2015 - 11 - 14: Dott. Elio D'Amico: Trapani nel dopoguerra: ricordi di un ragazzo del '49

Sabato 14 novembre 2015 alle ore 18.15 nella sala delle riunioni dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci e simpatizzanti si è tenuto il settimanale incontro previsto dal programma del XXIX Corso di cultura per l'anno 2015.

Il relatore designato per la serata, Prof. Salvatore Vercchio che per sopravvenuti impregni non ha potuto essere presente, è stato sostituito dal Dott. Elio D'Amico che così ha anticipato il suo intervento previsto per sabato 12 dicembre 2015.

L'oratore ben noto ai soci per aver collaborato con l'Associazione fin dalla sua fondazione è stato accolto dal Presidente e dai presenti con cordialità e simpatia e, aperti i lavori della serata, il Prof. Valenti dopo una breve presentazione gli ha dato la parola.

Il Dott. D'Amico dopo aver ringraziato per l'invito ricevuto ed espresso il piacere con cui ogni anno partecipa alle attività dell'Associazione è entrato in argomento illustrando il tema della serata che ha richiamato anche negli ascoltatori tanti ricordi ed eventi della loro giovinezza. 

Si riporta fedelmente di seguito, perchè gentilmente reso disponinbile dallo stesso, quanto riferito dal Dott. D'Amico.

'' Trapani nel dopoguerra: ricordi di un ragazzo del '49 '' di Elio D'Amico

'' ln questi 25 anni che io ho avuto il piacere di incontrarmi annualmente con voi, abbiamo sempre toccato argomenti diversi, dal teatro al cinema, dalla storia alla letteratura, dalle tradizioni alla poesia; quest'anno affronteremo un argomento diverso, non legato ad una materia specifica, ma soltanto all'emozione dei ricordi.


Ho fatto questa scelta perché i miei ricordi di ragazzo del '49 sono certamente condivisi da quasi tutti voi, poiché abbiamo vissuto gli stessi tempi e condiviso le stesse emozioni: e poi perché i ricordi fanno parte integrante della nostra vita; certamente non si puo vivere di ricordi, bisogna vivere il presente e proiettarsi nel futuro, ma se adesso noi siamo quelli che siamo, se ci proiettiamo nel futuro in un certo modo, è grazie al nostro vissuto, di cui non dobbiamo perdere la memoria, perché perderemmo l'essenza del nostro carattere , della nostra visione delle vita.

Chi, come me, è nato negli anni immediatamente successivi alla guerra, non ha vissuto gli orrori di questa immane tragedia, ma ne ha subito pesantemente le conseguenze. I miei ricordi sono légati al centro storico, perché allora Trapani era il centro storico. mia madre, oltre via XXX Gennaio la chiamava "fuori porta", in Corso Pier Santi Mattarella pascolavano le pecore e le traverse di Via Marconi non erano asfaltate, con
le fogne a cielo aperto, con pietroni che univano la carreggiata alle case.
 
Io abitavo in via Badiella, in un caseggiato con un bellissimo portone chiaramontano - di cui a nessuno fregava niente — con un atrio dove si affacciavano quattro scale che ospitavano una ventina di famiglie; all'interno di quell'atrio, ma anche nelle vie intorno, si svolgeva la vita di noi bambini.

A scuola si andava a San Pietro — nuovissima, bellissima, inaugurata pochi armi prima — ma per arrivarci bisognava camminare sulle macerie; corso Italia non esisteva, e dalla fine di via Badiella fino alla scuola si usava un viottolo per due persone, scavato tra le macerie delle case circostanti: un paesaggio raccapricciante, che per noi era la normalità.

Si andava a scuola con il grembiule nero o blu, con il fiocco che variava secondo la classe, con i pantaloni corti fino al ginnasio; non c'erano zainetti colorati, ma cartelle di cartone pressato con gli angoli rinforzati di metallo, ottime per fare le battaglie quando poi si usciva dalla scuola: dentro, il portapenne di legno con una penna, spesso stilografica perché le biro erano ancora poco diffuse, matita, gomma, temperamatite, gessetti colorati (optional) libro di lettura, sussidiario, un quaderno a righe e un quaderno a quadretti.

A scuola le bacchettate sulle mani o sulle gambe erano all'ordine del giorno, ma nessuno parlava di mezzi diseducativi, a nessun genitore veniva in mente di denunciare gli insegnanti: anzi, se prendevamo un brutto voto o la maestra si lamentava di qualche nostra mancanza, a casa dovevamo fare i conti con la paletta della mamma. 

All'uscita della scuola le macerie diventavano un campo di battaglia, con le cartelle armi micidiali.
 
Si tornava a casa, si aspettava il ritorno del papà dal lavoro, e si pranzava tutti assieme; terminato il pranzo, subito i compiti, ed alle 4 si era già fuori per giocare; perchè per giocare, bisognava incontrarsi con gli altri bambini; non c'erano né cellulari, né computer: ci si chiamava dalla finestra, e tutti giù a giocare.

Si giocava a calcio, spesso con una palla fatta di carta, legata da uno spago, oppure si giocava a "viriri chi mmi nni vegnu", a "lampiare", a "Triritricchiti", ma soprattutto con gli strummali.

Ovviamente, si giocava per strada, tanto al massimo passavano due auto al giorno. Strummali ce n'erano di vario prezzo, da 15 lire, da 30 e da 50 lire, e di varia forma, che venivano utilizzati in maniera diversa secondo le loro caratteristiche.


Ma c'erano anche i giochi più cruenti o pericolosi: ci si costruiva il "carrozzone" con un'asse di legno e quattro cuscinetti a sfera per ruote, e ci si lanciava, anche in due, da San Domenico per la via Sette Dolori o la via Carreca; oppure si faceva battaglia a colpi di pietra tra ragazzi di strade diverse: i nemici giurati di noi di via Badiella erano quelli della via Aperta o di via Mercè.

Quando ci ritiravamo a casa, sporchi per avere giocato per strada (erano con il basolato, non asfaltate), o anche insanguinati, pieni di lividi e di escoriazioni, non c'erano tragedie o minacce di denunce: la mamma ci lavava, ci disinfettava le ferite e finiva tutto li.
la televisione.

Si cenava, e alle 9 si usciva nuovamente; ma non si andava a giocare, si andava a vedere la televisione.

Negli anni '50 televisori ce ne erano pochissimi, perciò i rivenditori, la sera giravano un televisore della vetrina e lo accendevano: nel giro di pochi minuti una piccola folla si assiepava davanti la vetrina per seguire i programmi.

Problemi di scelta di canale non ce ne erano, perché c'era un solo canale: il televisore non si accendeva direttamente, ma sotto di lui c'era lo stabilizzatore, che doveva essere acceso almeno venti minuti prima, per riscaldare. 

I programmi iniziavano alle 17,30 con la TV dei ragazzi: un'ora, fino alle 18,30, dove c'erano telefilm quali Lassie, Rin Tin Tin, Tarzan, Zorro, programmi istruttivi quali "Angelo Lombardi, l'amico degli animali" o di intrattenimento come "Zurli, il mago del giovedl" con Cino Tortorella e Topo Gigio, "Chissà chi lo sa" con Febo Conti o parodie come "Giovanna la nonna del Corsaro Nero".

Alle 18,30 le trasmissioni si interrompevano per riprendere alle 19,55 con il Telegiornale, cui seguiva la programmazione serale, che era fissa il lunedi si trasmetteva un film, il martedi era serata di spettacoli vari, come "Giallo Club" presentato da Paolo Ferrari o "Marina piccola" con Teddy Reno, il mercoledi programma divulgativo come "Almanacco" presentato da Giancarlo Sbragia, il giovedi era la sera dei quiz, iniziando con "Telematch" — Renato Tagliani, Silvio Noto, Enzo Tortora — poi "Campanile sera", quindi "'Lascia o raddoppia"; il venerdi si trasmetteva una commedia — scrupolosamente in diretta — il sabato sera il grande show musicale quale "ll Musichiere" con Mario Riva o "Uno, due, tre'* con gli esordienti

Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, cui seguirono "Controcanale", "L'amico del giaguaro"; la domenica il grande sceneggiato televisivo "L'idiota", "L'isola del tesoro", La cittadella", "Luisa Sanfelice", "I Giacobini", "I grandi camaleonti".

Alle 22 finiva il programma di prima serata, cui seguiva uno o due brevi programmi culturali ed alle 23,30 le trasmissioni terminavano.


Ma negli anni '50 erano pochissime le famiglie che avevano la TV, per cui soprattutto il sabato si assisteva ad esodi collettivi quelle poche famiglie che avevano la TV vedevano la propria casa invasa da una trentina di persone tra amici, parenti e vicini di casa; ed alle 22,30 l'esodo inverso, con il ritorno a casa. 

Tutte le altre sere si rimaneva a casa: si accendeva la radio, ed ognuno faceva qualcosa;massimo alle 22 si era tutti a letto

Non esistevano né pizzerie, né ristoranti. solo la domenica pomeriggio si usciva, tutti assieme; e normalmente ci si incontrava tra fratelli e cognate.

Spesso dalle 18 alle 20 si andava al cinema ovviamente sceglievano i genitori, per cui si andava a vedere "Tormento", o "I figli di nessuno", "ll padrone delle ferriere", "Catene", "Stazione Termini", tutti film strappalacrime dove imperavano Amedeo Nazzari e Ivonne Sanson; tutti i film erano preceduti dalla "Settimana INCOM", che tutti chiamavamo "film luce"; e i cinema erano sempre affollatissimi, tanto che spesso
si tornava indietro perché c'erano solo posti in piedi e noi bambini ci sedevamo sulle scalinate.

D'estate invece si andava a passeggiare alla marina: a Piazza Garibaldi era montato il palco della musica, dove si esibiva la banda musicale di Trapani che suonava generalmente pezzi d'opera o canzoni napoletane; e si gustavano fermandosi sotto il palchetto o passeggiando sotto gli alberi; o sedendosi allo chalet per sorbire un gelato.

Almeno una sera i miei genitori andavano a vedere un'opera lirica al Luglio Musicale: io dormivo da mia nonna — testa e piedi — mentre loro, elegantemente vestiti andavano alla Villa Margherita; che poi, in una Trapani priva di qualsiasi divertimento, era un importante avvenimento mondano, con il fotografo che immortalava le signore.

Le feste primaverili — pasquetta, 1 maggio, Ascensione — spesso erano dedicate alle gite fuoriporta: pochissimi erano quelli che avevano l'automobile, per cui il mezzo di trasporto era la Vespa o la Lambretta. 

Organizzati dall' E.N.A.L., si facevano le gite fino a San Vito, Comino, Segesta; ma era un'impresa perché le strade erano peggio di quelle d'adesso, anche perchè su ogni vespa viaggiava tutta la famiglia, da due a quattro persone.

Ovviamente non c'erano ristoranti, ed il pranzo era rigorosamente a sacco.


La vita era molto semplice. non si faceva la maxi spesa settimanale come si fa oggi; le cose si compravano di volta in volta, quando servivano: anche perché non c'era frigorifero.

Ovviamente si comprava tutto nei piccoli negozietti della via: in via Badiella si comprava quasi tutto da Don Liddu, u carvunaru che, oltre a vendere carbone — c'era ancora chi cucinava con il carbone — vendeva di tutto: dal sapone molle, che veniva spalmato su una carta pesante gialla, alla pasta sfusa; in una vetrinetta quattro salumi irranciditi, un po' di formaggio e sul fondo, prima del carbone, sacchi di ceci, fave, lenticchie e altre cose non facilmente riconoscibili.


Ovviamente c'era anche il salumaio buono, che era Bica, in Piazzetta Sette Dolori; ma salumi se ne compravano pochi, quelli che si potevano consumare in giornata poiché, non avendo frigorifero, ciò che rimaneva si lasciava nel posto più fresco della casa, cioè fuori dalla finestra; e l'acqua, per mantenersi fresca, si conservava nei bummali di creta, e l'acqua era davvero sempre fresca ed acquistava anche un sapore particolare.
 
L'acqua è sempre stata il tallone d'Achille della città. nei primi anni '50 veniva erogata in media ogni 5 / 6 giorni, per un paio d'ore; e tra l'altro, aveva una portata cosi debole che non riusciva a salire nemmeno al primo piano, allora ogni palazzo era attrezzato con un rubinetto a piano terra, dove ogni famiglia faceva la coda per riempire più recipienti possibili, bottiglie, bagnere, secchi, ma soprattutto quartare di zinco; e poi tutto doveva essere salito fino a casa. 

La domenica era un giorno speciale: ci si svegliava con calma, si raggiungevano i genitori nel lettone, poi la mamma andava a preparare il caffè ed il latte per noi bambini; quindi bagno per tutti, poi nella tarda mattinata mio padre mi vestiva con i vestiti buoni, la cravatta con l'elastico, mi metteva la brillantina nei capelli e mi portava con sé alla Loggia: mi comprava "Il Corriere dei piccoli" e lui si intratteneva con gli amici davanti la "Flora giapponese'*, raccontandosi vita, morte e miracoli di tutte le persone che passavano; Corso Vittorio Emanuele non era isola pedonale,
perciò vi passavano le automobili — che erano pochissime — e sferragliando i tram e successivamente i filobus.
 

Poi all'una ci si ritirava, non dopo essere passati da Fiorino a comprare i dolci.

Nel primo pomeriggio, mentre la mamma puliva i piatti, si ascoltava la radio mentre mio padre dipingeva ed io giocavo a casa; non mi era permesso uscire per strada per non sporcarmi, dato che poi saremmo andati al cinema o a fare una passeggiata alla marina.

Stranamente tutti — uomini e donne — i vestiti se li facevano confezionare su misura dai sarti, perché quelli confezionati costavano di più; ma oltre ai vestiti nuovi, c'era soprattutto una vasta attività di riciclo; prima di buttare un vestito, doveva servire almeno due generazioni: i cappotti si giravano, le gonne si accorciavano o si allungavano, i pantaloni passavano da padre in figlio e poi dal figlio maggiore a quello minore.

Le calze da donna erano preziosissime. ogni volta si produceva un piccolo strappo era un dramma, e mia madre mi mandava da una signora — "Porta queste calze a ramagliare" mi diceva —. che con pazienza certosina riprendeva i punti che si erano persi; e cosi duravano ancora qualche mese, fino a quando il buco diventava troppo grosso pure per la rammagliatrice. 

Ma a casa non si buttava nulla: ogni mattina, assieme ai venditori ambulanti, passavano per la strada quelli che riparavano di tutto: piatti, ombrelli, vasi di coccio, bummali, quartare di zinco, sedie: e l'arrotino che faceva tornare come nuovi forbici e coltelli: tutto doveva durare il più a lungo possibile.

Ed i venditori ambulanti vendevano di tutto: c'era il siniaro, che veniva dalla campagna, e vendeva tutte le verdure; quello che vendeva patate bollite; quello che vendeva babbaluci, quello che vendeva il latte; quello che vendeva le uova, che portava in un cestino con la paglia, ed il gelataio, col suo carrozzino colorato, che suonava un campanellino; che poi era acqua e zucchero con un poco di colore.

Ma noi bambini preferivamo comprarlo in gelateria, dove c'erano i coni da 10 lire, da 20 lire, da 30 lire (a coppa) e da 50 lire (doppio).

Ma a noi bambini piaceva molto anche la rattata, che era del ghiaccio tritato con sopra l'essenza di anice, o di menta, o di amarena; il suo contenitore erano le nostre mani, mani sporche di bambini che giocavano per strada; ma quella rattata aveva un sapore eccezionale e noi non prendevamo nessuna malattia, e mai l'ufficio di igiene si è interessato alla pulizia di quel locale.


Cosi come si disinteressava della Palermitana, la panellara che friggeva le panelle in un olio che aveva visto tempi migliori; o di quello che, davanti al cinema Ideal, vendeva le graffe che avevano ingrassato già decine di mosche; ma a noi non succedeva niente, perché avevamo gli anticorpi naturali-
 
Noi stavamo per strada, ma le mamme stavano tranquille: non c'erano automobili, non c'erano droghe, ed anche le sigarette arrivavano più tardi, verso i 13 / 14 anni: qualche volta, assieme a qualche compagno, il sabato si andava al cinema: il biglietto costava 100 lire in platea e 200 in galleria: 50 lire militari e ragazzi, si andava dalle 4 alle 6, ma se alle 6,15 le madri non ci vedevano tornare, non si preoccupavano: evidentemente il film ci era piaciuto e ce lo rivedevamo immediatamente, dalle 6 alle 8. 

Di andare in pizzeria o al ristorante non se ne parlava. c'era una sola pizzeria, quella di Calvino, ed un paio di ristoranti, il Ristorante Firenze, in via Nunzio Nasi, ed il Russo in via Turretta, e nemmeno di gran qualità; nei ristoranti ci andavano solo i non trapanesi di passaggio, da Calvino soltanto qualche giovanotto ventenne: le famiglie non avevano l'abitudine di cenare fuori, ogni tanto si compravano le pizze e si portavano a casa quando si organizzava una rimpatriata con gli amici o con i parenti. 

Quando gli adulti la domenica decidevano di non andare al cinema, e il tempo non permetteva di passeggiare alla Marina, allora tutta la parentela — fratelli,. sorelle, cognati, nipoti — ci si riuniva a casa di qualcuno di loro: gli adulti si mettevano in salotto a chiacchierare, ma anche a cantare, suonare, ballare, mentre noi cugini stavamo in un'altra a giocare; ed a sera, se si voleva continuare la serata, si andavano a prendere le pizze-
 
Optional, la riunione si faceva nella casa di campagna di qualcuno dei parenti, ed allora le pizze si facevano, se c'era il forno, sul posto, e questa sembra una delle poche abitudini giunte fino a noi.

Una tradizione che, almeno parzialmente, si è perduta è quella della festa déi morti, dovrebbe essere "una mesta e triste ricorrenza" come dice Totò, ma da noi invece era una giornata di allegria, almeno per noi bambini. se per gli adulti era una giornata di tristezza, nei bambini si perpetuava il ricordo dei nostri cari defunti facendo si che questi ci portassero regali: in alcune famiglie, ciò si fa ancora oggi, ma è lo spirito che è diverso.

Già si cominciava almeno quindici giorni prima, quando i genitori ci invitavano a fare i bravi, altrimenti i morti non ci avrebbero portato i regali; la sera prima, quando andavamo a letto, la mamma ci raccomandava di dormire profondamente, perché quella notte i morti sarebbero venuti a portarci i regali; se sentivamo rumori, quindi, non dovevamo aprire gli occhi, perché i morti non volevano essere visti. 

E noi spesso la notte sentivamo rumori in giro per casa, ma stringevamo gli occhi e cercavamo di riaddormentarci; ma la mattina non vedevamo l'ora di svegliarci per cercare i regali; perché i regali i morti non ce li facevano trovare ai piedi del letto o sulla tavola, ma li nascondevano; quindi noi ci mettevamo a cercare, aprendo sportelli, cassetti, guardando dietro le porte, sotto i mobili, e se non li trovavamo subito cominciava in noi a serpeggiare la paura che non eravamo stati abbastanza buoni e che i morti, quindi, non ci avevano portato niente.

Ma poi li trovavamo, una macchinetta di latta, o una bambola, i soldatini, il salotto per le bambole; ed, immancabilmente, la frutta martorana, circondata da frutta secca e la pupa di zucchero; la quale veniva posta in alto, su qualche mobile, lontano dalla nostra portata: ogni giorno se ne mangiava un pezzetto, rompendolo dalla parte posteriore per permettere alla pupa di conservare il più a lungo possibile la sua
immagine.

Certamente ancora sono tantissimi gli aspetti della vita quotidiana che potremmo ricordare ma se volessimo fare un quadro completo della società trapanese non basterebbe quest'ora' dedicata al nostro incontro, ma si potrebbero scrivere libri ben consistenti.

Certamente noi li ricordiamo con grande piacere perché, anche se anni estremamente difficili, rappresentano la nostra infanzia e la sua spensieratezza.

Ma ci accorgiamo tutti che quei tempi sono radicalmente cambiati.

Sembra che nonostante le enormi ferite ancora aperte dei disastri della guerra, fossimo realmente, a qui tempi, più felici. 

Sarà vero?

Probabilmente si, ma non perché avevamo di che essere felici, ma perché alle spalle la società aveva l'immensa catastrofe della guerra.

Che importanza poteva avere per i nostri genitori se ci ritiravamo con il ginocchio sbucciato, in confronto ai migliaia di morti che avevano visto

Che importanza poteva avere se noi giocavamo per ore in mezzo alla strada quando loro avevano trascorso tanti anni sfollati, o tra le macerie dei bombardamenti.

Che importanza poteva avere se cinque ragazzini sporchi di polvere di strada bevevano tutti nella stessa bottiglia o mangiavano la rattata con le mani sporche quando fino a pochi anni prima c'era gente che mangiava l'erba dei campi.
 
Che importanza poteva avere andare a riempire l'acqua a piano terra, quando, durante la guerra, erano stati costretti, a volte, a bere acqua puzzolente.

Sulle automobili non c'erano airbag, cinture di sicurezza, per andare in gita sulla Vespa si andava in quattro senza casco, ma si era liberi.

Non c'erano cellulari, sms, whatsapp, internet, facebook, ma a tavola si parlava, non si stava con il cellulare in mano; se volevi parlare con un amico, lo andavi a trovare; se dovevi fare una ricerca, la facevi sull'enciclopedia che si comprava a fascicoli nell'edicola; per giocare dovevi incontrare necessariamente gli altri bambini.

I nostri genitori conducevano una vita meno stressante, con ritmi sicuramente più rilassanti, senza la frenesia della ginnastica, della piscina, del corso di yoga, del corso d'inglese, del calcetto; ed anche noi bambini maturavamo prima, perché eravamo responsabilizzati delle nostre azioni, a saperci gestire, ad assumerei le nostre responsabilità per un brutto voto a scuola, a saperci relazionare con gli altri, ad accettare le regole altrimenti gli altri bambini ti emarginavano chiamandoti "ngangarusu", ad accettare senza traumi di arrivare sempre ultimi nei giochi di abilità. 

Indubbiamente questi ritmi non esistono più, tanti valori si sono perduti per strada.

Per questo tante volte non ci riconosciamo più nella realtà contemporanea.

Ma sbagliamo, perché siamo noi che ci dobbiamo adeguare alla società e non pretendere che questa giri secondo i nostri valori.

Poi, noi ci proviamo a trasmetterli ai nostri figli e, se siamo fortunati, anche ai nostri nipoti; e, un seme oggi, un seme domani, qualcosa attecchisce '' 

Al termine dell'esposizione, che è stata seguita con interesse dagli ascoltatori, ha fatto seguito un dibattito-discussione che ha visto la partecipazione di molti dei presenti in sala che hanno apportato anche i loro ricordi personali.

Al termine della discussione, a ricordo della serata, il Prof. Valenti ha donato all'oratore il libro '' Storia di Trapani '' di S. Costanza-

Prima della chiusura e dell'arrivederci a sabato 21 novembre 2015 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma del XXIX Corso di cultura il Prof. Valenti ha ricordato ai partecipanti all'escursione a Caltavuturo prevista per il giorno dopo, domenica 15 novembre 2015, che la partenza sarebbe avvenuta alle ore 07.00 da Piazza Vittorio Emanuele.

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