2016 - 06 - 08: Prof. Antonino Cusumano - Il mare di G. Pitrè


















Sabato 18 giugno 2016 alle ore 18.30 nella sala delle riunioni - biblioteca dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani 32 si è tenuto il penultimo incontro previsto dal programma delle attività del XXX Corso di cultura prima dell'interruzione per il periodo estivo.


Aperti i lavori della serata, il Presidente, Prof. Salvatore Valenti, ha ringraziato il Prof. Antonino Cusumano, relatore della serata, per aver ancora una volta accettato l'invito dell'Associazione a relazionare, anche se ciò lo ha costretto a venire appositamente da Mazara a Trapani per poi farvi ritorno in serata, ed i soci che anche questa sera hanno voluto presenziare all'evento.

Ha quindi ricordato che nell'aprile del 2016 è ricorso il centenario della morte di Giuseppe Pitrè ( Palermo 21 dicembre 1841 - Palermo 10 aprile 1916 ), medico, scrittore, letterario ed illustre antropologo noto per il suo lavoro nell'ambito del folklore regionale e che fu il più importante raccoglitore e studioso di tradizioni popolari siciliane.

Volendo quindi fare un omaggio all'illustre conterraneo, anche se in ritardo, e con l'accordo del Prof. Cusumano, il tema dell'incontro inizialmente previsto in '' Il Mediterraneo e lo sguardo riformato '' è stato sostituito con '' Il mare di Giuseppe Pitrè ''.

Ciò detto, il Presidente ha passato la parola all'oratore della serata, Prof. Antonino Cusumano già ben noto e molto stimato dai soci in quanto assiduo relatore e partecipante negli ultimi anni alle attività culturali dell'Associazione.

L'oratore in apertura del suo intervento ha ringraziato l'Associazione per l'invito che ancora una volta gli ha voluto rivolgere ed ha ancora pecisato che di buon grado e con piacere ha accolto  il suggerimento per modificare l'argomento dell'incontro della serata.

Si riporta di seguito una sintesi di quanto detto dal Prof. Cusumano che lo ha stesso ha gentilmente e con solerzia fatto pervenire.   

'' Il mare di  Giuseppe Pitrè                        di Antonino Cusumano 

Pochi sanno che Pitrè è autore di un Saggio di vocabolario di marina, scritto e pubblicato nel 1863, quando lo studioso aveva appena ventun anni. Il suo primo cimento di ricercatore è stato nel segno del mare. E non poteva forse essere diversamente, dal momento che era nato in un quartiere abitato da pescatori, il Borgo vecchio, lui stesso figlio di pescatore, padrone di barca il padre Salvatore e figlia di marinaio la madre, Maria Stabile.


















Pur non avendo scritto con profondità analitica di tecniche e di saperi legati alla cultura della pesca, Pitrè si è tuttavia occupato degli aspetti del mare connessi all’immaginario e nei quattro volumi
Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani dà conto della funzione eminentemente simbolica che il mare ha esercitato nell’orizzonte della cultura folklorica siciliana. Il mare come partenza, allontanamento dell’eroe, come avventura e ardimento, come attraversamento di frontiere, sfida, prova di iniziazione. Il mare come luogo dell’altrove e dell’alterità, in opposizione alla terra, come rovesciamento dell’ordine e violazione dei tabù, come polo di attrazione e di repulsione. Non è senza significato che nella topografia dell’immaginario il mare occupa nelle storie e nei racconti raccolti da Pitrè il ruolo del meraviglioso, dell’elemento che inquieta e che seduce, che turba e pure affascina.

L’ambivalenza del mare è probabilmente da ricondurre al suo statuto naturale, alla sua doppia latitudine, di superficie e di fondale, di emerso e di sommerso, di visibile e di invisibile. Da qui si spiega il fatto di essere sede elettiva di creature di confine, di figure a metà tra l’umano e il non umano, qualcosa di più di animali, qualcosa di meno che uomini. Uomini-pesce, sirene, tritoni, pesci parlanti, esseri che portano nel corpo la commistione di nature diverse, di ibride contaminazioni, di polimorfismi che sfuggono alle tassonomie convenzionali.

Così è per le sirene, le signore del mare che Pitrè evoca in più racconti, in gran parte raccolti nel Messinese. Le Signore del canto abitano nel Faro di Messina, in quello stretto liberato dalla loro pericolosa presenza ad opera di un gigante esperto nuotatore, il quale «mise pegno coi calabresi» e «attuffatosi nel Faro portando con sé una fune, giunse fino al fondo e riuscì a legare Sciglia e, non senza gravi difficoltà, Cariglia; legate le riportò a galla consegnandole al popolo». Così Pitrè scrive su Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, aggiungendo che la stessa sirena, quando si volge dal lato della riviera messinese, può esercitare un’ «influenza mortifera» sulle partorienti.

Il canto, che è prerogativa caratterizzante di queste creature sospese tra semiferinità e semidivinità, può sedurre e ammaliare per condurre il navigante alla rovina. Ma può anche evocare sonorità poetiche e guidare gli uomini alla salvezza. Nella contea di Modica la sirena è assimilata ad una fata che ha poteri divinatori. Dimora in una grotta di diamanti in fondo al mare da cui esce una sola volta all’anno, nella notte di S. Paolo, quando «s’avvicina alla spiaggia, e si dà a cantare soavemente tutta la notte profetizzando i vari avvenimenti che succederanno entro l’anno e predicendo l’avvenire di coloro che l’ascoltano».



















Se la sirena è figura femminile con la coda di pesce, appollaiata sugli scogli o fluttuante tra le onde, di genere maschile è il figlio del mare, il personaggio leggendario che come la sirena vive e si confonde con le acque e i flutti e con la sirena compone un lussureggiante repertorio narrativo di corrispondenze e consonanze culturali europee. Che si trattasse di un mitema centrale nella favolistica mediterranea, di un topos ovvero di un crocevia di storie che sembra aver assorbito e riplasmato motivi e temi risalenti a culti arcaici legati a divinità del mare, Pitrè lo aveva intuito, dedicando alla leggenda di Colapesce un capitolo a parte nel suo Studio di leggende popolari in Sicilia (1904), «una monografia esemplare – l’ha definita Sebastiano Lo Nigro – che si avvale ad un tempo dei principi evoluzionistici e di quelli della scuola storico-culturale». Quanto era prima ritenuta sopravvivenza inerte e meccanica riproduzione di elementi arcaici assume adesso senso e vita in un processo di acculturazione e di rielaborazione delle reminiscenze della civiltà classica.

Nel settore degli studi sulla fiabistica va senza dubbio osservato che il demologo, che aveva fin ad allora condotto ricerche nel ristretto ambito regionale e nazionale, adesso si cimenta da etnoantropologo su una dimensione più ampia e dinamica delle tradizioni popolari. Per primo lo studioso siciliano intuisce la densità e la ricchezza di elementi culturali contenuti nella struttura profonda del racconto, «l’amalgama scomposta di fatti», per usare le parole di Pitrè, «la stratificazione complessa» di cui ha scritto recentemente l’antropologo francese Francois Delpech. Commistioni e contaminazioni sono nel corpo ibrido dell’uomo-pesce ma sono anche nella migrazione transculturale dei temi e motivi che si sovrappongono nella genesi e circolazione del mito.

Passando in rassegna versioni orali e colte e interpretazioni letterarie, storiche e scientifiche, corroborato da una significativa pluralità di fonti, Pitrè nel suo Studio individua occorrenze e variazioni all’interno di un tessuto narrativo che assimila e assembla in uno straordinario processo cumulativo materiali, simboli, dettagli, echi e accenti, eterogenei per provenienza geografica, per collocazione temporale e per genere di attribuzione. «Man mano che ci avanziamo coi secoli – scrive Pitrè – la leggenda si amplia, si arricchisce, acquista altri colori». Anche grazie alle testimonianze popolari che il folklorista raccoglie nel corso delle sue ricerche in varie località dell’Isola, si ricompone in un quadro unitario e quanto mai articolato quel patrimonio culturale tradizionale riconducibile al mito di questo formidabile e speciale nuotatore. '' 

La fine della relazione è stata seguita dall'apertura di un dibattito a cui hanno parteipato con interesse molti dei presenti in sala che hanno posto all'oratore numerose domande e chiesto chiarimenti su quanto già precedentemente detto. Ad essi il Prof. Cusumano ha risposto esaurientemente fornendo anche ulteriori precisazioni e notizie.

Chiuso il dibattito il Prof. Valenti a ricordo della serata ha offerto all'ospite il  libro '' La scia dei tetraedri - Nel mare gastronomico delle Egadi ''.



















Sono quindi seguiti i saluti di arrivederci a domenica 19 giugno 2016 alle ore 19.00 presso la pizzeria '' L'ancora '' di Lido Valderice ( TP ) da raggiungere con mezzo proprio per la '' Sagra del cabucio '' ultimo evento della prima parte del programma annuale delle attività prima della interruzione per la sosta estiva. 

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