2017 - 04 - 29: Prof. S. Valenti, Prof. F. Giacalone, Dott. M. Scalabrino - Domenico Li Muli: l'artista ed il poeta

Sabato 29 aprile 2017 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32 un numeroso gruppo di soci e di simpatizzanti hanno partecipato all'incontro previsto dal programma delle attività del XXXI Corso di cultura per l'anno 2017.



















Rimandato a data da destinarsi l'incontro con il Prof. G. Carlo Marino in quanto non disponibile, il tema della serata, su cui hanno relazionato il Prof. S. Valenti, il Prof. F. Giacalone ed il Dott. M. Scalabrino, è stato: '' Domenico Li Muli: l'artista ed il poeta ''. Nel corso dell'incontro il Signor Alberto Noto ha inoltre letto alcune delle poesie scritte dallo scultore nell'insolita veste, peraltro poco conosciuta, anche di poeta.


Aperti i lavori della serata, ha preso la parola il Prof. Valenti che dopo aver salutato i presenti in sala e presentato brevemente gli altri oratori,  ne ha approfittato per comunicare alcune informazioni organizzative:
- il locale in cui è stata fissata la scampagnata del 1° maggio p.v. è '' A' mannara '' di Borgo Fazio da raggiungere alle ore 12.00 con mezzo proprio e poichè erano ancora disponibili alcuni posti si aveva ancora la possibilità immediata di effettuare la relativa prenotazione
- essendo stato reso noto il programma del viaggio lungo del '' Tour delle Capitali Baltiche '' per una adeguata organizzazione del viaggio chi avesse intenzione di prendervi parte dovrebbe segnalare per tempo ed al più presto la sua intenzione a parteciparvi.



















Si riporta una sintesi liberamente tratta da quanto riferito dal Prof. Valenti, nonchè le diapositive proiettate nel corso del suo intervento, e di quanto riferito dal Prof. Giacalone che ha gentilmente donato all'Associazione due sue pubblicazioni dal titolo '' Biografia e sculture di D. Li Muli '' e '' '' D. Li Muli - Disegni ( Capolavori nascosti ) '' ed un quadro originale dell'artista perchè possa essere esposto a suo ricordo nei locali del sodalizio.

Per quanto donato all'Associazione il Prof. Valenti ha sentitamente ringraziato il Prof. Giacalone.
In relazione a quanto riferito invece dal Dott. Scalabrino e delle diapositive proiettate nel corso della sua esposizione si riporta integralmente il testo e le foto essendo state rese gentilmente disponibili per essere inserite su questo sito.

Chiuse le comunicazioni il Prof. Valenti ha iniziato a relazionare sul Li Muli evidenziando che oltre ad essere un artista trapanese e scultore, è stato anche poeta avendo scritto anche delle poesie su cui successivamente il Dott. Scalabrino avrebbe relazionato.
Egli pertanto, nel ricordarlo, si è limitato a considerare solamente alcuni aspetti della sua formazione artistica e di alcune sue opere quali la '' Fontana del Tritone '', il Mistero la '' Sollevazione della croce '' da molti non accettato e criticato, il bozzetto di un monumento a Pinocchio mai realizzato, la staua del '' Normanno '' che si ritrova a Palermo, la  scultura '' La famiglia '', la '' Cacciata dall'Eden di Adamo ed Eva '', ecc.  di cui si riportano le diapositive. Ha concluso dicendo che con quanto detto ha voluto solamente dare un'idea di quella che è stata la sua realizzazione artistica dove sempre privilegiò le forme classiche lasciando alla sua dipartita molti bozzetti, disegni e quadri.



















Ha quindi ceduto la parola al Prof. Francesco Giacalone che del Li Muli fu per molto tempo buon amico e consigliere che invece si sarebbe intrattenuto brevemente della sua biografia.  



Il Prof. Giacalone ha esordito salutando i presenti e ringraziando l'Associazione che gli ha dato l'occasione di parlare del Prof. Li Muli del quale soprattutto nell'ultimo periodo della sua vita quando cominciò ad essere impossibilitato nella deambulazione ne curò il soggiorno in una casa di riposo insieme alla moglie Maria.

































































Ha ricordato che, anche lì ogni settimana, come prima nella sua casa nel centro di Trapani, alcuni vecchi amici continuavano a ritrovarsi per discutere, ascoltare musica e fare cultura.

Nato a Trapani nel 1902 si trasferì a Palermo per proseguire i suoi studi all'Accademia delle Arti classiche. Ivi conobbe la moglie Maria che sposò nel 1938 per poi ritornare a Trapani dove si dedicò all'insegnamento del disegno e dove poi morì all'età di quasi 101 anni per le conseguenze nefaste di una banale influenza nell'aprile del 2003.

Si è rammaricato che, a parte l'intitolazione ad esso di una galleria ubicata in via Garibaldi, la Città di Trapani non gli abbia ancora intitolato una via ma soprattutto non abbia pensato di effettuare una riproduzione in bronzo o in marmo della '' Fontana del Tritone '' divenuta negli anni simbolo della città, dallo stesso realizzata in cemento armato, che ormai tende a disgregarsi nonostante i recenti restauri per le ingiurie del tempo.

Ha riferito inoltre che per volontà dell'amico scomparso egli ha in custodia moltissime delle opere del Maestro e che, solo per sua insistenza, si convinse a stampare un volumetto su cui sono riportate le sue poesie dal titolo '' Eco di pensieri ' del quale il Dott. Franco Di Marco scrisse l'introduzione e Nat Scammacca la prefazione. 

Con piacere inoltre che ha voluto donare all'Associazione due sue pubblicazioni sul Li Muli ed un suo quadro originale perchè fosse esposto nei locali del sodalizio a ricordo dell'illustre artista trapanese.

Ha preso quindi la parola il Dott. Scalabrino di cui integralmente e di seguito si riportano la relazione e le diapositive proiettate in quanto gentilmente rese disponibili.

'' Domenico Li Muli - Eco di pensieri ''  di Marco Scalabrino 

Buon pomeriggio a tutti!
 
Desidero ringraziare il presidente dell’Associazione, Prof. Salvatore Valenti, per avermi invitato a spendere qualche parola sull’opera letteraria di Domenico Li Muli, uno fra i più illustri nostri concittadini. Desidero, inoltre, sentitamente ringraziare voi tutti per la gradita, numerosa e qualificata presenza. Inframmezzeremo questa conversazione con la lettura, a cura di Alberto Noto, di alcuni testi.
 
Confesso che, principalmente per motivi anagrafici, la mia conoscenza del Maestro Li Muli è stata, per così dire, quella pubblica, quella ufficiale; è stata sostanzialmente circoscritta al grande artista che realizzò nel 1951, nella Piazza Vittorio Emanuele della nostra città, il monumento della Fontana del Tritone, fontana e monumento con deliziosi getti d’acqua che ben mi ricordo sin da bambino.   

E non faccio mistero che, fino a qualche tempo fa, non mi era noto che, oltre alle sue rinomate realizzazioni in ambito figurativo (la pittura, il disegno, la scultura – per ultima, nel 1986, il monumento collocato a Pizzolungo, in memoria dell’attentato nel quale perirono una madre con i suoi due figlioletti), non mi era noto – dicevamo – che egli avesse altresì dato alle stampe un’opera letteraria.

In verità, si tratta di una pubblicazione che non presenta i crismi di una edizione così come di norma la si intende; bensì di un opuscoletto, di poco più di sessanta pagine, stampato in Trapani dalla Tipografia Di Caro nel maggio 1995; volumetto al quale, ad essere del tutto sinceri, non avrebbe fatto male un buon lavoro di editing.















Una pubblicazione i
n tiratura contenuta che Domenico Li Muli, il quale all’epoca aveva 93 anni (era nato difatti l’8 luglio 1902 a Trapani, dove morì l’8 marzo 2003), pensò di destinare, come talora avviene, a una ristretta diffusione fra i familiari, gli amici, gli ammiratori.

Nondimeno, ciò non inficia affatto la qualità del lavoro.

Il piacere di avere per le mani quel libro, di annusarlo, di leggere quelle pagine, si è ben presto trasformato in vera gioia allorché, appena sfogliatene le prime facciate, ho letto i nomi a me assai cari (ma cari ritengo a parecchi di noi) di Franco Di Marco e di Nat Scammacca; il primo, infatti, ne ha scritto la breve introduzione, il secondo ne ha redatto, da par suo, la squisita prefazione.

 Per inciso, oltre ad averli ambedue conosciuti, per lunghi anni frequentati, ad avere goduto della loro stima e della loro amicizia, il primo, Franco Di Marco, ha stilato la prefazione al mio volumetto del 1999 Poems / Puisii, nel quale ho racchiuso, a mo’ di omaggio venti mie traduzioni in dialetto siciliano di altrettanti testi del secondo, Nat Scammacca, tratti dal suo triplice prezioso cofanetto Ericepeo.

E giusto su Ericepeo, nonché sul mastodontico e fantasmagorico volume ANTIGRUPPO 73, a cura appunto di Nat Scammacca, ho avuto il piacere e l’onore di relazionare dopo la scomparsa di quest’ultimo.   




































Vedete quanto è piccolo il mondo e come le strade di coloro che rincorrono l’Arte, prima o poi, si intersecano!

E allora non possiamo non iniziare l’odierna lettura di Eco di pensieri, la silloge di Domenico Li Muli della quale succintamente ci occuperemo, giusto a partire da loro.

“Semplicità e freschezza – scrive Franco Di Marco – sono le doti che più immediatamente si percepiscono nelle sue poesie; poesie un po’ naif che riservano qualche autentica sorpresa.”

“Nella loro semplicità – appunta Nat Scammacca –, con profondità di pensiero, le sue poesie esprimono una visione positiva della vita; egli vede il bello e il buono dove altri spesso non riescono. Frutto del sentimento e della saggezza, nei testi di Domenico Li Muli traspaiono la ricerca teologica e quella del significato dell’esistenza; si coglie una esperienza umana e poetica che riesce a commuovere.”

Scultore prevalentemente in bronzo e in marmo (nel suo studio in via Fardella, sua allieva è stata una giovanissima Carla Accardi); docente presso vari istituti: il Liceo Artistico “Carreca”, il Liceo Classico “Ximenes” e la Scuola Media “Livio Bassi”; rifondatore, fra gli altri, a Trapani, nel secondo dopoguerra, dell’Associazione Amici della Musica; Conservatore Onorario, negli anni Settanta, del Museo Pepoli; figura che attraversa tutto il ‘900, la vita di Domenico Li Muli (e della moglie) – non svelo nulla di nuovo – è stata una vita dedicata all’Arte; la loro casa (denominata “l’armoniosa”), come uno scrigno, riuniva con sistematica frequenza, in una sorta di cenacolo artistico, uomini di lettere e di cultura, per discutere d’arte e per ascoltare musica.

Ciò concisamente riferito, a noi oggi spetta provare a scoprire a quale “autentica sorpresa” Franco Di Marco allude e provare magari ad affiancare, alle stimolanti considerazioni già asseverate da Nat Scammacca, delle ulteriori considerazioni critiche, nonché a rintracciare in quei testi alcuni degli esiti lirici e delle scelte formali ai quali il Maestro Li Muli è pervenuto.

Eco di Pensieri recita il titolo!

Deliberatamente, nessun sottotitolo, alcun riferimento, nemmeno una allusione velata a … poesia.

E ciò perché tale, quella ovvero di nitidi, benché rigogliosi e dignitosissimi pensieri è stata la connotazione che egli ha voluto dare a questi suoi scritti.

Ma non bastasse, egli ha inteso inoltre – per così dire – derubricare, temperare, mitigare la voce dei suoi pensieri; sì che essa assottigliando il suo vigore e, nel tempo e nello spazio dilatandosi, abbia ad estendersi e pervenire al lettore – come di fatto è avvenuto con noi – per onde sonore successive e reiterate, per ovattata ciclicità e li ha, perciò, definiti Eco di Pensieri.

Non dimentichiamo oltretutto, ma avremo comunque modo di appurarlo a breve, la formazione umanistica di Domenico Li Muli e la sua predilezione dell’età classica, del mito e delle tematiche a loro attinenti: alla pagina 19 il centauro Chirone che allena Achille al tiro con l’arcononché taluni altri riferimenti qua e là sparsi per la silloge: Prometeo, alla pagina 23; il famoso vaso di Pandora alla pagina 38; Fidia lo scultore, alla pagina 55.    



















E dunque perché escludere, perché non supporre che, all’atto di porre un titolo alla sua raccolta, il Maestro Li Muli abbia di proposito anteposto il termine “eco” ai suoi lirici pensieri?

Eco d’altronde, è notorio, nella mitologia greca fu la “ninfa dei boschi e delle sorgenti che amò invano il bel Narciso e, alla morte di lui, scomparve e divenne una voce, che ripete le ultime sillabe delle parole che vengono pronunciate”.         

Alla riproduzione, in copertina, di un soggetto equestre fanno seguito all’interno, a corredo del volumetto: in apertura una fotografia in bianco e nero riproducente un gruppo di suoi lavori e, nel corpo del libro, nove altre riproduzioni delle opere di Domenico Li Muli.   















In una sorta di didascalia premessa ai testi, nel confidarci: “Avrei sperato che la mente ingrata mi fosse stata più generosa”, Domenico Li Muli fa encomiabile atto di modestia; ma ancor prima vi premette l’affettuosa dedica “A mia moglie”.    














Maria Crupi, moglie solerte, compagna fedele e musa ispiratrice, presenza certa, assidua, rassicurante, viene evocata reiteratamente e in tenerissime immagini nei suoi testi; perché in lei, “la compagna che mi assegnò il fato … spartendo avversità e gioie … trovo l’amore”; in lei che“sferruzza con filo bianco”; in lei, nei suoi “colpetti di tacchi di donna”, egli scorge “l’altra me stessa”; fra loro, un lungo ininterrotto “dialogo d’amore” si stende.    









“Cosa vi imprimo?”, dice egli a se stesso davanti al foglio bianco: “Parole in prosa, / parole in versi, / parole altosonanti, / parole dimesse?” E allora, non ci stupisce che, “immerso nel silenzio mattutino”, i suoi interrogativi, le sue meditazioni volino alto, s’ammantino di trascendenza e che il testo d’esordio, il testo che apre la raccolta, abbia per titolo Dio.

Già Nat Scammacca rilevava accortamente la “ricerca teologica” del Maestro Li Muli e noi pertanto non fatichiamo, negli interrogativi che il Nostro si pone: “Chi questi nulla combina in cose? / In mari e monti e piante? / In esseri vivi ed esseri pensanti?”, e non esitiamo, in colui che alla “mente umana” donò “l’intelletto”, a riconoscere il “Creatore”.

Registrato in primis che i testi, tutti assai brevi (non superano i ventitré versi), sono in numero complessivo di trentacinque, questo componimento ci offre il destro per soffermarci su un paio di aspetti “tecnici”. 

Semplice cosa è vedere il seme … / Semplice cosa è vedere il cielo … / Semplice cosa è il dire amore…”.

L’anafora (dal greco anaphéro, la ripetizione vale a dire di una o più parole all’inizio di versi successivi, per sottolineare un’immagine o un concetto) è, in assoluto, la figura retorica della quale Domenico Li Muli maggiormente si avvale.

Ne sono altri esempi: “E ci fu festa in casa Bannino / E ci fu festa  quando il bimbo ebbe nome / E ci fu festa quando all’altare poi venne”, nel testo appunto E ci fu festa; “Salutare è il potar la rosa / Salutare è chinarsi a dure leggi / Salutare è il dolore del parto”, nel testo Per aspera ad astra.

E ancora, disseminati nel volumetto: “Beato chi non piange ... Beato chi crede … Beato chi spera...”; “C’è silenzio nella solatia campagna ... C’è silenzio tra i fermi rami ... C’è silenzio tra quei pochi all’ombra ...”; “A che serve scrivere … A che serve stimolar la mente … A che serve scrivere …”; “Ho tentato imitar Fidia … Ho tentato plagiar Dante … Ho tentato scrutare il creato …”; eccetera.

Il componimento Dio peraltro, in tutto solamente sei versi, ribadisce con fermezza la presenza di Dio nella vita dell’autore, mediante la reiterazione al secondo, al quarto e al sesto verso delle parole: “ma è proprio lì che vedo Dio”.

Giace su letto imenèo la puerpera”, leggiamo, alla pagina 20, al primo rigo del testo Il parto.


















Il verseggiare di Domenico Li Muli, si è già affermato, è semplice, ha una costruzione diretta, essenziale; tuttavia per nulla privo di accenti lirici, di solide formulazioni sintattiche, di intuizioni e di soluzioni di spessore. Esso per di più, in aggiunta ai genuini sentimenti, ne ribadisce il radicato impianto umanistico, il retaggio forbito e aulico. Ne sono lampanti testimonianze le citazioni letterarie e il lessico schierati dall’autore.

Oltre a imenèo, nel significato di “nuziale”, lungo le sessanta pagine, rinveniamo: bubbola un tuono, nel significato di “rumoreggia”; un vecchio abituro, arcaismo per “umile dimora”; le espressioni oggi desuete: duolo eterno, vo distillando ricordi, freddo silente; alcune voci tronche: or ne tolsi or ne aggiunsi, guizzar di luci, eppur è gran conforto; nonché copiosi passi permeati di mitologia greca: dalla figura Fetonte (figlio del Sole e di Merope, il quale, secondo Esiodo, si levò sul carro paterno nel cielo da dove, fulminato da Zeus, precipitò nell’Eridano, il Po) a quella di Fidia (il celebre scultore greco legato alla costruzione del Partenone), al richiamo al vaso di Pandora, l’orcio pieno di tutti i mali che Zeus affidò a Pandora e, allorché da costei venne per curiosità aperto, i mali si sparsero per il mondo procurando tremende sciagure all’intero genere umano.

Emblematici inoltre parecchi titoli: Promèteo, il Titano che donò agli uomini il fuoco del quale Zeus li aveva privati e che il padre degli dei punì facendolo incatenare e inviando l’aquila a divorargli il fegato che sempre ricresce; So che non so, locuzione palesemente mutuata da una delle tesi più famose di tutta la storia della filosofia: quella della “docta ignorantia”, che Socrate espose durante il processo che si concluderà con la sua condanna a morte. L’equilibrio fra la fiducia nella ragione e la consapevolezza della propria ignoranza è uno dei doni più preziosi che Socrate ha lasciato in eredità ai posteri; Per aspera ad astra, che dal latino significa: “attraverso le asperità [giungere] alle stelle”.

E non è da meno, a supporto del suo veritiero trasporto verso la musica – al quale si è fatto prima cenno – un intero componimento dedicato Al Violino, uno degli strumenti principi degli ensemble da camera e delle orchestre.



















E giusto in questo componimento, Al Violino, due nuove figure retoriche assai frequenti nella letteratura si affacciano; nel verso Non più ti lascerai palpare, l’anastrofe, dal greco anastrépho, invertire, andamento sintattico per il quale si inverte l’ordine abituale delle parole, e subito dopo nei versi: Sei muto e chiuso / nella tua  custodia nera / come lui rimane chiuso / nella sua lignea bara, la similitudine, in latino similitudo e in greco parabolé,“paragone tra due o più termini”, da cui deriva il vocabolo parabola.

Rilevata, alla pagina 24, nel testo Piaceri crudeli, una faceta condanna della pratica venatoria, di quella perlomeno indiscriminata, sregolata, di ambiente futurista viceversa è il testo L’idrovolante (“lamato idrovolante” rimanda manifestamente a Filippo Tommaso Marinetti), il quale sfoggia una ulteriore figura retorica: l’accumulazione, la serie ovvero di lemmi accostati in modo ordinato o caotico, senza un percorso strutturale predefinito: rantolii di forgestridii di pialle ... picchettii di martelli … brontolii di motori; accumulazione che ritorna nel testo titolato Armonia: i bimbi … le farfalle ... le piante … le montagne …il sole … le stelle … le galassie.

Una macchia mi fingo nel silenzio ... Eppure in questo immenso è la mia casa, / le mie chimere e la miacompagna.

Sono versi desunti dal testo Se da lontano, che denotano una sorta di crepuscolarismo, che in toni dimessi, altalenanti fra nostalgia e malinconia, cantano l’amore per le piccole cose, per gli ambienti di provincia, cercano tranquilli angoli di mondo e luoghi intimi dellanima nei quali rifugiarsi: il luogo natio ... la mia casa ... la mia compagna.

Le superiori sono fra le osservazioni preminenti che attengono alla raccolta, ma numerose altre, parimenti intriganti, se ne possono annoverare.

Rimarchevoli, nel testo Mare, laccostamento insolito al termine mare dellaggettivo glauco, dal latino glaucus e dal greco γλαυκός, brillante, di colore tra il celeste e il verde, ceruleo; e spiccano, nel medesimo testo, un paio di esempi di fulgida liricità: s’ingrande l’animo mio quando ti miro, Eppur l’immane conca ti è prigione;               

fa capolino, nel titolo Piaceri crudeli, l’ossimoro, consistente nell’accostare parole che esprimono concetti contrari; ossimoro che ritroviamo nei titoli L’orrendo meraviglioso e Dialogo muto.

E, ancora insistendo sulle figure retoriche, il polisindeto: e fondo di vario verde / e tronchi dalberi e rami / e cielo pulito e azzurrino, dal greco polýs (molto), sýn (con) e dèin (legare), che consiste nel ripetere la congiunzione davanti a ogni elemento, frase o parola che si vuole coordinare; la figura etimologica, odioso odio, nel titolo Nozze d’oro, e fu solo un sogno il sogno sognato?, nel testo Ho tentato, che rientra nella famiglia delle paronomasie e consiste nell’accostamento di due parole aventi la stessa radice, la medesima origine.



















Non vi difettano poi, lo sguardo rapito all’universo e la constatazione della propria finitezza, che è in definitiva quella dell’essere umano, nel titolo
L’orrendo meraviglioso: O stelle della notte illune, / dalla panca ove sto crocifisso, / estasiato al cospetto vostro, / lasciate che vi miri;

e, nella estatica contemplazione della natura, un indizio di francescanesimo nella “Armonia che unisce tutto: farfalle, piante, montagne, il sole, le stelle, le galassie”;

nonché, intrisa di sensualità di altri tempi e di screziata perizia narrativa, l’atmosfera peculiare di certi quadri impressionisti di Pierre Auguste Renoir, nel testo Mercanzie: Sui soffici cuscini, azzurri e gialli, / giace inerte la carne tua / e sbadigliando aspetti / chi per denaro s’inebria / della tua falsa voluttà.     

A una vita assai lunga come quella di Domenico Li Muli (ricordiamo che egli visse oltre 100 anni, superò due guerre mondiali, attraversò il boom economico degli anni ‘60 e il riflusso della fine del secolo e del millennio appena posti in archivio), e di conseguenza alla sua “penna”, ben si comprende che non possono essere estranee le pagine e i temi afferenti alla memoria e al dolore.

Quanto alla prima, la memoria, nel testo titolato Alba, Sottofondo di flebile radiovo distillando ricordi / della età mia verde, e nel testo titolato Sine titulo, Immerso nel silenzio mattutino tuffarmi nei ricordi, vagando / tra la giovinezza / e l’età appassita, riaffiorano i suoi bei tempi andati.

Quanto al secondo, il dolore, nel testo E ci fu festa, egli ci partecipa lo strazio, ancora non domo a distanza di parecchi decenni, per una giovane vita crudelmente spezzata: ubbidendo ad un comando / andò in guerra e non fece ritorno, con un evidente rimando agli eventi bellici che hanno funestato il nostro paese.

Il protagonista di quel tragico evento inoltre, Gianni Alonzo, un “diciottenne sprizzante giovinezza, carico di sogni”, in un tenero, sofferto inno che preconizza la sua scomparsa, nuovamente viene evocato nel componimento che da lui prende il titolo: non m’appartiene la morte / lasciatemi sbagliare / lasciatemi amare, / ci sarà tempo per rinsavire.  

Singolare, da ultimo, il titolo È progresso?, nel quale la desinenza di tutti e diciassette i versi è in “esso”. In tale testo compare peraltro la non comune voce “sibarita”. Abitante dell’antica città di Sibari, colonia achea sulle coste del golfo di Taranto, rinomata per la ricchezza, il fasto e la mollezza dei costumi, in senso traslato tale voce indica persona dai gusti raffinati, che si circonda di comodità e di un lusso eccessivi.

Avviandoci alla conclusione, non prima però di avere proposto nella sua interezza il testo Potessi inconfutabilmente votato all’utopia, alla pagina 50,             

 Potessi dormire mille e mill’anni.

Potessi riveder la luce

quando le galere saran crollate,

quando ruderi saranno i tribunali

quando armi chiavi e catene

dalla ruggine saran corrosi,

quando roghi saranno

le carte legali,

quando fole saranno

le perversità umane

e senza peraltro lasciarci sfuggire i tratti, appena accennati ma amarissimi, della sua delusione di artista “saturo d’anni”: “Dov’è la gloria tanto agognata? A nulla è valso il mio travaglio”, dalla pagina 57 alla pagina 60, ecco un benaccetto, inaspettato fatto: quattro testi in dialetto siciliano (senza la relativa traduzione in italiano): Matri, Ritornu, U primu mortu, Biatu cu’ avi ciriveddu sanu.

Su essi non ci soffermeremo, tranne che per rilevarne la complessiva buona fattura, la sufficiente cura ortografica, la leggiadria contrassegnata dallimpiego dei vezzeggiativi: labbruzza, ciatuzzu, vuccuzza, e da talune convincenti icone: la manuzza bianca comu la cira; era sira e lenta la nivi cadìa; l’ecu di na campana si sintìa.

L’Eco di pensieri di Domenico Li Muli è giunta intatta fino a noi''.



















La serata si è chiusa con i saluti e l'arrivederci, per i partecipanti alla scampagnata del 1° maggio, e per tutti a sabato 6 maggio 2017 alle ore 18.00 nei locali dell'Associazione per il prossimo incontro previsto  dal programma delle attività relative al 2017, XXXI Corso di cultura non prima che ai partecipanti a nome dell'Associazione il Prof. Valenti donasse una copia del suo libro '' Matrimonio - Usanze e costumi antichi e recenti in provincia di Trapani ''.

 

 

 

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