vino bevuto facendioli di conseguebnza entrare in contatto diretto con la divinità.
In tali riti la veste interna si trasmutava nel vino e diventava simbolo della disponibilità del dio considerato elemento fondamentale della natura che presiede alla generazione ed al potere generativo della vita.

Ritornando alla statua del giovane di Mozia non si può fare a meno di notare la caratteristica foggia in cui sono stati disposti i capelli detta a lumachelle o a coccinelle in una o più file o talvolta estesa a tutta a testa. Questo è anche un elemento caratteristico del periodo severo greco tipico in tutta l'area di influenza greca e che non si è riscontrato invece nell'arte fenicia e di ciò si hanno diversi riscontri sia in statue come il giovane di Piombino esposto al Louvre di Parigi, che su rilievi votivi relativi ad atleti greci che su riproduzioni sui templi greci ed ancora con la testa di una metrope selinuntina con la quale si può riscontrare una notevole somiglianza.

Ulteriore elemento di confronto può essere considerata la raffinata plissettatura della veste realizzata in altre statue anche con pieghe disposte su piani successivi e ricadenti verso il basso che si ritrovano anche in altre sculture raffiguranti Dioniso, Demetra e MInerva riscontrate su vari reperti. Essa fu adottate prima a Selinunte e solo successivamente si estese ad altre aree di influenza greca come si può evincere da alcune delle diapositive proittate a prova di quanto asserito dal Prof. Camporeale e come documentato dall'abbigliamento di alcune metrope molto più recenti di quelle di Selinunte comprese quelle del Partenone di Atene affidate allo scalpello di Fidia.

Altro aspetto particolare ed anche unico nel senso che mai prima di allora si era riscontrato nella stora dell'arte antica ed in altre statue è la posa definita ad ancheggiamento in quanto il peso del corpo grava solo su una gamba irrigidita mentre l'altra viene mantenuta flessa. Tale posizione ha consentito all'artista di creare dei contrappunti fra le varie membra del corpo che ha consentito all'artista di creare un gioco sottile e raffinato della resa anatomica che attribuisce alla statua non solo una certa bellezza ma anche una morbidezza che per la prima volta in assoluto è stata sperimentata e riscontrata a Selinunte.

Questa evoluzione si può riscontrare anche in una serie di monete selinuntine. Nelle prime più arcaiche si vede di profilo il dio che quasi passeggiando si avvia verso l'altare per raccogliere con la mano sinistra le offerte dall'ara nonchè sollecitare anche un atteggiamento di adorazione al fine di concedere poi la sua benevolenza. Un piccolo corno sulla testa lo classsifica come dio delle acque, un virgulto vegetale come dio della vegetazione mentre sullo sfondo la figura di un toro ed una foglia di selino ne consentono senz'altro l'identificazione con Dioniso protettore della città.

Le successive monete tuttavia mettono ancora in evidenza un nuovo atteggiamento nel quale il mantello è in parte sostenuto dal braccio sinistro ma nuova è la posizione assunta che risulta essere molto simile a quella del giovane di Mozia cui si suppone si sia ispirato successivamente chi ha coniato le monete selinuntine più recenti.

Il prof. Casagrande è infine passato ad ipotizzare la località in cui poteva essere ubicata inizialmente la statua,  e come successivamente sia sta portata a Mozia ma chiaramente quanto detto in merito sono solo ipotesi che tuttavia trovano un riscontro obiettivo come detto successivamente.


















A Selinunte nella zona della gaggera si può constatare ancora la presenza di un basamento su cui poteva essere ubicato un dono votivo importante quale il gruppo dell'auriga realizzato in occasione della vittoria di una rinomata gara di corsa ed ivi posto in modo da poter essere osservato nella sua bellezza da qualsiasi direzione. I Cartaginesi quando assediarono e presero la città nel 407 a.c. ne distrussero i templi ed insieme i monumenti più importanti ed è anche presumibile, ma sono ovviamente ipotesi, che portarono con loro a Mozia la statua dell'auriga come segno e bottino di vittoria.

Nel 397 a.c. Dionisio a sua volta distrusse Mozia e presumibilmente anche il gruppo marmoreo. In previsione  di un suo ritorno l'anno dopo i Cartaginesi utlizzarono le rovine della città per creare dei terrapieni di difesa ed è possibile che fra gli sfabbricidi utilizzati per tale scopo furono utlizzati anche i resti della statua dell'auriga ritrovata solo successivamenre nel 1976.
 
Tutto ciò, ovviamente, sono solo ipotesi difficilmente verificabili. Tuttavia parte delle vicende potrebbero avere un reale riscontro sulla storia della statua in quanto fra i reperti ritrovati a Selinunte ed accuratamente catalogati ed elencati, il Prof. Camporeale ha individuato anche una coda di cavallo di accurata fattura e dello stesso marmo della statua del giovane di Mozia dotata di un perno di fissaggio ed avente dimensioni che proporzionalmente potrebbero essere compatibili con quelle del cavallo posto davanti al carro e che attualmente è custodita nei magazzini del Museo di Castelvetrano.

Sono quindi molteplici i punti di contatto fra Selinunte e Mozia evidenziati nella sua relazione dal Prof. Camporeale che ha documentato le sue osservazioni con la proiezione di una ricca e pertinente serie di diapositive.

Ha concluso infine che l'identificazione delle numerose statue di arte graca in Siciia da lui effettuate e la documentazione riportata a supporto degli studi dallo stesso effettuati gli consente anche di attribuire a Selinunte una autonomia di sviluppo ed una originalità che solo molto tempo dopo furono realizzati in Grecia.

Al termine della interessante e molto seguita relazione, il Prof. Valenti dopo aver ringraziato il Prof. Camporeale ha aperto il dibattito a cui hanno partecipato molti dei presenti in sala che hanno posto molte domande in merito ai diversi aspetti presentati dalla tematica della serata.



















A tutti l'oratore ha fornito ulteriori chiarimenti, delucidazioni e precisazioni ricordando che in tutte le epoche sono stati realizzati capolavori di grande e squisita fattura che quando scoperti non basta solamente descrivere ma anche bisogna capire capire cosa c'è dietro, interpretarne la simbologia ed in questa operazione è importante anche la valutazione e la conoscenza dell'aspetto e degli avvenimenti storici coevi alla realizzazione del manufatto.

Prima della chiusura della serata e dell'arrivederci a sabato 16 gennaio 2016 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma, Il Prof. Valenti, a nome dell'Associazione ed a ricordo della serata, ha donato al relatore il libro '' La scia dei tetraedri '' dell'Ing. Emilio Milana.
  





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