2013 - 02 - 09 : Mons. Gaspare Gruppuso - Segni e simbologia dei luoghi liturgici

Sabato 9 febbraio 2013 alle ore 18.30 nella sala delle riunioni '' Antonio Buscaino '' dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 con la partecipazione di un gruppo molto numeroso di Soci si è svolto il tradizionale incontro settimanale.

Il relatore della serata, Mons. Gaspare Gruppuso, è stato accolto dal Presidente e dai presenti che gli hanno dato il loro caloroso benvenuto essendo l'ospite da molti conosciuto per la sua opera apostolica e per le sue attività svolte nell'ambito cittadino.

I lavori sono stati aperti dal Prof. Valenti che ha spiegato la presenza del prelato come la persona idonea che, nell'ambito di una cultura a 360 gradi, quale è quella che caratterizza i Corsi annuali dell'Associazione, potesse spiegare e dare una interpretazione a molti dei cambiamenti anche esteriori avvenuti nell'ambito della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano voluto dall'indimenticabile papa Giovanni XXIII.

Al termine della premessa e dopo una breve presentazione dell'oratore, il Presidente gli ha dato la parola.Mons. Gruppuso è laureato in Teologia con specializzazione in Bioetica, è docente di Teologia fondamentale e bioetica all'Istituto di Scienze Religiose  S. Alberto degli Abbati, è Parroco della Chiesa di Cristo re in Tra
pani, è Cappellano della Casa Circondariale di Trapani e Vicario Zonale per Trapani-Erice.

L'ospite ha iniziato la sua relazione ringraziando i presenti e l'Associazione per averlo voluto invitare all'incontro odierno e per avergli dato la possibilità di trattare taluni aspetti di un argomento di cui non sempre chi professa il Cristianesimo è a conoscenza del significato e  dei concetti teologici che ne sono alla base.

Si riporta integralamente una sintesi della relazione fattaci cortesemente pervenire da Mons. Gruppuso.

'' Simbologia, significato, teologia dei luoghi liturgici nel culto della chiesa cattolica

Per poter comprendere la simbologia, i segni e il significato dei luoghi liturgici cercheremo di capire dapprima la  teologia dell’edificio liturgico cristiano,  e poi daremo un rapido sguardo retrospettivo sulla sua storia. Questo per capire le linee  direttrici e criteri per l’attuale architettura liturgica e l’arredamento essenziale dello spazio del culto.

Che un edificio sacro non appartenga all’intima essenza del cristianesimo si può comprendere già dal fatto che i cristiani dei primi due secoli non disponevano di veri e propri luoghi di culto, Anche la storia della chiesa di epoche più tarde conosce per certi paesi la perdita - durata decenni o secoli - di tutti gli edifici liturgici senza che le comunità cristiane cessassero di esistere. D’altra parte le assemblee liturgiche vengono favorite in modo essenziale se ci sono spazi appositi, che con la loro disposizione e arredamento agevolano la proclamazione della parola di Dio e la celebrazione della liturgia, influenzando così positivamente la koinonìa (comunione) con Dio e dell’uno con l’altro.

1. Teologia dell’edificio liturgico cristiano

Gli scritti neotestamentari parlano frequentemente delle assemblee liturgiche, ma il luogo di raduno non viene mai designato come casa di Dio, santuario o magari tempio. Invece viene considerato come vero tempio della nuova Alleanza Cristo. Secondo Gv 2,13-22 egli designa se stesso come tempio. Ciò significa che da allora in poi il Signore glorificato sarà il luogo della presenza salvifica di Dio, e non più il tempio di pietra di Gerusalemme. «Ora non c’è più un luogo determinato del mondo come il solo luogo legittimo del culto di Dio. Piuttosto il culto a Dio viene reso dove è Cristo, e cioè in tutto il mondo» (1). Anche Gv 7,37 s. va interpretato in questo senso. Secondo Ap 21,22 l’”Agnello”, insieme con il Padre, è il tempio della città santa, non ce n’è un altro. Con la morte di Cristo il velo nel tempio di Gerusalemme si squarcia in due (Mt 27,51 e par) in ciò molti Padri vedono simboleggiata la fine del culto del tempio veterotestamentario e l’inizio di un nuovo ordinamento di salvezza. Attraverso la sua morte Cristo abbatte il muro di separazione tra ebrei e pagani (cfr. Ef 2,14) e costruisce così il tempio universale, che si apre a tutti i popoli e offre asilo e salvezza. Così si inizia con e in Cristo un nuovo culto e una nuova epoca della venerazione di Dio, nella quale lo si adora «in spirito e verità» (Gv 4,23 s.).

Poiché i credenti in Cristo formano il suo Corpo mistico e così abita in essi la gloria di Dio (cfr. Gv 14,23) è comprensibile che anche essi e la loro comunità vengano chiamati tempio del Dio Vivente (1 Cor 3,16 5.; cfr. anche 6,19; 2 Cor 6,16). Come nella figura del Corpo mistico i cristiani sono chiamati le membra, così nella figura del tempio essi sono chiamati pietre vive (1Pt 2,4.6; cfr. Ef 2,20-22). In questo tempio della comunità cristiana Cristo è il fondamento insostituibile o la pietra fondamentale dell’edificio di Dio (1 Cor 3,11), e insieme la chiave di volta grazie alla quale l’intero edificio è tenuto insieme (Ef 2,20). Con riferimento a Is 28,16 Cristo chiama se stesso pietra d’angolo (Mt 21,42, e par.; cfr. 1Pt 2,6-8).

Rispetto a ciò la casa dell’assemblea comunitaria ha un ruolo secondario; essa ha un carattere di servizio. Fin dagli inizi del cristianesimo si capisce che non un edificio santifica la comunità liturgica, ma il luogo dell’assemblea riceve onore e dignità dalla comunità e dalla liturgia che essa celebra. Ciò ha valore anche per quelle epoche più tardive, nelle quali sorgono edifici liturgici artistici, si forma un ricco rituale della dedicazione della chiesa e, verso il passaggio al secondo millennio, si cominciano a conservare nelle chiese le ostie consacrate.

Se si volesse vedere la dignità dell’edificio liturgico cristiano costituita solo dagli ultimi due sviluppi citati, allora si dovrebbe non riconoscerla alle chiese del primo millennio. Questa concezione è confermata dalle premesse al nuovo rito della dedicazione della chiesa (II, 27-28) e dalla raccomandazione dei PNMR di conservare l’eucaristia in una cappella distinta dalla chiesa (276).

2. Panorama storico

Mentre all’inizio le comunità cristiane si radunano nelle case dei loro membri (2) troviamo a partire dall’inizio del sec. III delle case di proprietà della comunità, che sono riservate alle assemblee liturgiche. La casa-chiesa di Dura Europos sull’Eufrate superiore ne offre un chiaro esempio (3). Con l’editto di tolleranza, emesso a Milano dall’imperatore Costantino nell’anno 313, sorgono numerose basiliche come sale a più navate con abside, le quali ricevono la loro destinazione con la prima eucaristia celebrata dal vescovo. Costruzioni a pianta centrale sorgono come ambienti di riunione su luoghi santi o su luoghi commemorativi particolarmente venerati (ad es. la chiesa del s. Sepolcro a Gerusalemme, le “memorie” dei martiri) e influenzano fortemente l’architettura liturgica bizantina con le sue cupole. L’architettura liturgica di Giustiniano cerca di unire insieme lo sviluppo longitudinale delle basiliche con la costruzione centrale a cupola. In Occidente la costruzione della basilica si evolve nello stile carolingio e degli Ottoni, dal quale si sviluppa il Romanico. Ad esso succede il Gotico, che nel tempo dal 1150 al 1500 ca diventa lo stile dominante dell’architettura liturgica . Ma già nel sec. XV ci sono in Italia tentativi di superare lo stile gotico. Si giunge allo stile del Rinascimento, tutto interessato all’Antichità, e le proporzioni armoniose secondo il modello dei templi antichi rappresentano l’istanza più importante. Alla fine del sec. XVI si fanno notare nuovi elementi formali, dai quali, verso il 1600, si sviluppa il Barocco, dapprima dominio degli architetti italiani finché alla fine del sec. XVII anche architetti del Nord erigono numerose chiese di monasteri, conventi e luoghi di pellegrinaggio, di singolare perfezione. L’ultimo perfezionamento o superamento del Barocco, verso la metà del sec. XVIII, è stato chiamato anche Rococò, ma sembra più raccomandabile la denominazione di tardobarocco. Nello stesso tempo si giunge, soprattutto in ambienti dell’illuminismo francese e inglese, in una sorta di oscillazione pendolare, all’estremo opposto. Si risveglia un nuovo entusiasmo per l’antichità e la sua «nobile semplicità e tacita grandezza». Il nuovo stile è chiamato Classicismo o anche Neoclassicismo. Nella prima metà del sec. XIX, in connessione con il Romanticismo sorge un nuovo entusiasmo per il Medioevo e i suoi stili, romanico e soprattutto gotico. Si arriva a una imitazione storicizzante, a uno Storicismo, che fino ai primi decenni del sec. XXviene caldamente raccomandato e favorito dalle autorità ecclesiastiche delle due grandi confessioni, cattolica e protestante. Uno stile moderno alla fine del sec. XIXè lo stile Liberty, che rivela nuovi impulsi. Il lento superamento dello Storicismo è preparato anche da nuovi materiali e tecniche costruttive, quali vengono scoperti e messi in atto nelle costruzioni profane ancora nel sec. XIX. Si giunge a un nuovo inizio nell’architettura liturgica, al quale generalizzando si dà il nome- di architettura liturgica moderna, senza voler comprendere con esso la molteplicità delle nuove forme architettoniche. In questa fase la nuova coscienza liturgica col suo cristocentrismo ha un ruolo essenziale.

3. Orientamenti e criteri per l’architettura liturgica

Dalla comprensione teologica, dalle esperienze della storia dell’architettura liturgica e dalle affermazioni conciliari e postconciliari emergono i seguenti orientamenti, ai quali bisogna riconoscere un valore permanente:

a) L’architettura liturgica deve tener conto della comunità

Il popolo di Dio è strutturato e consiste di clero e di laici; entrambi però, nello Spirito santo, sono uniti in un solo Corpo mistico. Questa unità della comunità di Cristo non deve essere oscurata, ma messa in luce dall’architettura liturgica. Così da un lato è giusto ed è prescritto di porre l’area dell’altare davanti alla comunità, d’altra parte la coesione dell’unica comunità, che si ritrova nell’azione liturgica, non può essere compromessa dal punto di vista spaziale. Ciò accadeva ad es. nel Medioevo (Romanico) con il pergamo (in Italia; in Germania, il lettorio e in Francia lo jubè) tra il presbiterio e la navata che divideva l’unico spazio in una zona dei ministri e una dei fedeli, condistinte liturgie. Anche l’iconostasi (parete ricoperta da immagini) dei riti orientali non può essere affatto considerata come ideale, tanto più che anche nella chiesa antica non ci fu mai una disciplina dell’arcano per i fedeli. Inadatte a manifestare l’unità del popolo di Dio sono anche grate del coro massicce ed elevate, presbiteri stretti e profondi, aree presbiterali alte e di tipo palcoscenico, di fronte alle quali i fedeli stanno come puri spettatori. Anche strette navate longitudinali, che fanno della comunità quasi una colonna in marcia e che talvolta sono state raccomandate come «chiese del cammino» (R. Schwarz), mettono in ombra il fatto che la comunità nel suo pellegrinaggio si è radunata per una celebrazione conviviale attorno al suo Signore.

b) Lo spazio liturgico deve tener conto della liturgia 

Riguardo alle azioni liturgiche esso deve essere funzionale, cioè deve facilitare al meglio la loro celebrazione. Poiché la celebrazione eucaristica è la parte essenziale della liturgia, la collocazione e la conformazione dell’altare è di particolare importanza. La I Istruzione per l’applicazione della SC richiede che esso sia staccato dalla parete per potervi girare attorno. «Nell’edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea... Inoltre il presbiterio attorno all’altare sia di ampiezza sufficiente a consentire un agevole svolgimento dei riti sacri» (91). Bisogna evitare che la vista dell’altare sia compromessa da finestre troppo chiare retrostanti, da strutture troppo mosse e da sculture distraenti, con le quali l’altare stesso è posto in ombra nella sua qualità di “sacra mensa” (è il suo nome nelle chiese orientali) e simbolo del Signore che si offre al Padre e si dona ai fedeli. Poiché con la celebrazione eucaristica è anche strettamente unita la liturgia della Parola, anche l’ambone, come luogo dell’annuncio, deve partecipare di questa posizione centrale e polarizzante dell’altare (“mensa della Parola”). Anche per il luogo del Battesimo (battistero) si richiede con buoni motivi, per il rilevante significato dell’evento battesimale, che sia in vista della comunità.

c) Lo spazio liturgico dovrebbe avere carattere di segno e di richiamo

Poiché la celebrazione eucaristica è essenzialmente la riunione pasquale della comunità attorno al suo Signore glorificato e di qui riceve la gioia, il conforto e la forza delle promesse divine, lo spazio liturgico dovrebbe avere un’impronta di elevazione festosa, dovrebbe essere riflesso delle promesse divine e chiamata a una speranza fiduciosa, un Sursum corda in pietra. In passato questa qualità è stata designata di preferenza come sacralità. Oggi questa parola suscita in molti una forte opposizione perché, si dice, a partire dall’incarnazione di Cristo (consecratio mundi = santificazione del mondo) la distinzione sacro-profano sarebbe caduta. Questo tema negli ultimi decenni ha offerto lo spunto per una abbondante letteratura (4), le cui divergenti definizioni hanno portato a numerosi equivoci. Tuttavia, se si considera la profanità nel senso di H. Müblen, che su questo tema ha offerto dei lavori ben documentati come «distinzione della creazione da Dio» e la sacralità come «riferimento finale a questo unico Dio santo», allora i due concetti non sono opposti, ma si condizionano reciprocamente. Se si riferiscono allo spazio liturgico e al suo arredamento essi mantengono, come realtà creaturali, la loro profanità. Per il loro forte riferimento al Dio santo essi sono allo stesso tempo sacri. Quanto più questo riferimento diventa trasparente tanto più si accentua la loro sacralità ed essi assolvono il loro compito di essere segno e richiamo alla divina vocazione degli uomini.

Sotto questo aspetto gli interni di talune chiese recenti non meritano una buona valutazione perché sono troppo freddi, inospitali e deprimenti, e danno un’impressione di gelo e di vuoto. Una strutturazione dello spazio non riuscita, una grigia monotonia della luce e del colore e la povertà dell’arredamento artistico non simboleggiano la dignità dell’assemblea liturgica né sono richiamo e introduzione al mistero liturgico. Questa istanza non deve valere a favore di una architettura liturgica dispendiosa e pretenziosa né di una appariscente monumentalità, che più che attirare urtano l’uomo d’oggi. ''

Al termine della lunga, interessante e seguita relazione, molti dei presenti hanno posto diversi quesiti e chiesto ulteriori chiarimenti sull'argomento. Ad essi Mons. Gruppuso ha risposto  con ulteriori precisazioni e delucidazioni.

A conclusione ed a ricordo della serata, il Prof. Valenti a nome dell'Associazione ha offerto all'ospite il testo '' Istoria di Trapani '' di Giovan Francesco Pugnatore.

L'incontro si è concluso con l'arrivederci a sabato 16 febbraio 2013 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione per il prossimo argomento previsto dal calendario.


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