2016 - 03 - 05: Prof. Salvatore Bongiorno - La rivoluzione del sette e mezzo in Sicilia

Sabato 5 febbraio 2016 alle ore 18.20 nella sala delle riunioni dell'Associazione per Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 con la partecipazione di un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti si è tenuto il settimanale incontro previsto dal programma delle attività del XXX Corso di cultura per l'anno 2016.

Il relatore della serata Prof. Salvatore Bongiorno è stato accolto dal Presidente, Prof. Salvatore Valenti, e dai soci con cordialità essendo lo stesso ben noto ai presenti per aver assiduamente partecipato negli ultimi anni alle attività del sodalizio trattando argomenti di carattere prettamente storico non trascurando di considerare anche il contesto sociale dell'epoca in cui si sono verificati.

Aperti i lavori e presentato l'ospite  della serata il Presidente gli ha passato la parola non prima di aver brevemente accennato al tema che sarebbe stato ampiamente trattato ovvero '' La rivoluzione del sette e mezzo in Sicilia ''. Il titolo ovviamente riferito alla durata della rivoluzione, e non all'omonimo gioco di carte, avvenuta nel 1866 a Palermo e che interessò anche le zone limitrofe al capoluogo che si protrasse per 7 giorni e mezzo prima di essere soffocata nel sangue dei partecipanti appartenenti nella qualsi totalità ai  ceti più poveri e diseredati della città disillusi per vari motivi da quello che si verificò negli anni a seguire il 1860 in seguito all'annessione della Sicilia al Regno d'Italia dopo l'epopea garibaldina.  


Si riporta di seguito una breve sintesi liberamente tratta da quanto riferito dall'oratore nel corso della sua esposizione. 


Il Prof. Bongiorno dopo aver rivolto un saluto ai presenti ed espresso il piacere di poter ancora una volta partecipare alle attività culturali dell'Associazione è entrato in argomento dicendo che, come noto, la rivoluzione durò 7 giorni e mezzo, da 16 al 22 settembre 1866, e rappresentò un momento complesso, difficile e poco noto della storia siciliana. Ciò che avvenne può essere considerata una discontinuità in quanto fu indice di ribellione e di frustrazione della popolazione del palermitano nei confronti di quanto avvenne in Sicilia nei 6 anni che seguirono l'annessione della Sicilia al regno sabaudo. Di quanto avvenne realmente in quei sette giorni e mezzo si sa poco ma essenzialmente essa fu una reazione sotto certi aspetti all'imposizione in Sicilia di un regime e ad una colonizzazione sia culturale che sociale che ebbe come risultato l'esplosione incontrollata della popolazione di Palermo e delle zone viciniori.

L'oratore ha inoltre voluto puntualizzare che i fatti storici, in se stessi oggettivi, devono essere inquadrati necessariamente visti nel contesto e nell'epoca in cui si sono verificati, ma quando li si va a commentare diverse possono essere le interpretazioni che ovviamente dipendono dalla cultura, dalla ideologia e dalla visione del mondo di coloro che su tali fatti scrivono.  Interpretazioni diverse e talvolta opposte e fra loro inconciliabili non devono tuttavia essere di impedimento al tentativo di capire ciò che è effettivamente avvenuto ed alle relative motivazioni a costo anche di ribaltare la storiografia ufficiale e quando ciò avviene è indice di libertà di pensiero e di democrazia.

Il Prof. Bongiorno ha nella sua esposizione letto anche un brano di un racconto di Camilleri in cui si narra coloritamente della rivoluzione e quindi è passato ad un breve riepilogo dei fatti avvenuti.
In precedenza alla ribellione, tenuto conto di quanto avvenuto nel corso dei 6 anni successivi all'annessione della Sicilia, successivamente trattati, che avevano portato i siciliani al limite della sopportazione, si era costituito in Palermo un comitato per organizzare un piano insurrezionale contro il governo sabaudo avente come obiettivo iniziale l'isolamento della città di Palermo.

Pertanto la mattina del 15 settembre 1866, provenienti da Monreale e dalle alture che circondano Palermo, cominciarono a scendere in città numerose bande armate che disperdendosi soprattutto nei rioni popolari cominciarono ad erigere barriccate al fine di isolare il centro storico. Fra di essi c'erano ex garibaldini, mazziniani, renitenti alla leva, disertori, preti, ex impiegati borbonici che gridando ognuno a suo modo '' Viva S. Rosalia '', '' Viva Francesco II '', '' Viva la Repubblica '' assaltarono i posti di polizia, il dazio, i depositi di armi, gli archivi del tribunale e del comune ed il carcere con lo scopo di liberare i detenuti fra cui Giuseppe Badia, esponente di spicco degli azionisti arrestato in precedenza e succeduto al Generale dopo la sua uccisione la sera del 3 agosto 1863 ed il cui omicidio era rimasto impunito, cosa che tuttavia non riuscì.
Gli insorti a cui si unì anche la popolazione, stimati in 30.000 mila, batterono e tennero in scacco i reparti piemontesi per sette giorni e mezzo in città e per 12 giorni nel circondario esssendosi nel frattempo la rivolta estesa rapidamente nei paesi di Boccadifalco, Villabate, Bagheria, Misilmeri e successivamente a Montelepre, Racalmuto, Termini Imerese, ecc.. Inutile dire che fu guerra civile e numerosi furono gli atti di violenza anche inaudita commessi inizialmente nei confronti dei militari e dei carabinieri piemontesi.
Fu costituito un Comitato provvisorio di governo a capo del quale fu posto il principe Bonanno di Linguaglossa di provata fede borbonica affiancato poi da altri nobili fedelissimi alla causa siciliana, come segretario il mazziniano Francesco Bonafede ed un prelato della curia dell'Arcivescovado. Tutti furono coinvolti e rappresentati: sia la destra con i nobili ed il clero, sia la sinistra con le masse contadine e gli operai sia i repubblicani.

Pochissimi furono coloro che restarono fedeli ai sabaudi. Fra di essi il sindaco pro tempore marchese di Rudinì che si preoccupò di difendere il porto e di telegrafare a Torino richiedendo aiuto e avvisando della rivolta. Il possesso del porto ebbe conseguenze nefaste per la rivolta in quanto favorì nei giorni successivi, a decorrere dal giorno 18, l'arrivo via mare di rinforzi che iniziarono la controffenziva, smantellarono con l'artiglieria le barriccate e con le navi iniziò un bombardamento intensivo della città provocando fra i civili centinaia di morti e migliaia di feriti. L'insurrezione era terminata nel peggiore dei modi, gli insorti si dispersero fra i monti ed a completare l'opera arrivò il 22 settembre il generale Cadorna, reduce fra l'altro dalla disfatta di Custoza, a cui furono conferiti pieni poteri per domare con ogni mezzo la sedizione cosa che fece realizzando la più feroce rappresaglia nei confronti della popolazione uccidendo ed arrestando anche coloro che si trovavano per le vie utilizzando allo scopo 40000 soldati. Arrestò anche il novantenne vescovo di Monreale, Benedetto d'Acquisto, definendolo come noto brigante e vietò la festa di S. Rosalia. Lo stato d'assedio durò fino al gennaio 1867 e nel complesso si calcolarono circa 50000 vittime comprendendo questa cifra sia i morti per la rivolta vera e propria sia quelli dovuti allo scoppio di una epidemia di colera portato in città da alcuni marinai imbarcati sulle navi che avevano trasportato le truppe.

I nobili che avevano aderito al Comitato di Governo abbandonarono la rivolta e dichiarando di essere stati costretti a farlo furono prosciolti mentre chi ne subì le pesanti ripercussioni fu solo il popolino essendosi i ricchi e gli altolocati schierati ancora una volta dalla parte dei piemontesi.

La stampa del tempo in merito al massacro avvenuto lo riportò con poche righe, i giornali inglesi, spagnoli e francesi pur riportando la notizia la declassarono a rivolta repubblicana messa in opera da bande di briganti mentre il Giornale di Sicilia filogovernativo oltre a confermare che la rivolta era stata opera di briganti promosse con il suo editore Ardizzone una raccolta di fondi che raggiunse la somma di 10750 lire del tempo a favore delle famiglie dei piemontesi caduti negli scontri.

Il relatore ha quindi sinteticamente elencato cronologicamente i vari motivi che portarono inevitabilmente la popolazione del palermitano all'insurezione armata:

- Nel 1860 fra il Nord ed il Sud esisteva un enorme squilibrio economico ( 6 milioni ed 800 mila lire la Sicilia, 62 milioni e 36 mila lire il Piemonte ) e commerciale ( 35 milioni di lire la Sicilia , 7 milioni di lire il Piemonte )
- con la conversione delle monete in valuta cartacea nelle casse del nuovo stato il Regno delle due Sicilie apportò 443,3 milioni in monete d'oro e d'argento mentre tutti gli altri, Piemonte compreso, solo 225 milioni e ciò confermò ulteriormente il divario fra Nord e Sud. Il tutto andò a finanziare le strutture economiche e sociali  del nord cercando di far prevalere il concetto di interesse nazionale in tale prospettiva 
- la nuova classe politica, in larga parte piemontese e corrotta, ignorava completamente la  problematica della Sicilia, non aveva alcuna esperienza amministrativa e parlava una propria lingua più vicina al francese e non comprendendo quella locale disprezzava ed ignorava i siciliani 
- senza considerare il contesto siciliano ed il fatto che talune leggi piemontesi non potevano essere di fatto accettate dai siciliani, le si estesero di botto anche al meridione considerandolo non una parte integrante del nuovo regno ma come una colonia ed un territorio da governare con le armi e con la violenza
- il 18 febbraio 1861 in seguito a quanto su detto nacque '' la questione meridionale '' che ancora oggi si trascina anche se con problematiche e prospettive diverse
- il 17 febbraio 1861 fu promulgata in Sicilia la legge sulla coscrizione obbligatoria che estendeva l'inaccettabile e gravosa leva piemontese ai nuovi territori. Essa prevedeva un servizio militare di 10 anni in fanteria, di 12 in cavalleria e di 14 anni in marina in un territorio che godeva della sua esenzione da millenni. Fu una ulteriore beffa che privava le famiglie in cui c'era un figlio maschio di una fonte di reddito che influiva pesantemente anche sulla loro economia. I giovani delle città e dei paesi decisero di abbandonarle per andare a vivere sui monti a combattere i piemontesi dando origine anche in Sicilia al fenomeno del brigantaggio che già era attivo in altre zone dell'Italia peninsulare. 

Tutto ciò ebbe come risultato di creare nei siciliani uno stato di esasperazione via via crescente che nell'ottobre del 1862 sfociò nell'episodio dei pugnalatori. Essi erano stati assoldati per colpire a caso le persone incontrate per strada al fine di creare uno stato di tensione e di insicurezza per conto di alcuni nobili borbonici che poi si defilarono. Ciò offrì al prefetto ed al questore il pretesto di sottoporre la popolazione a controlli e perquisizioni che iniziarono fra il 12 ed il 13 marzo 1863. Gli arrestati con l'accusa di attentato alla sicurezza dello stato ed azione eversiva, erano tutti personaggi che si opponevano ai savoiardi e furono accusati di sfruttamento e prevaricazione. Fra di loro il generale Giovanni Corrao che pur avendo partecipato all'epopea garibaldina a fianco di Garibaldi subito dopo l'annessione della Sicilia si era reso conto il nuovo corso era invece più repressivo di quello dei Borboni. Avvisato per tempo riuscì a fuggire ma ritenuto molto pericoloso dal governo piemontese fu assassinato il 3 agosto 1863. Ai suoi funerali parteciparono circa 70 mila persone, l'omicidio rimase impunito ed il questore del tempo, Serafini, archiviò la pratica con l'ipotesi che l'uccisione fosse conseguenza di un contrasto fra proprietari terrieri per questioni di confine. In realtà l'opinione pubblica sapeva che l'assassinio era stato ordinato dalle alte sfere burocratiche che tramite agenti piemontesi avevano contattato e pagato i sicari mafiosi.

Nel settembre del 1863 conoscendo il fermento antisabaudo che serpeggiava fra la popolazione fu inviato in Sicilia con pieni poteri il generale Govone con il compito di eliminare il fenomeno del brigantaggio e far fronte alla renitenza alla leva. Per realizzare queste finalità e costringere le famiglie ed il clero che li appoggiava a consegnare i ricercati il generale non esitò ad attuare perquisizioni casa per casa, incendiare campi e case, a privare dell'acqua interi comuni generando rimostranze ma riuscendo a suo dire a catturare 4000 renitenti e 1300 malviventi. 

Nel luglio 1866, nel corso della 3^ guerra di indipendenza, con la quale nonostante le sconfitte di Lissa e Custoza i sabaudi, alleati della Prussia vittoriosa nei confronti degli austria, poterono annettere il Veneto, la Sicilia fu ulteriormente rapinata anche dall'applicazione della legge '' Siccardi '' che stabiliva di confiscare i beni delle congregazioni religiose fonte di assistenza delle classi popolari cittadine e di lavoro per migliaia di contadini.
Dalla loro vendita lo stato sabaudo incassò 250 milioni ed altri 370 milioni furono il frutto della vendità dell'antico demanio ubicato nell'Italia meridionale ma soprattutto in Sicilia. I terreni vennero acquistati prevalentemente dai grandi latifondisti estromettendone i contadini che dalla loro coltivazione ricavavano il loro essenziale sostentamento.

Altri elementi che contribuirono ad esasperare gli animi e che fece dilagare il malessere già esistente prima della unificazione furono l'aumento delle imposte, l'abolizione delle tariffe protezionistiche, l'affidamento degli appalti per la costruzione di infrastrutture alle imprese del nord, l'impoverimento dell'economia agricola, la chiusura delle fabbriche e la disoccupazione divenuta un fenomeno di massa con l'aumento della miseria e della fame.
  















Quanto su esposto cronologicamente è da considerarsi l'antefatto che produsse nei palermitani l'accumularsi della rabbia e della insoddisfazione per le promesse sperate e ventilate e poi non mantenute dai monarchi sabaudi che sfociò nella violenta ribellione del settembre del 1866.


L'oratore si è quindi intrattenuto sui motivi per cui la ribellione che inizialmente aveva avuto successo successivamente si sgonfiò e finì per essere repressa in un bagno di sangue che coinvolse molte migliaia di persone appartenenti soprattutto ai bassi ceti della popolazione. 

La rivoluzione realmente risultò acefala nella sua guida politica. La borghesia del tempo, sempre avida e calcolatrice, non ostacolò inizialmente l'insurezione, ma per una visione delle cose, già superata dai tempi, non fornì gli uomini politici da porre alla guida che peraltro solo da essa potevano uscire e ciò agì da freno destinando la rivoluzione all'insuccesso.
La rivoluzione restò localizzata nella zona di Palermo e non ebbe l'opportunità di estendersi a tutta l'isola un pò per la scarsità di informazioni ed anche perchè il quel periodo l'attenzione era in quel periodo rivolta ai fatti bellici e politici inerenti alle conseguenze della 3^ guerra d'indipendenza. Non ebbe nemmeno rilevanza internazionale e fu del tutto ignorato anche da chi avrebbe potuto trarre qualche vantaggio da quella instabilità sorta improvvisamente all'interno del regno sabaudo. Tutto ciò favorì la riconquista di Palermo facilitandone il successo confermando ancora una volta il tradimento della Sicilia e dei siciliani da parte della borghesia meridionale come del resto aveva già fatto precedentemente nel 1860.

La chiusura della relazione è stata seguita da un interessante dibattito che ha visto la partecipazione di molti dei presenti in sala nonchè del Dott.Vincenzo Fardella di Torrearsa e del rag. Vassallo che sono intervenuti esponendo le loro personali considerazioni su talune parti del tema della serata.

Terminato il dibattito il Prof. Valenti ha ringraziato il Prof. Bongiorno per aver voluto ancora una volta partecipare alle attività culturali dell'Associazione ed a ricordo della serata gli ha offerto il libro '' La scia dei tetraedri - Nel mare gastronomico delle Egadi '' di E. Milana.

Infine, prima dell'arrivederci a sabato 12 marzo 2016 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione per il prossimo incontro previsto dal programma del XXX Corso di cultura, il Presidente ha ricordato ai partecipanti all'escursione a Partanna e a S. Margherita Belice fissata per il giorno dopo, domenica 6 marzo 2016, che la partenza sarebbe avvenuta da Piazza Vittorio alle ore 08.00 con rientro a Trapani previsto intorno alle ore 20.00.



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