2017 - 04 - 22:Prof. Salvatore Valenti - Il Medioevo in Sicilia e la Scuola poetica siciliana
Sabato 22 aprile 2017 alle ore 18.30 nella sala delle riunioni dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti si sono incontrati per partecipare al settimanale incontro previsto dal programma delle attivtà del XXXI Corso di cultura per l'anno 2017.
Ha relazionato sul tema '' Il Medioevo in Sicilia e la Scuola poetica siciliana '' il Prof. Valenti Salvatore , Presidente del sodalizio in sostituzione del Dott. Mimmo Macaluso impossibilitato a partecipare per sopravvenuti altri impegni.
Aperti i lavori, il Prof. Valenti, prima di passare alla sua relazione, ha effettuato le seguenti comunicazioni organizzative:
- essendo stata annullata l'escursione a Cerda per la '' Sagra del carciofo '' prevista per martedì 25 aprile p.v. in sostituzione in pari data è stato organizzato un pranzo presso Villa Martinez, C.da Roccaforte, ( TP ). l partecipanti potranno raggiungere il locale con mezzo proprio a partire dalle ore 12.00;
- la scampagnata prevista per il 1° maggio si terrà presso la mannara di Borgo Fazio che potrà essere raggiunta con mezzo proprio alle ore 12.00. I soci che intendessero parteciparvi sono stati quindi sollecitati ad effettuare la relativa prenotazione;
- è stato predisposto e distribuito il programma di massima per la gita lunga da tenersi dal 13 al 20 settembre 2017 nelle Repubbliche Baltiche. I soci che avessero intenzione di prendervi parte sono stati pregati pertanto di comunicare la loro adesione.
Ciò fatto il Prof. Valenti è passato a parlare del tema della serata nel corso del quale è stata proiettata anche una serie di diapositive. La relazione e le diapositive sono state gentilmente ed integralmente rese diaponibili per essere riportate sul sito dell'Associazione come di seguito può essere riscontrato.
'' Il Medioevo in Sicilia e la Scuola poetica siciliana '' di Salvatore Valenti
Per storia dell’età medioevale s’intende, almeno nei confronti del mondo romano-cristiano, quella degli avvenimenti compresi tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e l'Età Moderna, per la quale, per lo più, si adotta come punto il 1492 anno della scoperta del Nuovo Mondo. Questo periodo viene, a sua volta, diviso in Alto e Basso Medioevo, ponendo la divisione intorno all'anno Mille. Questo Millennio, che fino a qualche anno fa veniva definito Età di Mezzo, Media Tempestas dalle connotazioni piuttosto negative, ha trovato, in questi ultimi anni, convinti estimatori in grado di valorizzare gli avvenimenti che lo caratterizzarono.
Esso si presentò con aspetti diversi nelle varie parti della nostra penisola. Caratteristiche peculiari presentò il medioevo siciliano rispetto a quello continentale. Eccettuata la presenza delle cosiddette popolazioni barbare ( Goti ), uguale a quella che si stanziò nel resto d'Italia, la Sicilia vide un prolungarsi dell'esperienza dell'impero romano, anche se d'oriente, allorquando Giustiniano I inviò il generale bizantino Belisario a ristabilire una presenza greco-latina con la guerra greco-gotica (535-555). A Lilibeo, quindi Marsala, resisteva una presenza gotica con Amalafridà sorella di Teòdorico e sposa del re gotico Trasamondo. L'esperienza greco-latina si interruppe ad iniziare dall'827 con l'invasione da parte delle popolazioni arabe guidate da ibn Asad al Furat che più che uno stratega militare era un famoso giurista e teologo.
Narra Abu al Arab che Asad parti per la Sicilia nel mese di rabì primo del duecento dodici, 14 giugno 827, con un esercito di diecimila cavalli circa e si imbarcò a Susa. Lo accompagnarono i principali dottori e molti notabili, come aveva ordinato Ziadat Allah, per fargli onore: "Cavalcava Asad con numeroso stuolo. Vedendo si gran tratta di gente di faccia, alle spalle, a dritta e a sinistra, mentre a nnitrivano i cavalli, batteano le tabelle, sventolavano le bandiere, ei disse: non v'ha Dio che il Dio unico, senza compagni. Affè di Dio, o nobile adunanza, né il padre, né l'avolo mio ebber comando, e pur nessuno ha mai visto uom al quale siano fatti questi onori che voi vedete! Ebbene sappiate ch' io li ho conseguiti con la penna, non con la spada. Su dunque, sforzate alacremente gli animi, affaticate i corpi nel cercare scienza; fatene
tesoro, senza mai saziarvene; soffrite i travagli ch' essa vi arreca e sappiate che ne conseguirete guiderdone in questa vita e nell'altra". Indi parti per la guerra sacra di Sicilia con il fiore dei guerrieri musulmani d'Africa.
La presenza araba anche se soffocò, sotto certi aspetti, le popolazioni indigene, contribui, per altri versi, ad integrarsi con la cultura locale dando un notevole apporto alla gestione del territorio: la divisione in valli: Mazara, Noto, Demone, l'introduzione di nuove tecniche di irrigazione, l'incremento dell'agricoltura con prodotti tipici delle colture orientali: cotone, gelso, agrumi, riso, canna da zucchero, palma ecc...Notevoli, in tutta l'isola ma soprattutto nelle città principali e Palermo in particolare, la costruzione di moschee e monumenti che abbellirono e resero importanti i luoghi ove furono edificati. Gli arabi ebbero una loro cultura di notevole spessore arricchita, peraltro, dalle esperienze che maturarono attraverso i contatti con popoli dell'estremo oriente. Per tutti i filosofi Avicenna ed Averroè, matematici inventori dell'algebra, astronomi, poeti, geografi ecc...
La presenza araba in Sicilia (827-1060) diede un notevole contributo alla toponomastica, molti nomi di città, paesi, contrade, portano ancora ai nostri giorni denominazioni arabe: Calàt ( castello ), racàl ( casale ), gèbel ( monte ) ecc... arricchì il lessico comune e diede vita a spazi culturali di ogni tipo compreso quello poetico ad iniziare dal poeta Al-Billanubi (cosi chiamato perché nativo di Villanova nei pressi di Bivona) che nella sua poesia tratta il tema del vino e dell'amore con una nota di amarezza e dolore:
Mi hanno ucciso sguardi di donne simili a statue, fra un candore di denti e labbra di scura porpora;
dopo avere detto che la mia giovanile follia si era ormai conclusa, eccola rendermi nuovamente pazzo d’amor e passione;
nel suo volto ho visto la luna, sorridente nel suo viso radioso: appesami ha interrogato il mio occhio: l’aveva vista sveglio oppure in sogno?
Avessi almeno approfittato di lei! Non sarei oggi tormentato dal pentimento!
Altro poeta Abu ‘l-Arab nato nel 1033, che, all’arrivo dei Normanni, si trasferì a Siviglia lasciandoci dei versi che denotano l’immenso dolore di dover lasciare la sua patria:
Perché corro dietro a vane , fallaci speranze?
Mi basta solo ch’io batta dritta la via.
Ma dove ne andrò? Già l’anima mia esitante
or verso occidente, or verso oriente si volge…….
….anima mia, non lascire che lo sconforto ti abbatta,
caccia da te lontano questo tuo triste compagno.
Altro ancora Ibn Hamdis nel cui canzoniere ci sono note di rimpianto degli anni giovanili trascorsi in Sicilia:
Oh custodisca Iddio una casa in Noto, e fluiscano
su di lei le rigonfie nuvole!
Ogni ora io mela raffiguro nel pensiero, e verso per lei
gocce di scorrenti lacrime.
I normanni fuirono della collaborazione di quanti prima di loro erano stati nell’isola e, soprattutto, dei bizantini e degli arabi la cui presenza è evidentissima nella costruzione delle cattedrali di Cefalù, in quella di Monreale, di Palermo, della Martorana, di S. Giovanni degli Eremiti, della Zisa, della Cuba, di S. Giovanni dei Lebbrosi per citarne alcune. Ma Ruggero si avvalse anche della collaborazione di Edrisi cui commissionò uno studio scientifico sull’isola che va sotto il titolo de: Il libro di re Ruggero.
Fu, però, sotto gli Svevi ed in particolare sotto l’illuminato Federico II (1194 – Puglia 1250 ) che si diede impulso alle lettere per via degli interessi che in questo campo manifestò l’imperatore, e perché si circondò di presenze che anche per le lettere avevano una inclinazione particolare. Federico II puntò molto sulla cultura per tenere legate tutte le forze creative del regno, per il compimento di quell’unità politica a cui aspirava. Seguì in prima persona i lavori che gli stavano a cuore servendosi di persone fidate e dotte, come Pier della Vigna, per portare avanti i suoi piani di grandezza.
Federico II che aveva a cuore l’unificazione degli stati, progettò una lingua comune per tutte le popolazioni a lui soggette. Favorì, perciò, la nascita di una lirica di corte che diede vita, poi, alla Scuola poetica siciliana che, assieme a quella toscana, darà vita alla lingua
nazionale italiana.
Tra i temi trattati dai rappresentanti della scuola quello amoroso che domina nel cuore degli uomini, portatore, anche, di sofferenze. Questi temi saranno ripresi da li a poco dai poeti del Dolce Stil Novo dando risonanza maggiore anche per i poeti che caratterizzarono la corrente, non ultimo lo stesso Dante Alighieri che nel XII libro del I capitolo del De Vulgari eloquentia sostiene la scuola poetica siciliana essere alle radici della storia della poesia italiana.
L’esperienza dei poeti siciliani non fu un’esperienza isolata, essa ebbe radici europee e fu parallela a movimenti più o meno coevi in altre lingue basti basti pensare ai trobadors provenzali, ai trovueres francesi, ai minnesanger dell'area germanica, ai sagrel o trobador dell'area galleco- prtoghese.
Uno dei meriti principali di Federico II in fatto di poesia fu quello di avere trapiantato alla sua corte il modello offerto dalla lirica provenzale.
Di poeti provenzali infatti si era circondato in Italia e in Sicilia soprattutto che trovarono rifugio alla corte di Federico II allorquando furono esiliati dalle loro contrade.
Se poi vogliamo approfondire aggiungiamo che il padre di Federico Il, Enrico Vl, era stato un Minnesanger cioè cantore d'amore in Germania, la madre una normanna. La sua educazione era prevalentemente basata su quella tedesca e francese anche se poi parlava il latino, il greco, l'arabo e frequentava i bassifondi palermitani.
Per quanto riguarda la Scuola poetica siciliana il nostro ricordo va a Giacomo da Lentini ritenuto il caposcuola della corrente ed inventore del sonetto. Riportiamo parte di una canzonetta in cui l'amore del poeta, pacato ed interiorizzato, confessa il suo amore e le sue pene cercando
conforto nel dipinto immaginario che lo avvicina alla donna:
Meravigliosamente
un amor mi distrugge
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo pinge
la simile pintura,
cosi, bella, fac'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch’eo vi porti,
pinta come parete,
e non pare di fore.
O Deo, cò mi par forte. ( come mi sembra crudele )
Non so se lo sapete,
con’ v’amo di bon core:
ch’eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore……
…..canzonetta novella,
và canta nova cosa;
lèvati di matino
davanti a la più bella,
fiore d’ogni amorosa,
bionda più ch’auro fino:
lo vostro amor ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino.
Riportiamo, ancora, un sonetto in cui l poeta sembra anticipare il dolce stil nuovo in quanto a struggimento dell’innamorato:
Molti amadori la lor malatia
portano in core, che ‘vista non pare;
ed io non posso sì celar la mia,
ch’ella non paia per lo mio penare:
però che so sotto altrui signoria,
né di me non ho niente a-ffare,
se non quando madonna mia voria
ch’ella mi pote morte e vita dare.
Su' è lo core e suo so' tutto quanto;
e chi non ha consiglio di suo cuore
non vive infra la gente come deve:
cad io non sono mio né più né tanto
se non quando madonna è de mi fore
ed uno poco di spirito è in meve.
Altro illustre rappresentante della scuola poetica siciliana Jacopo Mostacci ( Messina ? ) i cui componimenti sono incentrati tutti sul tema dell’amore e nei quali ribadisce che la natura dell’amore, secondo lui, deriva dal piacere e dalla propensione dell’uomo ad amare. Nel seguente suo sonetto ha come interlocutore Pier della Vigna:
Sollecitando un poco meo savere
e con lui mi vogliendo dilettare
un dubio che mi mise ad avere,
a voi lo mando per determinare.
Ogn’omo dice ch’amor ha potere
e li coraggi ( cuori ) distringe ad amare,
ma eo non lo voglio consentire,
però ch’amor no parse ni pare ( perché l’amore non è visto né si vede )
ben trova l’om una morositate
la qual par che nasca da piacere,
e zo vol dire om che sia amore.
Eo no li saccio altra qualitate;
ma zo che è, da voi lo voglio audire:
però ven faccio sentenziatore ( giudice ).
Continuiamo con Pier della Vigna da Capua, figura politica e culturale di primo piano molto stimato d Federico II di cui fu segretario.
Il sonetto che segue è in tenzone con Jacopo Mostacci a cui manda a dire che l’amore, a prescindere se si veda o no, è come sostanza e non come qualità accidentale:
Però ch’amore no si po' vedere
e nonsi tratta corporalmente, ( e no si tocca materialmente)
manti ( tanti ) ne son di si folle sapere
che credono ch’amor sia niente.
Ma po' ch’amore si face sentire
dentro dal cor signoreggiar la gente,
molto maggio presìo ( pregio ) dee avare
che se’l vedessen visibilmente.
Per la vertude de la calamita
come lo ferro attira e no si vede,
ma sì lo tira signorevolmente;
e questa cosa a credere mi ‘nvita
ch'amore sia; e dàami grande fede
che tuttor sia creduto fra la gente.
Chiudiamo con il notissimo Cielo d’Alcamo poeta colto e valido sperimentatore; conobbe i poeti nostri e i lirici cortesi servendosi della loro poesia per parodiarla a favore della realtà e delle vita. Prova di ciò il famosissimo contrasto Rosa fresca aulentissima che non riportiamo a causa della sua lunghezza ma che invitiamo a leggere o rileggere a testimonianza di una spontaneità descrittiva e di un indubbio contributo
che diede alla nascita della lingua italiana da quel profondo sud.
Questo contrasto, scritto tra il 1231 e il 1250 è un capolavoro della poesia del Duecento. I protagonisti sono due giovani del popolo che appartengono al ceto medio-borghese, pronti a ostentare la loro cultura intrisa di francesismi e latinismi per divertimento dell'autore. Si tratta di un innamorato che manifesta il suo amore a una donna che, se all'inizio non vuole sapere nulla e risponde per le rime, a poco a poco, perde la sua baldanza e cede alle insistenze:
"Rosa fresca aulentissima
ch'apari inver' la state,
le donne ti disiano
pulzelle e maritate:
tràgemi d’este focora
se t’este a bolontate;
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi madonna mia ‘’
‘’ Se di me trabàgliti,
follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere ( zappare al mare )
aventi a semenare ( seminare al vento )
l’albere d’esto secolo
tutto quanto asembrare:
avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m’aritonno’’……" ( preferisco tagliarmi i capelli e farmi suora ).
E, alla fine:
…’’ meo sire, poi juràstemi
eo tutta quanta incienno. ( infiammo )
Sono a la tua presenzia
da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àjoti, ( se ti ho disprezzato )
merzè, a voi m’arenno
a lo letto ne gimo a la bon’ora,
chè chissa cosa ne data in ventura ‘’
Alla relazione ha fatto seguito un dibattito cui hanno preso parte molti dei presnti in sala alla chiusura del quale il Prof. Valenti prima dei saluti di commiato ha ricordato:
- l'appuntamento per il pranzo del giorno 25 aprile p.v.
- il prossimo incontro in programma previsto per sabato 29 aprile 2017 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione.