2011 - 02 - 12 : Il generale Corrao: un garibaldino sui generis - Prof. Salvatore Bongiorno











                   Un ritratto del generale Giovanni Corrao

 Il busto marmoreo del generale Giovanni Corrao alla villa Garibaldi di Palermo



Sabato 12 febbraio 2011 alle ore 18.00 nella Sala delle conferenze ' Antonio Buscaino ' dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese alla presenza di un folto numero di partecipanti che hanno gremito la sala il Prof. Salvatore Bongiorno ha svolto l'argomento previsto dal programma: ' Il generale Corrao: un garibaldino sui generis '.  

Il Presidente Prof. Valenti dopo la presentazione di rito ha dato la parola al relatore.
Si riporta di seguito una breve sintesi liberamente tratta da quanto egli ha con competenza chiaramente esposto.

La trattazione dell'argomento inizia dai moti di Palermo del settembre 1866 dove al grido Viva S. Rosalia, Viva Palermo, Viva il generale Corrao, la città si era rivoltata contro i Savoia a testimonianza di una unità dell'Italia attuata nel peggiore dei modi possibili. Il Generale era stato ammazzato a colpi di lupara 3 anni prima nel mese di agosto mentre in calesse ritornava dal suo podere verso casa. 
Il delitto rimase impunito e molti misteri sorsero intorno all'evento non ultimo quello della scomparsa dei fascicoli contenenti le informazioni della polizia ed il materiale istruttorio della magistratura legati all'avvenimento.

Giovanni Corrao nacque a Palermo il 17 novembre 1822 dove successivamente esercitò la professione di calafato. Nel 1948 il suo credo mazziziano e rivoluzionario lo spinge a lottare contro i Borboni, ma con il loro ritorno fugge per rifugiarsi a Malta da cui poco dopo rientra in Sicilia dove scoperto viene arrestato, confinato nel 1852 ad Ustica e dopo un tentativo di fuga rinchiuso nelle prigioni di Messina dove veniva guardato a vista.
Nel 1856, autorizzato a lasciare il Regno delle Due Sicilie, lo ritroviamo prima a Marsiglia, poi in Piemonte da cui viene successivamente espulso. Braccato da tutti ripara a Malta, ad Alessandria d'Egitto, ancora a Malta ed infine a Genova dove già si progetta l'impresa dei Mille.
Dopo essere sbarcato a Messina il 12 aprile insieme a Rosolino Pilo con lo scopo di attraversare la Sicilia e agitare gli animi contro i Borboni nell'imminente arrivo di Garibaldi, a S. Martino delle Scale deve lasciare l'amico morente per correre incontro a Garibaldi, già sbarcato a Marsala, e con lui combatte a Palermo ed a Milazzo dove per l'eroismo dimostrato viene promosso sul campo generale dall'Eroe dei due Mondi. 

E' con Garibaldi a Messina, nelle Calabrie, sul Volturno, a Napoli; a Teano vede svanire il sogno della nuova Repubblica con Roma che rimane al Papa e Garibaldi che si avvia verso Caprera senza titoli nè onori. A causa della cattiva luce goduta presso i Piemontesi, specialmente verso i cospiratori mazziniani, dopo lo scioglimento dei plotoni dei volontari garibaldini da parte del governo di Torino, viene arrulato nell'esercito degradato a Colonnello.
L'aver messo a disposizione la sua vita per una idea e la sua forte sicilianità non consentono al suo animo libero, repubblicano e democratico, di essere contemporaneamnte il Generale dei picciotti ed un qualsiasi colonnello dei Savoia, per cui lascia la divisa dell'esercito regolare e ritorna ad essere quello che era sempre stato: un rivoluzionario ed un semplice uomo del popolo. Ha capito che l'annessione senza condizioni all'Italia del regno delle Due Sicilie ha soffocato il pericolo delle trasformazioni sociali ed economiche che la dittatura garibaldina minacciava.

E' pronto però a rispondere alla chiamata di Garibaldi che tornato in Sicilia nell'agosto del 1862 tenta di rilanciare la rivolta nazionale che partendo da Catania con una armata raccogliticcia cerca di raggiungere Roma per liberarla dal Papa e dai Francesi ed accorre in suo aiuto con un gruppo di numerosi volontari raccolti in poco tempo. E' con Garibaldi quando il Generale è fermato ed è ferito dai Bersaglieri in Aspromonte e mentre Garibaldi viene arrestato egli riesce a fuggire. Solo dopo la liberazione dello stesso dalle galere sabaude, Corrao ritorna a Palermo con indosso una semolice camicia di lavoro.

A questo punto l'oratore evidenzia i vari fattori che hanno costituito le fondamenta di quella che ancora viene chiamata la questione meridionale:
- la nomina di funzionari piemontesi che non sono in grado di cogliere la realtà siciliana
- l'applicazione immediata di leggi da Torino a Palermo che non possono essere comprese o accettate in una Sicilia dalle tradizioni così differenti 
- l'aver sottratto al Sud ben 443,5 milioni di monete d'oro e d'argento a favore del nord
- le terre feudali non distribuite ai contadini ma messe all'asta per la disponibilità dei vecchi e nuovi ricchi con la cacciata degli stessi contadini che in passato ne avevano goduto l'usufrutto
- l'estensione alla Sicilia del sistema fiscale piemontese non sopportabile dall'economia dell'isola
- la legge sulla leva militare obbligatoria che prevedendo un servizio da otto a dieci anni distruggeva le famiglie e le privava del sostentamento prodotto dagli uomini. Conseguenza immediata di ciò fu a sua volta in una escalation successiva:
 1) la renitenza militare con la fuga dalle città dei giovavi e del loro rifugio nei boschi e sui monti dove diventano banditi, fuoriliegge, uomini di macchia o arruolati dalla mafia
 2) l'aumento della miseria che ha come ripercussione l'aumento generalizzato in qualsiasi zona del numero dei reati
 3) l'adozione da parte dello Stato di maniere forti per frontegiare una situazione che gli era sfuggita di mano con un periodo di governo militare aumentando nei siciliani la sensazione di essere sottoposti ad una dominazione straniera più gravosa di quella dei Borboni sotto i quali nel complesso non stavano poi così tanto male
4) una spietata lotta dei renitenti alla leva, detti genericamente briganti, con eccessi di vario tipo ma commessi tutti a discapito dei siciliani con la conseguenza di spingere la popolazione ad atti talvolta inconsulti.

E' in queste condizioni che il generale Corrao, reo dell'azione contro i piemontesi in Aspromonte comincia ad essere considerato dai funzionari sabaudi come una presenza pericolosa ed ingombrante ed inevitabilmente arrivano le insinuazioni, le infamie, i veleni che ovviamente sono infondate.

L'episodio dei pugnalatori avvenuto la sera del 1° ottobre 1862 e la cui inchiesta a nulla approdò offrì al Prefetto, al Questore ed ai comandanti militari  l'opportunità di adoperare il pugno di ferro nei confronti della popolazione che affamata era pronta a scendere in piazza. Il largo favore che nel 1860 aveva reso possibile la disfatta dei Borboni accogliendo trionfalmente i garibaldini si era trasformato in meno di tre anni in un malcontento che aveva raggiunto tutti gli strati della popolazione. Fra il 12 ed il 13 marzo 1863 si hanno numerosissimi arrsti e fra questi non manca Giovanni Corrao che finisce di nuovo in carcere da cui poi viene fatto uscire non essendo stata raggiunta nessuna prova fra l'episopio dei pugnalatori e gli arrestati che a vario titolo erano persone che avevano il coraggio di dire quello che pensavano dei piemontesi e gli scontenti del nuovo regime.

Il potere savoiardo è troppo preoccupato per ciò che Corrao potrà fare o dire il 29 agosto, primo anniversario dei fatti di Aspromonte. Corrao per il fascino che esercita sulle folle può costitire il peggior ostacolo al processo di compattamento dell'aristocrazia con la nascente borghesia mafiosa espressione del trasformismo dei ceti dominanti. Inoltre è sempre capace di infiammare folle di picciotti, un agitatore capace di arruolare ed organizzare squadre di combattenti e stringere accordi con comitati rivoluzionari per una sorta di dittatura senza parlamento per una costituente repubblicana. Corrao è un uomo che fa paura e che va isolato ed eliminato cosa che avviene puntualmente il 3 agosto 1863 per un colpo di lupara sparato da dietro un canneto.

Sul delitto, come già detto, non è stata fatta mai luce. Esso fu il primo delitto eccellente dell'Italia unita la cui origine appare inevitabilmente addebitabile ad una vera e propria coalizione di mandanti politici e mafiosi.

Palermo piange per il generale, per un uomo che si era battuto per il riscatto dei palermitani, che aveva creduto nella libertà e nel decollo economico della plebe.

Ora che è morto e dentro la bara non fa più paura Giovanni Corrao riceve tutti gli onori anche da un Governo che non lo teme più. La sua salma mummificata per volere dei familiari viene conservata nelle Catacombe dei Cappuccini da dove successivamente viene occultata da un frate suo compagno d'armi e d'avventura dietro un tramezzo per evitarne l'interramento per ordine del Municipio. La mummia verrà scoperta per caso durante i lavori di ristrutturazione e li rimarrà come attrazione per i visitatori delle Catacombe fino al 1960 quando in occasione delle celebrazioni del  centenario dell'unità d'Italia si hanno nuovi e celebrativi funerali visto che quelli religiosi a suo tempo gli erano stati negati. Il 21 maggio 1960 il cadavere del generale Corrao trova definitiva sistemazione nel Chiostro della Chiesa di S. Domenico, Pantheon riservato agli uomini illustri.

La conclusione ci porta a concludere che il generale Corrao fu ammazzato perchè ebbe il coraggio di dire che la Sicilia non aveva fatto la rivoluzione per passare da una tirannia all'altra.

Al termine della puntuale, documentata ed accurata esposizione del Prof. Bongiorno, si è aperto un interessante dibattito, alla conclusione del quale il prof. valenti ha consegnato al relatore il libro 
' Storia di Trapani ' di Mario Serraino. L'incontro si è concluso con le foto di rito.

 

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