2011 - 11 - 26 : Il couscous nella tradizione mediterranea - Dott. Elio D'Amico

Sabato 26 novembre 2011 alle ore 18.15 nella sala delle riunioni ' Antonio Buscaino ' dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani, via Vespri 32, alla presenza di numerosi soci e simpatizzanti ha avuto luogo l'incontro con il Dott. Elio D'Amico sul tema previsto in calendario.

L'ospite, non nuovo alle attività culturali dell'Associazione, avendo più volte negli anni precedenti svolto interessanti relazioni, è stato accolto dal Prof. Valenti, Presidente dell'Associazione, che dopo una breve presentazione gli ha ceduto la parola.

Il Dott. D'Amico  ha iniziato ringraziando i presenti per la partecipazione ed esprimendo il piacere di essere ancora una volta invitato nell'ambito delle attività culturali dell'Associazione ad un incontro annuale che ormai è diventato una abitudine, ha iniziato a trattare il tema della serata il cui contenuto, per gentile concessione del relatore, si riporta integralmente di seguito.



Introduzione
Nella storia del'uomo, vi è la macrostoria, quella che comprende i grandi avvenimenti che hanno condizionato i destini dei popoli; e c’è lamicrostoria, la cronaca, quella fatta da piccoli avvenimenti che sembrano non avere alcuna incidenza sociale, ma che, in realtà, spesso rappresentano le caratteristiche più genuine di un popolo.
La cucina è sicuramente uno degli elementi più qualificati di questa microstoria; poiché la cucina non è soltanto Parte del mangiare Irene,ma soprattutto espressione di creatività, tradizioni sociali e culturali, insomma il ritratto di un popolo nel suo tempo.
Vi sono poi alcune pietanze che sono il simbolo stesso di una razza; basta ricordare la pizza e gli spaghetti con cui, all’estero, identificano noi Italiani, ed i wurstel ed i crauti con cui si identificano le genti germaniche.
E quando in tutto il mondo si pensa al Maghreb, alle popolazioni berbere del Nord Africa, ci viene in mente un solo nome: il couscous.
Mai pietanza è stata così rappresentativa di un popolo: in essa confluiscono leggende che si perdono nei millenni, ma anche storia scientificamente dimostrabile; mai piatto è stato in maniera così radicale espressione delle tradizioni più antiche di una civiltà.
In alcune regioni del Maghreb viene chiamato ta’am o anche aish - letteralmente “cibo” e “vita” - ed un medico marocchino del XVI secolo ha scritto che “chi non ha mangiato del couscous, anche se ha preso della carne e del pane” si sente come chi non avesse mangiato nulla.
Ma - così come gli spaghetti o la pizza - anche il couscous ha oltrepassato i confini naturali delle sue origini per divenire un piatto universale, che ha allargato la sua rappresentatività a tutto il bacino del Mediterraneo, ma senza mai perdere le sue radici.
Da qui la necessità non soltanto di esaminarne 1a sua storia, le sue leggende e le sue tradizioni, ma anche il suo impatto in Occidente; ed ancora la tecnica particolare con cui 1o si prepara, poiché essa ormai non è più una curiosità gastronomica, ma qualcosa che, chi ama la buona cucina, vuole e deve conoscere.
Per concludere con quelli che sono i vari modi di cucinare il couscous e le mille varianti derivanti dall'imbastardimento (o meglio, dalla regionalizzazione) di questo antico piatto, nonché come gustarlo.

Il mito e la Storia
Sembra che il nome couscous derivi dal greco coskinon, ossia semola ;  questa si presta ad una varietà infinita di piatti, da quello più semplice con lo smen ( un burro fermentato assieme al latte cagliato) a quelli più ricchi per le feste di matrimonio ed i ricevimenti.
La semola di grano è l'ingrediente principe di questo piatto dal nome esotico e musicale, e non poteva essere altrimenti, considerata la leggenda che ne è all'origine.
Il mito racconta, infatti, che il couscous nasca addirittura ai tempi di Re Salomone: si narra che il saggio Re d’lsraele, perdutamente innamorato della bellissima Regina di Saba, passasse le notti insonni pensando al suo irraggiungibile amore.
Il medico di Corte, vedendo che il suo Sovrano deperiva a vista d’occhio, interpellato dai fedeli cortigiani, gli preparò un sapiente impasto di semola di grano duro, insaporito ed irrobustito dalla
presenza di numerosi vegetali; il Re, ripreso vigore grazie a quel pasto, riprese forza e ricominciò a regnare e ad amministrare saggiamente la propria giustizia.
Ed alla fine impalmò pure 1a bellissima Regina.
Il couscous nasce, quindi, come il piatto di un Re, ed in esso compaiono due parole chiave che ne fanno un piatto con qualcosa in più: amore e pace.
Storicamente il couscous nasce tra la sabbia del deserto del Nord Africa,nel Maghreb, dove vivono i Berberi, o meglio gli Amazighen, ovvero gli 'Uomini Liberi', le cui origini e tradizioni si perdono nella notte dei tempi.
La loro agricoltura è basata soprattutto sulla coltivazione dei cereali: il frumento, ma soprattutto l'orzo, il miglio, il sorgo, e con questi preparano delle zuppette con acqua e latte, ma soprattutto il couscous che, secondo la lingua delle diverse tribù berbere, assume il nome di sekso, kskso, kuskus o kuski.
Nato come piatto locale, il couscous segue le sorti dei popoli arabi: diffuso inizialmente tra i deserti del Nord Africa a seguito della conquista degli Arabi, questi ne fanno il loro piatto nazionale; e con l'espansione islamica raggiunge i posti più lontani, infiltrandosi all'interno dell'Africa nera fino al Sudan, il Corno d’Afriea, il Senegal, la Costa d’Avorio; in Oriente, arriva fino all'Egitto, la Palestina, Israele e lo Yemen; mentre, ad Occidente, le montagne dell'Atlante, in Marocco.
E dal Nord Africa spicca il volo attraversando il Mediterraneo, per giungere in Sicilia e sulle coste spagnole, per poi estendersi fino alle coste francesi.
Lo sviluppo di un simile piatto non può, tuttavia, spiegarsi semplicemente con l'espansione militare dell'lslam; esso attecchisce tra tutte le popolazioni per svariati motivi: innanzitutto è un piatto povero; o meglio, la sua base di partenza è un piatto povero. Poi, da come esso viene condito, può divenire un piatto per pastori, da consumare sotto una tenda, o un piatto da Re.
Altro segreto del suo successo è il fatto che il couscous è in realtà solo un piatto-base (un po’ come per la pasta o il riso) che può essere impreziosito in qualsiasi modo, amalgamandosi così perfettamente con ogni tradizionale cucina locale.
Ogni paese lo prepara con gli ingredienti di cui la propria cucina è più ricca, così che esso diventa parte integrante delle tradizioni culinarie di quel paese, di quella città, senza tuttavia mai perdere le proprie caratteristiche originarie.

La tradizione - Dal grano alla semola
Precedentemente abbiamo paragonato il couscous alla pasta o alla pizza quale emblema nel mondo di un popolo, di una etnia; in realtà, mentre pasta e pizza rappresentano solo una specialità gastronomica del popolo italiano, il couscous è l'anima stessa del popolo berbero poichè. al di là dell'emblema gastronomico, esso rappresenta qualcosa di più intimo, di ancestrale, legato alle tradizioni religiose e conviviali; ciò lo si spiega con il significato mistico che questo piatto ancora ha nel mondo islamico.
Esso fa parte di un rito antico che parte molto prima della sua cottura e che si conclude con la sua degustazione; è un rito che dura quasi un anno, e che comincia con la nascita della vita, cioè con lo spuntare del grano.
Fin dal momento della sua mietitura, infatti, la donna berbera comincia - in pratica - a lavorare al suo couscous che soltanto tra qualche mese porterà in tavola.
La società maghrebina è ancora una società matriarcale: sono le donne ad organizzare la vita familiare e a prendere tutte le relative decisioni, mentre gli uomini si limitano ad approvare ciò che la donna ha deciso.
La prima scelta operata dalle donne sta nello stabilire quanto grano occorrerà mettere da parte per le necessità annuali della famiglia, quale tipo di grano scegliere, come conservarlo senza che vada a male; è una scelta importante che spesso la donna di casa decide di condividere con la madre o con le donne più anziane; ed è la prima occasione di confronto per commentare le scelte - e soprattutto gli errori - delle altre donne; è la società araba, che comincia a manifestarsi nella sua
componente comunitaria.
La scelta della quantità di grano da acquistare è un momento di grande difficoltà, in cui la brava donna di casa deve mostrare tutta la sua lungimiranza, poiché non deve accadere che il grano non risulti sufficiente o risulti sovrabbondante.
Nel valutare la quantità di grano da acquistare, la donna non piglia in esame soltanto il nucleo familiare del momento, ma lo deve guardare nella prospettiva di un anno, con tutti gli avvenimenti familiari che al suo interno potranno avere luogo.
Bisogna quindi prevedere i componenti che lasceranno la famiglia, e quelli che vi si aggiungeranno: un figlio potrebbe sposarsi e andarsene; ma pur sposato potrebbe rimanere nella famiglia e quindi aggiungere la sposa; e, perchè no ? potrebbe anche portare la suocera.
Bisogna considerare quanti parenti torneranno per l'estate; e fra questi se c'è stato qualcuno che è deceduto o se sono arrivati nuovi nipoti.
E mai dimenticare il possibile arrivo all'ultimo minuto di qualche ospite inatteso, per il quale la porta è sempre aperta ed il couscous sempre pronto.
Ed allora bisogna valutare con attenzione quanti sacchi di semola - o meglio, di grano - serviranno; ed in funzione di questa scelta, cominceranno a prepararsi le giare che conterranno il grano, a verificare se siano sane e soprattutto pulite.
Fatta questa scelta, il primo passo è al mercato settimanale; lì inizia il lungo rito della scelta del prodotto, che prevede sapienti - e nello stesso tempo lunghe e meticolose - palpazìoni ed annusature della semola per sceglierne la migliore.
E come è caratteristica dei paesi arabi - ma noi Siciliani non siamo da meno ! - comincia il lungo rito della trattativa sul prezzo, fatta di lunghi conciliaboli, di proposte e controproposte, di accordi di massima e di ripensamenti, fino a concludersi con una stretta di mano e l'apparente insoddisfazione di entrambi i contraenti, venditore e compratore.
Non sempre il pagamento avviene con il denaro corrente; nei villaggi berberi dell'interno si preferisce ancora pagare con pezzi d'argento: al posto del denaro vengono offerti bracciali e cavigliere che le donne berbere portano sempre addosso; ogni pezzo ha una punzonatura interna
che indica il peso, e quindi ne stabilisce il valore oggettivo. Vengono dati al posto del denaro contante o in pegno.
Una volta comprato il grano, lo si porta al mulino di fiducia per la macinatura, fino o grosso, secondo le preferenze della famiglia, anche perché le diverse qualità del couscous vengono utilizzate per piatti diversi.
A ciò segue la setacciatura della semola per dividere il grosso dal fine, recuperando anche lo spezzato, che servirà, in seguito, a preparare il burghol o il tabulè; questo è l'unico lavoro che viene affidato agli uomini.
Ma adesso, tra le lamentele delle donne più anziane, si opta per la semola già pronta, opportunamente dosata tra media e fine; si evita così il passaggio dal mulino, con relativo sgravio di tempi e di costi.
Il prodotto finito viene quindi trasferito sui tetti delle case, piatti come tutti quelli del Mediterraneo, che sono stati precedentemente accuratamente puliti: è lì che la semola verrà stesa ad asciugare al sole.

La preparazione
La preparazione o incoccìatura della semola è anch'essa parte integrante dei sacri riti tradizionali della gente berbera: anche questa operazione viene effettuata rispettando la tradizione islamica e con riti propiziatori che si perdono nella notte dei tempi.
In questa operazione, la padrona di casa si limita ad osservare e a coordinare le attività; tutto il lavoro viene svolto da alcune donne che, per la loro attività, hanno a che fare con il ciclo della vita: sono prefiche,levatrici o mammane.
Sono donne che conoscono la vita e la morte: ed a loro viene affidato il momento più delicato dell'operazione. Poiché il couscous è apportatore di baraka - la Grazia Divina - per purificare sé stessa, il luogo e l'intera operazione, la padrona di casa, prima che inizi la preparazione, deve pronunciare un'invocazione religiosa di propiziazione; e per lo stesso motivo, le donne che procedono allîncocciatura, durante taìe operazione non debbono né vedere, né sentire nulla che possa essere apportatore di malaugurio.
Verificate tutte queste condizioni essenziali, si può procedere all'operazione più delicata, che è quella della preparazione della semola; per tale operazione occorre un grande piatto basso e largo, solitamente di legno o di terracotta smaltato a pareti svasate, che nel linguaggio berbero si chiama gsa’a (oppure diefna o kesriyya), che viene utilizzato anche come piatto di portata; in Sicilia, smaltato con un bel verde siciliano, si chiama mafaradda.
Le donne, sedute per terra con la loro gsa’a davanti, vi versano due misure di semola, un bicchiere d'acqua, un grosso pizzico di sale e qualche volta piccole quantità di farina; in Ùccidente, dove il
couscous viene incocciato per essere subito consumato, si aggiunge qualche goccia di olio; nei paesi arabi, dove il couscous preparato viene conservato per essere consumato poi a distanza di tempo, l'olio non siene aggiunto poiché con il tempo finisce con l'irrancidire, alterando l'odore del grano.
Tutto adesso dipende dall'abilità della massaia: questa lavora la semola con le due mani, le dita leggermente aperte ed il palmo sollevato, facendo sempre lo stesso movimento circolare: questo movimento in arabo si chiama ftel, dal verbo fatala che in arabo significa 'intrecciare'; il movimento deve essere sempre nella stessa direzione, aggiungendo una misura di farina, finchè si giunge ai primi granelli di couscous.
La pazienza - è risaputo - è una delle virtù specifiche degli Arabi; e nel preparare il couscous la donna deve averne tanta, perché deve lavorare la semola fino ad ottenere delle palline piccolissime, che vengono riversate nel tamiz, un piatto fondo di vimini dove si procede alla setacciatura.
Tutto ciò avviene con un procedimento a catena: le donne, sedute in circolo, muovono con perizia i setacci, in maniera da separare i granelli secondo la loro grandezza.
I granelli troppo piccoli vengono rimandati indietro per farli diventare più grossi; gli altri passano ai successivi setacci di diverse dimensioni.
Si formano, così, dei granelli di diversa grandezza: i più grossi, dalle dimensioni di un grano di pepe, si chiamano m’hammas; più grosso ancora è il mazlouga, che si usa nelle minestre invernali e potrebbe essere simile alla fregola sarda o alle frascatole siciliane; quelli medi sono quelli utilizzati più frequentemente; i più piccoli (che Ibn Razin, meglio conosciuto come Al-Tudjibi, nel suo trattato di cucina medioevale ' Fadalat al-khiwan ' descrive dalle dimensioni della testa di
una formica) vengono utilizzati per la preparazione di couscous dolci.
Ma nemmeno in questa fase va dimenticato il profondo significato religioso che accompagna questa operazione: mentre le donne arrotondano la semola, setacciano o riciclano i granelli, vengono accompagnati da una sorta di colonna sonora continua.
A suonare è la tabla, un tamburo d’uso strettamente femminile, che viene usato dalla più abile delle donne, e che accompagna la hadra, una cantilena che aiuta le donne nei loro movimenti: in un certo qual modo lo si può paragonare alla Cialoma che scandisce il ritmo ai nostri tonnaroti.
Ma il couscous non è stato preparato per essere consumato all'istante: deve servire come riserva per tutto l'anno, e quindi adesso è l'ora di provvedere a tutte quelle precauzioni che ne consentiranno una igienica conservazione: la comparsa di muffe, larve o rancidume, oltre ad essere
un danno economico, è anche un cattivo presagio, poiché è indice della poca accortezza della padrona di casa.
Per conservare il couscous, questo deve essere asciugato sui soleggiati tetti delle bianche case mediterranee; ancora fumante, lo si stende su bianchi teli, affinché il sole asciughi fino all’ultima goccia di umidità.
Le terrazze debbono essere ben pulite, ma la tradizione vuole che se le lenzuola usate alla bisogna sono non lavate, esse conferirarmo al couscous doti medicamentose e proprietà risolutive nei casi di sterilità: noi abbiamo rispetto per le tradizioni berbere, ma preferiremmo l'igiene ed altri farmaci, magari meno suggestivi, ma più sperimentati.
Dopo almeno un giorno di essiccamento al caldo sole africano, il couscous è pronto per essere conservato: il sistema più comune è quello di metterlo in giare di terracotta ermeticamente chiuse, ma c’è chi usa infilarlo in sacchi appese alle travi, lontani dai topi.
Se il procedimento è stato fatto a regola d’arte, il couscous così conservato può durare anche parecchi mesi.
Alla fine della giornata, però, una parte del couscous prodotto viene consumato immediatamente, senza essere essiccato, per avere una prova immediata della qualità del lavoro: normalmente lo si prepara con il kaddid, carne che viene salata ed essiccata nel giorno della al del kebir, quando ogni famiglia mussulmana sacrifica un montone in ricordo del sacrificio scampato di Isacco.
Se la pietanza è saporita, allora sarà una giornata di festa; se il couscous avrà un brutto sapore, sarà una giornata nera per il tempo perduto, il denaro sprecato ed il cattivo presagio per i prossimi dodici mesi.
Qualunque sia l'esito, comunque a fine giornata le donne che hanno lavorato, e che non appartengono alla famiglia, saranno pagate; una parte viene liquidata in danaro, ed un’altra in natura, con quel couscous che esse - buono o cattivo « hanno preparato e che poi venderanno al mercato.

La cucina
Il couscous va cotto a vapore in una couscoussiera (è indispensabile comprarla nei paesi arabi o in Francia, poiché in Italia è di difficile reperibilità); questa è formata da una pentola (che in Marocco si chiama kedra ed in Tunisia makfoul), in cui si prepara un brodo fatto con la carne, o il pesce o semplicemente con le verdure, secondo la tradizione del luogo. Sopra di questa, vi è un'altra pentola forata sul fondo ' kaskas ' una volta di terracotta o di alfa intrecciata, adesso troppo
frequentemente in alluminio; in essa il couscous cuocerà a vapore.
Le due pentole - quella inferiore e quella superiore - vanno unite, per non disperdere vapore, con uno strofinaccio immerso in farina e acqua chiamato kfìla.
Prima di essere cotto, però il couscous va sistemato in un piatto largo e basso, dove viene cosparso di un bicchiere abbondante di acqua salata e lasciato riposare per 20 minuti, girandolo ogni tanto con le dita.
Quando il brodo della pentola inferiore - la marga - bolle, 50 minuti prima di servire, la semola viene versata nella pentola superiore, dove rimarrà a cuocere a vapore per 15 minuti, coperto da una pezza bagnata. Quindi lo si versa in un piatto largo e basso bagnandolo con un bicchiere
d’acqua fredda e rigirandolo per evitare che formi dei grumi; le donne arabe riescono a farlo con le mani, nonostante il couscous scotti.
Dopo averlo fatto riposare per 10 minuti, viene rimesso nella pentola superiore per una seconda cottura a vapore di circa 10 minuti; quindi lo si riversa nel piatto largo e basso e lo si lascia riposare per ancora 10 minuti.
Dopo un’altra breve cottura a vapore di non più 5 minuti, il couscous è pronto per essere servito in tavola.
Ma, mentre la semola e la sua preparazione sono uguali in tutta la regione, cambia spesso il condimento, in funzione della tradizione e delle spezie che esistono nel territorio.

In Marocco il condimento non è molto piccante ed è formato da un miscuglio di spezie dolci come la cannella o la paprika o il famoso ras al-hanut, che letteralmente significa 'il padrone della bottega', poiché, per tradizione, ogni venditore avrebbe la propria ricetta, che deve rimanere gelosamente segreta.
Tipico anche di questa regione è la combinazione di sapori salati e dolci, con l’uso di miele ed uvetta, anche con la carne; questi condimenti sono state per lo più importati dall’Andalusia mussulmana da dove, nel 1492, i Mori furono cacciati dalla regina Isabella la Cattolica, rifugiandosi nelle città di Fez e Marrakesh.
In Tunisia si preferisce il couscous con molto pomodoro e con l'harissa, una salsa piccante; in Algeria, invece, il couscous è più rustico e più semplice.
Il pranzo
Il couscous non è soltanto una pietanza: è un modo di essere, di vivere le tradizioni, le comuni fatiche; ma anche un modo di percepire assieme il soffio dello scirocco, il sole che brucia le case bianche; di intendere la comunità in cui si vive, di concepire la famiglia come ente unitario: ed il
couscous è la malta che cementa i singoli individui di qualsiasi comunità, che li fa sedere - assieme - attorno allo stesso tavolo e mangiare dallo stesso piatto.
In Tunisia si dice 'ne faremo un piatto per gli uomini e uno per le donne', non per sancire una divisione genetica, ma - al contrario - per ndicare che davanti al rito del couscous troveranno una naturale, pacifica soluzione ogni lite ed ogni divergenza.
Nei paesi del Maghreb, il couscous viene portato a tavola la sera: è una tradizione che nasce dal fatto che i nomadi facevano ritorno alla propria tenda soltanto la sera, quando finalmente si poteva consumare il pasto in comune con tutta la famiglia; era il momento più bello della giornata, l'unico in cui tutta la famiglia era riunita: e non c’era modo migliore per esprimere la gioia che mettersi tutti attorno ad un piatto di couscous.
Soltanto in Marocco il pasto principale viene consumato nel primo pomeriggio; per le comunità ebraiche di origine maghrebina, invece, il couscous è il piatto della festa, quello che si consuma il venerdì sera, primo pasto del Shabbat, il giorno di riposo settimanale, atteso nelle case e nelle famiglie con la stessa gioia con cui si riceve una sposa.
Il couscous viene servito in due piatti comuni: uno riservato alle donne ed uno agli uomini, per sottolineare il momento conviviale e comunitario del rito: è un piatto che ha una forte valenza sociale, e quindi si mangia solamente assieme all’intera famiglia e con chi da questa è accettato come suo componente.
E tra questi ci sono gli eventuali ospiti portati dai componenti della famiglia; nel mondo mussulmano, ogni ospite è sacro e va trattato come il più importante membro della famiglia.
Viene servito in un grande piatto rotondo, con la carne e le verdure al centro; il brodo viene portato in una ciotola a parte, così che ogni commensale può aggiungerlo a suo piacimento. Tutto viene poggiato su un tavolo basso e rotondo, con i commensali seduti a cerchio su un orbido cuscino.
Ovviamente sono banditi gli alcolici; ma i mussulmani accompagnano il couscous con del tè alla menta, bevuto in bicchieri e mai in tazze, oppure con l'iben, il latte fermentato.
Così come nelle antiche, cattoliche famiglie contadine il capofamiglia, prima di spezzare il pane lo benediceva col segno della Croce, invocando la benedizione di Dio, così in tutti i paesi dellîslam, prima di iniziare il pranzo è d’obbligo sussurrare il Biss’mì Allah (“In nome di Dio”), una
preghiera di benedizione della mensa.
Esaurito questo rito, ognuno comincia a mangiare dal proprio piatto: lo si mangia con le mani, e più precisamente con la mano destra, con la quale si prende un pezzetto di carne o di verdura e si forma una pallina con il couscous, aiutandosi non con una posata ma con del pane non lievitato.
Ma anche questo semplice movimento ha un suo rituale preciso: è indispensabile, infatti, mangiare con soli tre dita, poiché - secondo la tradizione coranica - con un dito mangia il diavolo, con due dita il Profeta e con cinque l'ingordo; ed a conferma del rispetto che bisogna portare agli altri, nell’attingere al piatto è assolutamente disdicevole oltrepassare lo spicchio di couscous che si ha dinanzi.
Abbiamo più volte detto che il couscous, più che una pietanza, è un piatto rituale; è obbligatorio, infatti, portarlo a tavola in tutte le cerimonie solenni, che vanno dalla beneficenza ai matrimoni, ai
funerali.
La sua valenza religiosa è confermato dal fatto che esso, spesso, viene offerto ai poveri in occasione della sadaqa, l'elemosina; inoltre esso è apportatore di baraka, la benevolenza divina, per ingraziarsi la quale la massaia pronuncia una litania beneaugurante durante la preparazione del piatto.
Inoltre è il piatto specifico del pranzo di mezzogiorno del Venerdì, il giorno della preghiera collettiva per tutti i Mussulmani; ed è anche il piatto delle occasioni speciali, come il sontuoso pranzo che saluta il ritorno dei pellegrini dalla Mecca.
Ovviamente non può mancare nelle grandi feste familiari, come i matrimoni; esso è soltanto uno dei piatti della diffa (quello che per noi è il banchetto nuziale) e generalmente viene servito per ultimo; in occasione dei funerali, invece costituisce piatto unico.
Il couscous e l'Occidente
Ma il couscous, ormai, ha abbondantemente varcato i confini del mondo mussulmano, diventando un piatto internazionale che si può trovare tanto nei ristoranti canadesi che in quelli australiani.
Sulle sponde del Mediterraneo, tuttavia, ha trovato un'allocazione quasi naturale, perdendo la caratteristica di piatto esotico per diventare un cibo che è parte integrante della tradizione gastronomica della regione.
Si dice, comunemente, che il couscous arriva sulla sponda nord del Mar Mediterraneo con l'invasione dei Mori che, tra l’800 e l'anno 1000, erano padroni assoluti delle sponde del bacino mediterraneo; a quanto pare, però, i confini dell'invasione gastronomica non coincidono con
quelli dell'învasione militare, per cui una teoria probabilmente più storicamente accettabile attribuisce alle comunità ìsraelitiche, ed al loro pellegrinare nel mondo, la diffusione di questa pietanza.
Qualunque sia la storia, a Trapani la leggenda dice che furono i pescatori trapanesi ad importare il couscous dalle coste della Tunisia e a dargli le caratteristiche tipiche del couscous trapanese; la tradizione orale dice infatti che i pescatori partivano per pescare le spugne in Tunisia, a Spakasi (che adesso corrisponde all'odiema Sfax). Mancando parecchi mesi dalla propria città, finivano con il familiarizzare con le popolazioni arabe, fino ad osservarne le abitudini e, ovviamente, la gastronomia.
Così scoprono quel piatto povero - il couscous - fatto semplicemente di semola, che i Tunisini - allora popolo di pastori nomadi - condivano con le verdure e la carne di montone, che avevano in abbondanza; tornati a Trapani insegnano alle proprie donne quel piatto economico ma saporito,
sostituendo il montone - decisamente introvabile nel territorio - con ciò di cui erano più ricchi, cioè il pesce.
Se questa sia la storia, sicuramente non lo sappiamo e non lo sapremo mai, ma a noi piace credere che i fatti si siano svolti realmente cosi.
Per secoli, tuttavia, rimane un piatto povero, limitato ai ceti popolari; il couscous diviene popolare fuori dai confini dell’Africa soltanto alla fine dell’ottocento, quando è scoperto da illustri viaggiatori, scrittori e gastronomi che lo descrivono e lo osannano di ritorno dai loro viaggi esotici.
Edmondo De Amicis ricorda il couscous come “piatto di principi e di popolo”, ovvero come un piatto destinato alla mensa della gente comune, ma nello stesso tempo degno di comparire nei banchetti del Gran Visir di Fez.
Il primo a codificarne la valenza gastronomica è il grande Pellegrino Artusi che nella sua pubblicazione 'Scienza in cucina e Parte del mangiar bene', con la variante del pesce al posto della carne di montone, lo inserisce tra i piatti della cucina italiana.
In Italia è ormai semplice trovare la farina da incocciare, cioè lavorare a mano, anche se risulta leggermente più grossa di quella originale tunisina; questo fa sì che il couscous sia diventato un cibo di ordinaria amministrazione, che viene non solamente preparato in casa per consumarlo in famiglia o servito nei ristoranti tipici, ma anche inserito nei catering di ordinaria amministrazione.
Recentemente è entrato perfino nelle mense scolastiche: a Milano viene servito - con la carne - per festeggiare il capodanno islamico, per ridare il sapore della propria terra ai bambini islamici e non far perdere loro le proprie radici culturali.
Nella Sicilia Occidentale - ed in particolare nella Provincia di Trapani - il couscous è parte integrante della cucina, ma soprattutto della cultura indigena: è qualcosa che qualsiasi massaia deve sapere fare, come la pasta fresca fatta a mano, le sfinge o le cassatele.
Qualunque posto di ristoro, dalla bettola al ristorante a cinque stelle, lo offre nel suo menù, ed ormai, per la tradizione occidentale, non rappresenta più il piatto delle grandi occasioni, ma una pietanza di ordinaria amministrazione.

Come, dove e quando
Ormai il couscous che si trova fuori dai confini tradizionali ha in comune con l’originale soltanto la fattura: tutti gli ingredienti sono frutto della fantasia del cuoco e dei prodotti tipici della regione.
La semola ha un sapore neutro, come la pasta ed il riso; non deve meravigliare, quindi, se in Australia troveremo del couscous condito con la carne di canguro o di struzzo o in Germania ci troveremo dentro dei pezzi di wurstel.
In epoca di world food e di news cousin, il couscous non poteva sfuggire alla globalizzazione dei sapori: può avere una connotazione negativa se ciò avviene come snaturamento di una identità etnica; ma può anche essere fattore positivo se questo può significare voglia di sperimentare nuovi cibi, di conoscere altre frontiere.
Quello che è certo è che adesso si aprono nuovi rizzonti, sia di carattere enogastronimico che nutrizionale: 100 g. di couscous, infatti, contengono circa 100 calorie, assieme a vitamina B e sali minerali.
Negli Stati Uniti il consumo di couscous sta crescendo a livello esponenziale, per essere un alimento a basso contenuto di grassi; e grazie alla fantasia e all'industrialità degli americani, negli USA è possibile comprare couscous precotto in sacchetti con pomidori secchi e parmigiano, e perfino i saporiti funghi giapponesi shitake.
Il ricercatore marocchino Abdeslam Belghazi Akhlaki ha brevettato un couscous a base di avena in grado di ridurre il rischio cardiaco, riducendo di circa il 12% sia il colesterolo che la glicemia.
Anche le vie della genetica alimentare sono infinite!
Se nel maghreb il couscous è già di per sè un cibo ricco, che da solo può costituire il piatto unico di un pranzo, se noi vogliamo bel figurare con i nostri ospiti possiamo accompagnarlo con un'insalata di pomidoro o diversi tipi di olive, oppure un'insalata più piccante di pomidoro e peperoni, insaporita con una spruzzata di peperoncino.
Alla fine del pranzo, lo chef consiglia un semplice piatto di arance sbucciate ed affettate, cosparse di cannella.
Il discorso diventa più difficile quando si deve decidere cosa bere con il couscous; la tradizione mussulmana , infatti, non ci viene incontro poichè dalla mensa dell'Islam è bandito ogni tipo di bevande alcoliche.
Tuttavia nazioni come Marocco, Algeria, Tunisia, producono vini, che potrebbero benissimo essere abbinati a questa pietanza: dai robusti vini algerini come Mescara o il Sidi Brahim a quelli tunisini come l' Haut Mornag, Sidi Rais e Koudjat, per finire con i vini rosè marocchini.
Tuttavia, considerata la difficoltà di reperirli fuori dai loro paesi d’origine, può andare bene qualsiasi altro vino locale, purché lo si abbini al condimento e non alla semola del couscous.
Alla fine del pranzo si può servire il tradizionale tè verde cinese alla menta arricchito, alla maniera tunisina, con qualche pinolo.
Ma il couscous è ormai diventato così parte integrante del territorio, che viene usato come veicolo promozionale per il turismo, promosso come un prodotto che fa parte della tradizione autoctona ed è quindi oggetto di sagre, fiere, convegni e feste che spesso raggiungono livelli internazionali.
Nel territorio trapanese di ampio richiamo, in quanto di respiro internazionale, è il 'Cous Cous Fest ' che si svolge a settembre a San Vito lo Capo, considerato unanimemente un punto di riferimento
internazionale per il couscous.
ll suo progetto culturale è mirato soprattutto alle nuove interpretazioni del piatto maghrebino in assonanza con quelli che sono i prodotti naturali del territorio (olio, vino), da cui è nata anche una scuola internazionale di cucina interamente finalizzata al couscous.
È un momento di festa e di allegria, ma soprattutto un momento di comunione dei popoli, con lo stand di Israele, Palestina, Marocco, Yemen, allineati uno a fianco a l’altro, in un abbraccio di fratellanza che a ben al di là dello scambio gastronomico.
Alla fine, sancito da illustri esperti di cucina, una nazione vince il premio per il migliore couscous dell’anno, e finora la parte del leone l’ha fatto la Tunisia.
Ma non è la competizione il vero significato del Festival di San Vito: è lo spirito di comunione tra i popoli che restituisce al couscous quel significato originale mistico e religioso che fa di questo piatto non soltanto l'emblema unificatore di popoli diversi, ma gli ridona il vero valore che il suo nome significa: 'Amore e Pace '.

Gli ingredienti
Nel couscous l'unico ingrediente costante è la semola; tutto il resto è una variante che cambia generalmente secondo i gusti gastronomici della regione.
Indubbiamente, in considerazione che i Berberi erano un paese nomade dedito per lo più alla pastorizia, gli elementi di partenza erano - per la facilità con cui reperirli - la carne di montone e le verdure; ma abbiamo già visto che le salse e i condimenti variano anche nel Maghrcb secondo
la regione.
Fuori dall'Africa, poi la fantasia si spreca, anche se la variante più frequente sembra la sostituzione della carne con il pesce: è sintomatico come al ' Cous Cous Fest ' di San Vito Lo Capo, più di una volta ha vinto un couscous che ha per base il pesce.
Poi intervengono i gusti personali, che fanno preferire il pesce grande o quello piccolo, o addirittura gamberi o crostacei.
Ma anche tra i couscous di carne possono intervenire scelte diverse: alla carne di montone c’è chi preferisce (anche per facilità di reperimento) la carne di pecora (la più vicina al gusto originale del montone), di pollo o quella di agnello.
Ciò che generalmente non mancano mai, sono le spezie (cardamonio, chiodi di garofano, cannella, paprika, noce moscata), le salsette più o meno piccanti (harissa, curry), il peperoncino, che servono a dare al piatto quel sapore piccante che è parte integrante di esso.
Un’ulteriore variante al couscous di pesce è il tabulè con tonno, tantissima menta fresca, pezzettini di pomodoro, olio e tantissimo limone, ottimo da servire freddo.
Ma esiste anche un couscous dolce, tipico della zona di Siracusa, in cui alla semola si unisce il cioccolato, i pistacchi, i canditi, la cannella.
Ma questa ricetta non deve meravigliare più di tanto se nel 2003 il Marocco ha vinto la manifestazione di San Vito con un couscous che tra i suoi ingredienti aveva pesche, mele, pere, fragole o ciliegie, albicocche, prugne, mandorle, noci e..... zucchero.
Insomma, possiamo davvero dire: ' Paese che vai, couscous che trovi '.   '



Al termine dell'esposizione, considerato il tema trattato, si sono avuti molti interventi specialmente da parte delle signore presenti sui vari modi di preparare il cous-cous e sul modo di condirlo.
Vi è stata anche la proposta di dedicare, nel calendario del prossimo anno, una serata al cous-cous
nel corso della quale si potrebbe realizzare una degustazione di tale pietanza che dovrebbe essere preparata, ognuna per proprio conto, dalle varie signore facenti parte dell'Associazione come viene fatto per la ' Cuccia ' nella ricorrenza di Santa Lucia.

Alla conclusione dell'interessante ed animato dibattito il Prof. Valenti ha fatto omaggio al Dott. D'Amico del testo ' Storia di Trapani ' di Mario Serraino; il Dott. D'Amico ha contraccambiato con due sue pubblicazioni che saranno conservate nella biblioteca dell'Associazione, intitolate rispettivamente: ' Il tonno ' e
' Il Couscous '.


L'incontro si è concluso con le fotografie di rito e con l'invito da parte del Presidente, per chi non l'avesse già fatto, a voler effettuare la prenotazione per la Conviviale di fine anno prevista per il 17 dicembre 2011 che si terrà presso l'Hotel Tirreno di Pizzolungo dopo l'incontro con il Prof. Filippo Burgarella.

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