2017 - 01 - 14: Prof. Giuseppe Camporeale - Il grande martirio di Selinunte
Sabato 14 gennaio 2017 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti si è tenuto il settimanale incontro previsto dal programma delle attività del XXXI Corso di cultura relativo all'anno 2017.
Aperti i lavori della serata, il Prof. Valenti, chiedendo scusa al relatore, Prof. Giuseppe Camporeale, ha effettuato le seguenti comunicazioni:
- L'appuntamento per raggiungere insieme con mezzo proprio il locale di Baglio Nuovo dove alle 13.00 si sarebbe tenuto il pranzo rustico è fissato alle ore 12.20 a Piazza Stazione ed alle 12.30 al Palazzo del bowling soprattuto per chi dovesse usufruire di un passaggio sull'auto di un altro partecipante;
- In relazione alla prossima escursione di un giorno a Palemo prevista per domenica 12 febbraio 2017 con partenza da Piazza Vittorio alle ore 08.00 chi intendesse parteciparvi dovrebbe effettuare la dovuta prenotazione comunicandolo al segretario Dott. D'Aleo versando anche un anticipo al fine di poter disporre per tempo la relativa organizzazione.
Ciò detto, è passato ad una breve presentazione del relatore della serata, Prof. Camporeale, già ben noto ai soci per aver per molti anni partecipato alle attività culturali del sodalizio e con il quale si sono di conseguenza instaurate relazioni non solo culturali ma anche amichevoli per cui lo stesso accetta sempre con piacere e di buon grado l'invito a relazionare che ogni anno l'Associazione gli rivolge.
S riporta di seguito una sintesi liberamente tratta da quanto detto nel corso della serata che è stato integrato dalla proiezione di una serie di diapositive relative ai vari documenti storici citati dal relatore e che di seguito si riportano per gentile concessione dello stesso.
Avendogli il Prof. Valenti ceduta la parola, il relatore ha ringraziato e rivolto un saluto ai presenti in sala ed è entrato subito in tema precisando che l'argomento della serata avrebbe riguardato un avvenimento poco noto verificatosi nel IV secolo d.c. e relativo al martirio avvenuto sotto Diocleziano di un numeroso gruppo di Selinuntini e che quanto avrebbe esposto non sarebbe stato proprio relativo a quanto allora avvenuto ma ad una sua ricerca iniziata in seguito a quanto riportato su di un martiriologio scritto nel 1576 da Francesco Maurolico, abate messinese, ed uomo di cultura dagli svariati interessi, direttore a quell'epoca di un centro di cultura antesignano della moderna università, scritto su spinta del papa del tempo al fine di aggiornare ed aggiungere ai vecchi i nuovi martiri.
In tale martirologio il Maurolico allegava la riproduzione a stampa di un manoscritto francese che riportava la notizia del martirio dei selinuntini da lui attribuito ad un primo vescovo campitonese ( primo non si sa se di nome o di una serie ), ma certamente si sapeva essere di Campitonia, città di cui tuttavia restava ignota la localizzazione.
Tutti gli intellettuali posteriori, fra cui Ottavio Caietano nella sua '' Vita dei santi siciliani '' del 1605, accettarono quanto detto dal Maurolico senza porsi domande e quindi senza considerare le circostanze e le motivazioni. Il sacrificio dei 400 martiri selinuntini fu fra l'altro uno dei più numerosi prima della fine delle persecuzioni dei cristiani.
A partire dal 700 tuttavia cominciò a nascere in merito qualche dubbio che divenne poi discussione nell'800 e nel 900 per essere poi di recente definito in modo antistorico e arbitrario pura e mera leggenda .
L'arbitrarietà di questa affermazione ha fatto nascere nel Prof. Camporeale l'impegno di dimostrare la fondatezza dell'informazione per cui decise di effettuare sull'argomento studi più approfonditi che lo hanno portato ad un anno di intenso lavoro di consultazione non solo storica ma anche archeologica in quel di Selinunte riuscendo brillantemente e non senza difficoltà a dimostrare la veridicità di quanto detto dal Maurolico e nel contempo dare in tal modo un significativo e personale contributo all' Anno della Misercordia indetto da Papa Francesco.
Partendo da quanto prima premesso, ha ulteriormente ritrovato notizie in merito nei '' Panegirici sacri '' del capuccino Felice Brandimarte da Castelvetrano, finito poi successivamente all'indice dei libri proibiti per vari motivi, anche politici, e nell'opera di raccolta di reliquie di vari santi effettuata da Padre Arnaldo da Brescia, anche lui nativo di Castelvetrano e divenuto generale dell'ordine dei Francescani in Sicilia, e successivamente raccolte in una solenne e grandiosa macchina lignea barocca a supplire quelle dei 400 martiri selinuntini, dei quali non si conosceva il luogo di sepoltura, ubicata nel nuovo convento dei Capuccini fatto costruire nel 1629 da G. Tagliavia che venne considerata per la città un grande trionfo della fede.
Francesco Aprile, gesuita, riprendendo la notizia dei 400 martiri pose
l'affermazione di considerare il loro martirio come un lavacro spirituale della Sicilia liberandola dal peccato in considerazione del fatto che per lungo tempo essa fu sede di una lunga idolatria e paganità intensamente vissuta proponendone addirittura la canonizzazione incontrando in ciò una forte resistenza non solo nel papato ma anche in terra di Sicilia.
Si oppose fermamente a ciò, mettendo in dubbio l'affermazione del Maurolico relativa a quanto affermato dal primo vescovo campitanese, pubblicando la '' Storia ecclesiastica di Sicilia '', monsignor Giovanni Di Giovanni, domenicano, vescovo di Monreale, nonchè Domenico Lancia di Brolo, suo successore, benedettino, che proseguì postuma la pubblicazione dell'opera prima citata con il titolo '' Storia della Chiesa in Sicilia '' tramite Padre Salvatore Lanza, aggiornandola fino ai suoi tempi. Egli non affrontò la polemica ma ignorò la problematica non parlandone affatto.
In realtà il Di Giovanni non aveva alcuna idea su chi fosse il primo vescovo campitanese, ma attaccò lo stesso quanto riportato per screditare l'ordine dei Gesuiti cui appartenevano sia il Caietano che l'Aprile, a causa delle lotte intestine fra i due ordini, sulla veridicità di quanto affermato.
Anche Giuseppe Pitrè, nella sua opera '' Spettacoli e feste popolari siciliane '' recuperò la notizia ricordando la processionee del 1728 avvenuta a Mazara nel corso della quale le reliquie di alcuni martiri cristiani furono esposte in varie zone della città per rivivere la loro passione. Si deve quindi a lui, fondatore della Etnografia, se la tradizione di ricordare i martiri cristiani rimase alla ribalta.
L'archeologo Antonino Salinas, nominato direttore degli scavi a Selinunte, nel loro corso, ad una analisi più attenta, si rese conto del ritrovamento di testimonianze di tipo cristiane e non essendo uno storico ecclesiastico e quindi non avendo gli strumenti culturali adeguati ad una loro corretta interpretazione, si rivolse all'archeologo romano Giovan Battista De Rossi, iniziatore ed organizzatore dell'archeologia cristiana in senso moderno, perchè ne facesse un'analisi. Lo stesso studiò i reperti rinvenuti incentivando la prosecuzione della ricerca.
Sul problematica ne scrissero successivamente Mariano Ermellini sulla pubblicazione '' Antichi cimiteri cristiani di Roma e d'Italia '' che era favorevole ad ampliare le ricerche per costruire un quadro storico credibile della realtà cristiana a Selinunte e, in un saggio particolarmente documentato e riportato su una pubblicazione dell'Archivio Storico Siciliano, V. Strazzulla che sollecitava a condurre ricerche più approfondite sui 400 martiri in quanto fino ad allora si era operato in modo da dare maggiore importanza a tutto ciò che riguardava le vestigia greche trascurando tutto il resto.
Nel 1909 G.B. Ferrigno, in una sua monografia intitolata '' Castelvetrano '' oltre a dare notizia sul martirio dei 400 cristiani di Selinunte riportava una raccolta di preziose notizie locali e citava, senza darle il giusto peso e la giusta interpretazione, la fonte in cui trovare la risposta alla veridicità di tutta la problematica.
L'anno dopo, nel 1910, Jean Hulot, architetto disegnatore, e Gustave Fougeres, professore erudito della Sorbona, pubblicavano un volumetto intitolato '' Selinunte '' che a tuttoggi costituisce, anche se datato, la migliore pubblicazione su Selinunte.
L'Hulot, per sua formazione ideologica, tendeva in ogni caso a sminuire i casi di martirio ed il numero dei martiri del cristianesimo e senza ulteriormente indagare ed effettuare alcuna ricerca in merito definì la problematica selinuntina una pia leggenda.
A questa posizione si accodò successivamente Biagio Pace autore dell'opera in più volumi '' Arte e civiltà nella Sicilia antica '' che pur disponendo di una grande quantità di elementi, non essendo in possesso di un metodo sistematico di analizzarli, si limitò a dare dei giudizi personali o a ripetere quanto detto dagli altri.
La questione fra coloro che ritenevano la notizia una leggenda e coloro che invece la ritenevano veridica si protasse per molti anni e su varie pubblicazioni variamente intitolate ( Selinunte, Paesi di Sicilia, Paesi della Valle del Belice, Selinunte cristiana - I martiri selinuntini, Le rotte dei misteri, ecc.)
Nei primi anni del 2000, prima della fine del suo mandato ecclesiatico avvenuto nel 2002, il vescovo di Mazara Emanuele Catarinicchia dette incarico all'allora sacerdote Giuseppe Noto di approfondire sulla base dei documenti venuti alla luce nel frattempo la problematica relativa ad una Selinunte cristiana, ma anche lui commise lo stesso errore del Salinas in quanto delegò lo studio e l'approfondimento della documentazione trovata ad altri studiosi.
L'anno dopo lo stesso vescovo indisse a Mazara un congresso internazionale di studi su S. Vito ed il suo culto ed anche in quella sede alcuni illustri partecipanti definirono la questione dei martiri selinuntini pia leggenda e da qui, come detto prima, l'impegno dell'oratore per dimostrarne la veridicità.
Il primo quesito da risolvere fu: '' Chi era questo primo vescovo campitonese? ''.
Campitonese è ovviamente un aggettivo derivante dal latino campitonensis che a sua volta deriva da Campidonum che era una località di cui si sono ritrovate solo due citazioni: una di sfuggita fatta da Giulio Cesare ed una fatta quattro secoli dopo dalla storico romano Ammino Morellino.
Dove si trovava ed oggi a quale città della Borgogna, regione della Francia, corrisponde? Essa è l'attuale Chalon sur Saone, città francese sul fiume Saone.
Risolto questo primo quesito all'apparenza semplice il Prof. Camporeale si è domandato:'' Chi era vescovo in questa città nel 1459 cui si faceva riferimento nel manoscritto originale francese? Che personalità aveva? ''. A tal fine e per tale motivo si recò appositamente recato in Francia.
In Francia esiste un libro dal titolo '' Gallia Christiana '' in cui sono riportati Diocesi per Diocesi ad iniziare dallo loro fondazione tutti i vescovi che si sono succeduti al loro governo. Nel 1459, data della pubblicazione del manoscritto, il relatore trovò che il vescovo era un certo Jean Germain che si era laureato con merito presso l'Università di Parigi e che per la sua bravura era stato chiamato alla corte di Filippo il Buono Duca di Borgogna.
Egli era l'autore del manoscritto originale in latino pubblicato però con il titolo originale di '' Mappamundum spiritualis '' con cui intendeva onorare la diffusione della Chiesa nel mondo attraverso i suoi martiri fondandosi tuttavia su fonti che oggi non è dato conoscere.
Lo si ritrova infatti, vestito di rosso alle spalle di Filippo il Buono intento a ricevere l'omaggio di un libro da parte di un altro scrittore. Filippo il Buono era un personaggio di grande rilievo che amava circondarsi di persone di cultura e fondatore dell'Ordine del Toson d'oro in occasione del suo matrimonio con Isabella di Portogallo e di cui facevano parte molti dei personaggi più illustri del tempo. Jean Germain godeva tanto della fiducia del Duca che fu nominato cancelliere dello stesso ordine. Anche il papato aveva stima di lui e quindi papa Eugenio IV lo chiamò nella fase preparatoria del Concilio di Basilea ed intervendo come rappresentante del Duca di Borgogna riscosse grande successo.
Curò anche l'educazione di Carlo il Temerario, figlio di Filippo il Buono, che vagheggiò di ricostruire un nuovo ordine che poggiasse su presupposti diversi dalla feudalità e che per questa sua idea politica si scontrò anche con Luigi XI di Francia.
Intuì per primo il pericolo rappresentato dai Turchi che nel 1453 conquistarono Costantinopoli con il sultano Maometto II. A tal proposito vagheggiò una crociata coinvolgendo nel progetto, che poi non fu realizzato, anche il Duca e molti altri nobili del tempo.
Filippo il Buono diede anche ospitalità per più di 5 anni a colui che sarebbe diventato poi, alla morte del padre, Luigi XI cacciato dallo stesso aiutandolo ancora a rientrare a Parigi perchè inviso anche alla popolazione. Lo stesso tuttavia, una volta salito sul tronò, si riappropriò delle terre che il padre aveva concesso dopo la pace di Arrais del 1435 dimostrandosi ingrato per quanto invece era stato fatto nei suoi confronti.
Il Prof. Camporeale ha anche accennato all'opera svolta da Filippo il Buono per mettere fine in Borgogna alla caccia alle streghe praticata in quel tempo in vari paesi. Infatti chi era considerato, anche per caratteristiche somatiche tale, veniva dal popolo impiccato o mandato al rogo in quanto ritenuto colpevole della diffusione di carestie o pestilenze che il quel periodo sovente si verificavano.
Il relatore inoltre per quanto si verificava in quel periodo nei Paesi Bassi ( rinascita culturale, delle arti, opere idrauliche di canalizzazione, ecc. ) li ha considerati il luogo in cui ebbe formalmente inizio il rinascimento che poi attraverso la Germania arrivò in Italia dove trovò la sua più alta espressione.
Nella sua esposizone l'oratore ha riferito ancora una serie di interessanti notizie ricavate dalle sue ricerche su Carlo il Temerario nonchè sul vescovo Jean Germain pure mensionato dal cardinale Prospero Lambertini, divenuto poi Benedetto XIV, nella sua opera relativa ai principi sulla canonizzazione dei santi ed è riuscito a trovare un quadro dell'epoca in cui Jean Germain è riportato nell'atto di consegnare al Duca di Borgogna la sua opera
'' Mappamundum spiritualis ''come si potrebbe dedurre dal disegno riportato sulla copertina del tomo.
Il Conte Monaldo Leopardi, padre dell'altrettanto illustre figlio Giacomo, in un suo articolo sulla Sacra Casa di Loreto riportato sulla rivista '' Cattolico '' menzionava pure Jean Germain vescovo campitonese ipotizzando che nel riporto a stampa dell'opera originaria manoscritta in latino lo stesso stampatore abbia confuso la J, iniziale del nome di Jean, come il numero uno da cui poi come conseguenza la denominazione errata di primo vescovo campitonese.
Il Prof. Camporeale è quindi passato ad illustrare le testimonianze archeologiche sulla base delle quali è legittimo ritenere l'esistenza di una Selinunte cristiana.
Il primo reperto ritrovato a circa 1 Km dei templi orientali di Selinunte dal Canonino Viviani fu una lapide funeraria del diacono Ausanio. I diaconi non operavano autonomamente ma erano ausiliari al servizio di un vescovo la cui esistenza presupponeva quindi la presenza di un numeroso gruppo di cristiani.
Un'altra testimonianza fu quella che può risalire al Conte Hernandez, collezionista di antichità, che venne in possesso di un anello d'oro, riportante la scritta '' ANANIA '', che fu ritrovato nella zona della necropoli greca di Galera risalente al VI secolo a.c. lungo una via di uscita da Selinunte.
Entrambi i ritrovamenti furono segnalati al Salinas che non avendo adeguate conoscenze storiche le inviò a sua volta all'archeologo De Rossi di Roma.
In relazione all'anello il De Rossi disse che si trattava senz'altro di un anello episcopale e per spiegare il ritrovamento in una necropoli greca si ipotizzò che esso fosse stato buttato dal vescovo in fuga da Selinunte per sfuggire alla cattura sfilandoselo dal dito.
Un altro documento straordinario fu il ritrovamento di una lucerna tridicna all'interno di un caseggiato cristiano distrutto e sepolto dalla caduta dei massi del tempio C. Essa attorno al nomogramma di Cristo riportava la scritta '' DEOGRAZIAS '' poggiata su di un serto poco appariscente. Le terminazioni esterne erano a forma di ghianda collegate da un motivo ornamentale; nella parte anteriore ed in basso vi era un unico serbatoio per l'olio che alimentava contemporaneamente tre lucignoli. Per il suo aspetto era ed è un unicum in nessun altro caso e località rinvenuto.
Ma qual'era il suo intimo significato, cosa voleva rappresentare? Diversi e disparati i tentativi di dare una spiegazione alla forma ed a quanto riportato da questa lucerna che alimentava comtemporaneamente da un solo serbatoio di olio tre fiammelle ed unica nel suo genere.
Non certo quella relativa alla scritta '' DEOGRAZIAS '' in contrapposizione all'altra '' DEOLAUDES '' e nemmeno quella che identificava le tre fiammelle nella Trinità, unico principio che dà luce a tre identità identiche che illuninavano contemporaneamente il nomogramma di Cristo che a sua volta illuminava la scritta '' DEOGRAZIAS '' giacente su un serto di gloria per cui della gloria di Cristo fa parte anche deograzias capace di dare frutti di grazia con la sua santità.
La spiegazione più plausibile a cui il Prof. Camporeale è pervenuto con le sue ricerche è quella, come dallo stesso riferito, è che DEOGRAzias era il nome di un vescovo cartaginese che all'atto della sua elezione da parte dei fedeli, come allora avveniva, rispose '' Quod ut Deus '' ovvero '' Ciò che vuole Dio ''. Era un personaggio così pio e santo cha allorquando i Vandali provenienti da Roma con un gran numero di prigionieri considerati schiavi vendette tutto ciò che era di sua proprietà e della chiesa che governava per assisterli estendendo questa sua opera anche ai cristiani del luogo. Per questa sua opera tutti gli furono profondamente riconoscenti e grati fino a quando egli visse.
Fu allora molto probabile e plausibile che quando per vari motivi un gruppo di cristiani si trasferì a Selinunte lasciando l'Africa essi abbiano voluto ricordare il loro vescovo DEOGRAZIAS costruendo tale lucerna che veniva accesa la sera dopo il tramonto del sole per illuminare la casa durante le preghiere rivolte alla Trinità.
Altre testimonianze in merito all'esistenza di una Selinunte cristiana furono:
- Il rinvenimento di croci di tipo latino;
- il rinvenimento di una edicola fatto personalmente dall'oratore, in cui è rappresentato Cristo crocifisso sul mondo a rappresentare il suo trionfo su di esso, certamente di epoca post-costantiniana, che stabilisce senza ombra di dubbio la presenza di cristiani a Selinunte;
- il rinvenimento ancora alla Gaggera di numerose lucerne riportanti simboli cristiani;
- il rinvenimento nell'800 nel corso dei lavori per la costruzione della ferrovia a Campobello di Mazara di un piccolo tesoro di monete d'oro e di collane ornate dalla croce senz'altro di origine bizantina per la loro fattura;
- il rinvenimento di croci bizantine scolpite su blocchi di architravi cadute e ciò anche a conferma di una tradizione cristiana prima legata alla tradizione latino - romana e successivamente per un certo periodo a quella bizantina
- il rinvenimento vicino alla foce del fiume Modione di una vasca battesimale unica per le sue forme e su cui il relatore si è intrattenuto al fine di illustrarne il simbolismo.
Si presume che il cristianesimo a Selinunte sia finito con l'arrivo degli arabi quando i cristiani furono costretti a fuggire.
La prova certa di tutta la problematica con precisi riferimenti circa l'esistenza dei martiri selinuntini sono riportati in un libro dal titolo '' Platea della città di Castelvetrano '' scritto da un certo abbate Noto per conto del Principe Diego Tagliavia Aragona che voleva avere un ragguaglio sulla città.
L'abbate Noto era uomo di vasta cultura e la seconda autorità della Collegiata di S. Pietro istituita a Castelvetrano per volontà di una nipote di Cortes, il conquistatore spagnolo, che aveva sposato un Pignatelli ed alla quale lo zio aveva inculcato l'orgoglio della famiglia di appartenenza.
Era una donna energica, decisa e risoluta perchè mentre il marito era nelle Fiandre al seguito di Carlo V, in seguito ad una rivolta popolare fece prendere i capi, li fece impiccare e dopo averli fatti decollare fece trascinare i loro corpi per le vie della città.
Resasi conto di avere largamente ecceduto e temendo per l'incolumità dell'unica figlia rimastale, fondò una Collegiata di cui il Noto rivestiva la seconda cerica.
A pagina 49 della succitata Platea il Noto riporta che Castelvetrano era una città nobilissima per vari motivi ma soprattutto perchè pochi giorni prima era stata rinvenuta nell'orto di un certo Rubini una pietra circolare con la scritta '' Martiris Cristi '' che provava quindi l'esistenza del martirio di un certo numero di cristiani.
In seguito tale pietra era venuta in possesso di un certo Padre Scannariato del Santo Ufficio che la teneva in gran conto sia come reperto archeologico sia per quanto su diessa era inciso. Tuttavia venuto a Castelvetrano, come faceva tutti gli anni, in compagnia del Conte di S. Stefano, vicerè di Sicilia, che veniva per la caccia, costui vedendo il reperto lo volle per se portandoselo dietro con la conseguenza che di esso se ne nperse ogni tracciala per cui oggi non si sa dove si trovi.
Ha infine accennato ad un '' Manoscritto di Anfidone '' di autore ignoto e così denominato per il nome dei loro possessori che non erano di Castelvetrano ma del nord. Esso oggi si trova nella Biblioteca di Castelvetrano dove il relatore ha potuto consultarlo.
In merito alla '' Platea '' del Noto la studiosa Rossella Cancila ne ha curato una trascrizione con il fine di rendere più facile la sua consultazione ed il suo studio.
Il Prof. Camporeale ha quindi concluso ringraziando i presenti per l'attenzione prestata durante la sua esposizione ed affermando che ancora la sua ricerca non è ad oggi terminata in quanto prossimo obiettivo è il ritrovamento della pietra circolare sovrana testimonianza del martirio dei cristiani selinuntini e si è augurato che nella zona in cui è stato ritrovata la vasca battesimale possano essere in futuro eseguite ulteriori ricerche per il probabile ritrovamento della basilica a cui il battistero certamente apparteneva.
All'interessante relazione ha fatto seguito un dibattito che ha visto la partecipazione di molti dei presenti che hanno posto vari quesiti ai quali il Prof. Camporeale ha risposto esaurientemente.
Al termine di esso, prima dei saluti e prima di ricoradare ai presenti il prossimo evento fissato per sabato 21 gennaio 2017 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione, il Prof. Valenti, ringraziandolo, ha offerto al relatore, a nome dell'Associazione, una copia del libro di E. Milana '' 33 Cunti ''.