2018 - 02 - 03: Prof. Salvatore Bongiorno - I trapanesi nella battaglia di Lissa ( 20 luglio 1866 )

Sabato 3 febbraio 2018 alle ore 18.20 nella sala delle conferenze dell'Associazione per la Tutela delle Tradizioni Popolari del Trapanese sita in Trapani via Vespri 32, ha avuto luogo il settimanale incontro previsto dal programma delle attività del XXXII Corso di cultura per l'anno 2018 a cui ha partecipato un numeroso gruppo di soci, di simpatizzanti e di amici del relatore della serata, Prof. Salvatore Bongiorno di Paceco, come egli ama precisare, docente di storia e filosofia in quiescenza.

L'ospite, assiduo partecipante da parecchi anni alle attività culturali del sodalizio, e quindi ben conosciuto e stimato, è stato accolto dal Presidente  e dai presenti in sala con la consueta cordialità e cortesia.

Aperti i lavori della serata, il Prof. Valenti, chiedendo scusa all'ospite e per motivi di opportunità, ha rese note le seguenti comunicazioni organizzative:
- avvicinandosi la data dell'8 febbraio ovvero del '' Giovedì grasso '' sarebbe stato necessario ed opportuno che i soci che intendessero prendervi parte facessero la necessaria ed indispensabile prenotazione per la riuscita dell'evento
- per martedì 13 febbraio, ultimo giorno di Carnevale, non inserito nel programma a suo tempo predisposto ed organizzato quindi all'occasione, è previsto alle ore 18.00 nei locali del sodalizio un incontro con un gruppo di turisti russi nel corso del quale si parlerà delle usanze relative al Carnevale russo ed a quello italiano al termine del quale è stato previsto un rinfresco per il quale sarebbe opportuno effettuare la relativa e tempestiva prenotazione. 

Ciò comunicato, il Prtof. Valenti, prima di cedere la parola all'oratore, ha ricordato che lo stesso ha recentemente pubblicato il suo primo lavoro dal titolo '' Il generale dei picciotti '' in cui parla della forte personalità e delle vicende del Generale Giovanni Corrao  ucciso con due colpi di lupara nel pomeriggio del mese di agosto del 1863 mentre ritornava dalla campagna a casa e la cui uccisione per varie motivazioni rimase purtroppo impunita.

Si riporta di seguito una sintesi liberamente tratta da quanto esposto nel corso dell'evento.

Avuta la parola il Prof. Bongiorno, dopo aver ringraziato l'Associazione per averlo invitato ancora una volta a partecipare alle sue attività culturali, cosa che ha accettato sempre con piacere, è entrato in argomento illustrando brevemente la situazione politica e territoriale dell'Europa e gli eventi che in essa si svolsero dal 1864 a tutto il 1866, periodo in cui in Italia si svolse anche la 3^ guerra d'indipendenza nel corso della quale vi fu anche la battaglia navale di Lissa.

Nel 1864 i Prussiani e gli Austriaci si erano alleati per contendere con le armi alla Danimarca i Ducati dell'Elba e in seguito all'armistizio fu stabilito che l'Holstein fosse assegnato all'Austria e lo Schleswig alla Prussia.
Tuttavia tale situazione a causa di uno spinto antagonismo fra la casa degli Hohenzollern  e quella degli Asburgo portò alla dichirazione di guerra dei secondi nei confronti dei primi il 16 giugno 1866.

Nello stesso periodo in Italia, dopo la 2^ guerra d'indipendenza che si concluse con la sconfitta dell'Austria e con l'armistizio di Villafranca, la stessa fu costretta a cedere alla Francia la Lombardia,  girata poi al Regno di Sardegna, cui seguì l'annessione allo stesso anche dei territori della Toscana, di Parma, di Modena e della Romagna pontificia. Grazie alla spedizione dei Mille, il Regno sabaudo potè annettersi anche il Regno delle due Sicilie.

Pertanto, dalla completa unificazione dell'Italia, restavano fuori il Veneto sotto gli Austriaci, ed i territori pontifici.

In tale situazione l'Italia l'8 aprile 1866 aveva stipulato con la Prussia una alleanza ( non reciproca ) con la quale si impegnava ad aiutare la Prussia nel caso che gli eventi bellici non fossero stati ad essa favorevoli per avere in cambio nel caso che gli esiti fossero invece favorevoli il Veneto.
Tuttavia, il 20 giugno 1866, anelando a liberare il Veneto con le armi, l'Italia dichiarò la guerra  all'Austria dando inizio di fatto alla 3^ guerra di indipendenza e costringendo l'Austria, già in difficoltà per vari motivi, a combattere su due fronti molto lontani fra di loro: il settentrionale con i Prussiani ed il meridionale con l'Italia.

L'esercito prussiano era moderno e ben armato, quello austriaco invece, costretto ad operare su due fronti, era legato a modelli tradizionali.
L'esercito italiano al comando generale del Re aveva come come comandante dello stato maggiore il generale La Marmora, fino ad allora Presidente del consiglio sostituito da Bettino Ricasoli, con 12 divisioni, il generale Cialdini con 8 divisioni più una brigata di volontari comandata da Garibadi.
In totale per l'esercito italiano 260000 uomini contro 160000 uomini di quello austriaco.

Il 24 giugno si svolse la battaglia di Custoza dove inizialmente prevalsero gli italiani conquistando diverse teste di ponte ( 600 furono i morti italiani, 1200 quelli austriaci ), ma la scarsa organizzazione dei comandi italiani, l'incomprensione e la rivalità fra il La Marmora ed il Cialdini, il mancato appoggio tattico di quest'ultimo e la mancata conoscenza della disposizione delle truppe austriache, convinsero il La Marmora a dare l'ordine di ritirata ingigantendo in senso negativo la situazione e convincendo anche il Re che un contrattacco sarebbe stato inutile.
Le truppe italiane si sbandarono e gli Austriaci non trovando più ostacoli e resistenza nella loro avanzata inflissero all'Italia una sonora sconfitta.  Fu costretto a ritirarsi anche Garibldi che invece con la sua brigata aveva conseguito la vittoria a Bezzecca. 

Il 3 luglio 1866, invece, i Prussiani batterono gli Austriaci nella battaglia di Sedowa costringedoli a chiedere la fine delle ostilità anche con l'Italia ed a firmare la pace.
In conseguenza di ciò si costituì l'Impero austro-ungarico, la Prussia assunse la guida del processo di unificazione tedesca, all'Italia fu dato il Veneto tramite la mediazione di Napoleone III.
Il La Marmora fu esonerato e messo a riposo ed il comando passò al generale Cialdini nonostante il suo non adeguato comportamento nel corso della battaglia. 
Il relatore, in merito a questi due generali, ha voluto sottolineare e mettere in evidenza che entrambi si erano particolarmente distinti nell'opera di reprimere i moti di rivolta siciliani dopo il 1860 ed il brigantaggio nel meridione in generale nato in conseguenza di altre motivazioni di cui  successivamente avrebbe parlato.

La cocente sconfitta di Custoza pesava all'Italia per il modo con cui era avvenuta e ciò avviò l'idea di una riscossa che non potendo avvenire sulla terraferma, avendo l'esercito fallito,  doveva essere conseguita sul mare anche sulla prospettiva della conquista delle isole dalmate da sottrarre agli austriaci.
 
La flotta italiana nel 1866 era costituita da navi che avevano una diversa provenienza perchè nata dall'unione della marina sarda, da quella delle due Sicilie e da quella toscana e da equipaggi che ovviamente parlavano dialetti regionali diversi che talvolta creavano incompresione e problematiche.

La mobilitazione della flotta pertanto avvenne il 3 maggio 1866 per ordine del generale Angioletti allora Ministro della Regia Marina con la comunicazione al contrammiraglio Vacca con base a Taranto di raggiungere con le navi Ancona poichè il governo aveva stabilito di costituire una flotta da battaglia, articolata su tre squadre di cui una composta da navi corazzate posta sotto il comando del comandante in capo della flotta, ruolo per cui era stato designato l'ammiraglio Carlo Pellion di Persano, nominato senatore l'anno prima, una squadra sussidiaria composta da navi da guerra in legno al cui comando sarebbe stato destinato il viceammiraglio Albini ed una squadra d'assedio composta ancora da corazzate al comando della quale sarebbe stato lo stesso Vacca. 
La scelta di Ancona era stata dettata dal fatto che il porto era vicino alla prossima zona di operazioni, che vi era una quantità di carbone sufficiente per le caldaie dei pirovascelli senza tuttavia tenere conto della mancanza di un bacino di carenaggio e che non vi erano sufficienti banchine di ormeggio per cui poi molte navi furono costrette ad ormeggiarsi in rada alle boe rendendo più difficile il successivo sbarco dei cannoni a canna liscia sostituiti dai più efficienti cannoni a canna rigata che tuttavia talvolta produssero difficoltà nelle operazioni di sparo a causa di un ridotto spazio in cui compiere le operazioni di caricamento essendo a quel tempo tutti ad avancarica.

Persano, giunto ad Ancona il 16 maggio 1866 si era ben presto reso conto che la flotta era impreparata a svolgere le sue funzioni lamentandosene con  l'Angioletti, ma non avendo ricevuto alcuna risposta, dopo aver pensato ad eventuali dimissioni, si limitò a preparare la flotta nei limiti del possibile compiendo solamente alcune manovre di squadra. 
Anche in Marina come nell'Esercito esistevano però discordie nello stato maggiore. Vacca era ostile ad Albini che a sua volta era ostile a Persano, ma mentre il primo collaborò alla preparazione della flotta, l'Albini, diede scarsa collaborazione.
Le prime disposizioni che Persano ricevette l'8 giugno 1866 prevedevano che Ancona avrebbe dovuta essere la base per le operazioni dell'Adriatico con lo scopo di distruggere la flotta austriaca e che Trieste e Venezia non fossero attaccate, ma non si sapeva ancora se gli ordini definitivi sarebbero pervenuti dal La Marmora, come capo di stato maggiore generale o dall'Angioletti. La diatriba fu risolta il 20 giugno quando con il governo Ricasoli l'Angioletti fu sostituito dal De Pretis come Ministro della Marina e quest'ultimo ordinò che le navi si riunissero tutte ad Ancona cosa che avvenne il 25 giugno.
I gravi problemi di fondo tuttavia restarono irrisolti anzi si aggravarono anche perchè nessuno degli ammiragli comandanti aveva mai partecipato ad alcuna battaglia navale.

Le due flotte che si sarebbero fronteggiate avevano la seguente consistenza:
- quella italiana al comando del Persano, che poca esperienza aveva nel combattimento  e con equipaggi non omogenei, contava 12 corazzate, 17 vascelli lignei ed altre navi di supporto per un totale complessivo di  33 navi con 252 cannoni, parte a canna rigata e parte a canna liscia, compresa la corazzata '' L'affondatore '' dotata di cannoni posti su una torre prodiera ed una torre poppiera girevoli mentre tutte le altre avevano cannoni disposti '' in batteria '' ovvero solo lungo i fianchi e qualche cannone a prora detto '' di caccia ''. Inoltre alcune delle navi italiane, da poco consegnate ed entrate in linea, avevano problematiche relative al personale di macchina destinato alla gestione delle caldaie; 
- quella austriaca al comando di von Tegetthoff, che già aveva esperienza di battaglie navali ed era ben voluto e conosciuto dai suoi omogenei equipaggi , contava su 7 corazzate, 11 vascelli lignei ed altre navi di supporto per un totale di 27 navi e 178 cannoni con canne lisce e tutti in batteria con portata minore di quelli italiani e con cannoni di caccia prodieri.
Sia le navi italiane che quelle austriache erano inoltre dotate di rostro da utilizzare a distanza ravvicinata per speronare le navi nemiche creando così delle falle per farle affondare.

Le prime scaramucce si ebbero ad iniziare dalla prime ore della mattina del 27 giugno quando la flotta dell'ammiraglio austriaco fu avvistata al largo di Ancona da una nave italiana in pattugliamento che rientrata ad Ancona fece decidere al Persano l'uscita della flotta italiana. Le due formazioni giunsero a contatto verso le ore 6.30 ma il Tegetthoff, cvista sfumare la sorpresa, decise di ritirarsi, la flotta italiana non lo inseguì e si ritirò di nuovo ad Ancona mantenendo quindi un atteggiamento prettamente difensivo, mantenendo però, nell'eventualità di una nuova puntata nemica, al largo di Ancona cinque delle corazzate più veloci al comando di Vacca. Continuò ad eseguire manovre di squadra ma non di tiro per risparmiare munizioni.

Nel frattempo per gli esiti della battaglia di Sedowa vinta dai Prussiani l'imperatore austriaco aveva proposto al Regno d'Italia la cessione del Veneto a Napoleone III che lo avrebbe poi a sua volta ceduto all'Italia, ma, dopo intense discussioni, il governo italiano aveva deciso di rifiutare, volendo conquistare il Veneto con le proprie forze, ma essendo stato già sconfitto per terra iniziò a spingere verso un atteggiamento più aggressivo in particolare verso la Regia Marina.

Nella serata del 6 luglio 1866 fu quindi recapitato a Persano l'ordine d'operazioni, firmato il 5 luglio dal De Pretis. con il quale si ordinava che la flotta italiana attaccasse quella austriaca in modo da ottenere il controllo dell'Adriatico, ma essi contevevano anche delle contraddizioni che avrebbero  disperso la flotta, impedendo uno scontro con forze navali nemiche le quali peraltro avrebbero potuto evitare di essere bloccate in porto dalle navi italiane partendo nottetempo.

Dopo aver fatto notare al ministro le sue perplessità, il Persano l'8 luglio salpò lo stesso con la convinzione di poter attuare un piano che si rivelò fallimentare. Egli infatti era convinto che lo spionaggio austriaco avrebbe segnalato al Tegetthoff l'uscita di tutta la flotta italiana da Ancona provocando la sua partenza da Pola per attaccare la città la mattina del 9 luglio come fatto già fatto in precedenza il 27 giugno, mentre la flotta italiana si trovava al largo di essa e quindi non visibile. Se ciò si fosse avverato il Persano con le sue navi arebbe tornato indietro intrappolando quelle austriache tra la costa e la flotta italiana attaccandole e distruggendole. Esso tuttavia non si avverò perche il comandante austriaco, pur a conoscenza della partenza delle navi italiane da Ancona e della loro presenza nelle vicinanze di Lissa, rimase in porto, ed il Persano, dopo aver navigato altenativamente da nord verso sud dall'8 al 12 luglio, evitando di avvicinarsi alla costa dalmata, fu obbligato a rientrare ad Ancona senza conseguire alcun risultato se non quello di alienarsi ulteriormente il favore degli stati maggiori e degli equipaggi, già in buona parte convinti della sua codardia ed inettitudine.

Il De Pretis, considerato che il piano elaborato dal Persano era fallito, si recò ad Ancona il 13 luglio 1866 per incontrare lo stesso e subito dopo Vacca ed Albini. Essi confermarono di essere pronti ad agire, ma contestavano la strategia del Persano e d'accordo con loro fu anche il D'amico.

Il ministro, al fine di minimizzare la propria responsabilità in merito alle condizioni che la flotta non fosse in grado di affrontare vittoriosamente il nemico, in seguito ad una una riunione cui parteciparono La Marmora, Bettino Ricasoli, il ministro degli esteri Emilio Visconti, il ministro della guerra De Genova e il generale Cialdini  e forte che anche il re Vittorio Emanuele II fosse deluso dall'inazione della Regia Marina, comunicò al Persano che, non appena l'Affondatore fosse giunto ad Ancona per unirsi all'Armata d'Operazioni, questa sarebbe dovuta uscire subito in mare.

Il piano era quello di attaccare e conquistare l'isola di Lissa dove era ubicata anche una base navale austriaca al fine di cosringere la flotta austriaca ad uscire da Pola, affrontarla in battaglia, distruggerla diventando diconseguenza i padroni assoluti ed incontrastati dell'Adriatico e delle isole Dalmate.

Nella riunione finale, prima della partenza, Vacca si dichiarò favorevole all'azione contro Lissa, mentre Albini affermò la sua contrarietà all'attacco.

Tuttavia per realizzare l'azione era essenziale il possesso della documentazione relativa alle opere di difesa di Lissa, alla loro ubicazione e alla loro consistenza.
A tale scopo il D'amico al fine di eseguire una perlustrazione dell'isola si offerse volontario utilizzando a tale scopo un bragozzo che, pur avendo lo stesso nome di quello prescelto, aveva però caratteristiche diverse da quelle riportate sui suoi documenti.
Si dovette giocoforza ricorrere all'uso di una nave veloce che inalberando bandiera inglese partì da Ancona nel pomeriggio del giorno 16 effettuando rapide ricognizioni dei porti dell'isola che ovviamente furono incomplete, insufficienti e superficiali.
Sulla base di esse il Persano decise di effettuare un attacco a sorpresa dell'isola ed inviò prelimirnamente una squadra di cannoniere con il compito di distruggere un semaforo di segnalazione ed il cavo telegrafico che collegava Lissa a Lesina e quindi a Spalato con lo scopo di interrompere tutti i collegamenti. La squadra partì alla mezzanotte del giorno 17 ma per inconvenienti vari arrivò nel canale di Lissa la mattina del 18 riuscendo a localizzare il cavo ed a tagliarlo solo la sera dello stesso giorno consentendo agli austriaci di comunicare la presenza in loco delle navi italiane.

Solo il giorno 19, ovvero due giorni dopo, quando la squadra di cannoniere si unì alle navi di Persano, lo stesso apprese del ritardo con cui avvenne l'operazione del taglio del cavo e chequindi gli austriaci erano a conoscenza di quanto stava accadendo. 

Sulla base di quanto conosciuto nel pomeriggio del 16 luglio Persano lasciò Ancona con 24 navi ( 11 pirovascelli corazzati, 4 pirofregate in legno, 3 pirocorvette, 3 cannoniere, la nave ospedale Washington ed un pirotrasporto, l'Affondatore ancora non arrivato, con a bordo delle navi anche 1500 uomini che avrebbero dovuto occupare l'isola difesa da 2000 uomini e da 93 cannoni distribuiti principalment a porto S. Giorgio, a porto Manego ed a porto Comisa.

Partita da Ancona la flotta si diresse prima verso Lussino per poi nella notte dirigere su Lissa e il Persano organizzò il piano di attacco stabilendo che la 1ª Squadra di corazzate avrebbe attaccato Porto San Giorgio, la 3ª Squadra di corazzate porto Comisa e le navi in legno porto Manego dove avrebbero dovuto essere sbarcati gli uomini per l'occupazione. Stabilì ancora di non usare proiettili in acciaio per risparmiarli nello scontro con le corazzate austriache.

Nella mattinanata del giorno 18 luglio dopo aver avvistato Lissa iniziò l'attacco in base alle direttive prima stabilite conoscendo l'ubicazione delle fotificazioni dell'isola solamente da uno schizzo ricostruito dalle informazioni precedentemente acquisite dalla ricognizione fatta nei giorni precedenti.
Al nord, a sud, ad est ed a ovest dell'isola furono invece inviate 4 navi veloci di sorveglianza ed avviso. 

La 1ª Squadra, a sua volta divisa in due formazioni, attaccò porto San Giorgio, l'approdo più fortificato ed importante di Lissa da est e da ovest, sparando fino al tramonto ottenendo buoni risultati ma al termine restarono attive ancora due batterie.

Albini, che era al comando della 2ª Squadra, che peraltro avrebbe dovuto effettuare lo sbarco degli uomini, constatando lo scarso successo conseguito, dopo aver consultato i comandanti delle navi a lui sottoposte, decise di ritirarsi anche per non sprecare munizioni.

La 3ª Squadra di Vacca, fu inviata contro porto Comisa, dove si sarebbe dovuto svolgere anche uno sbarco secondario. Dopo due ore di bombardamento senza aver ottenuto risultati apprezzabili per vari motivi, si ritirò e dopo essersi incontrato con Albini offrendoli il proprio supporto che fu rifiutato, si unì alla 1^ squadra in azione contro porto S. Giorgio.

L'attacco a Lissa si concluse intorno alle ore 19, quando tutte le navi si riunirono al largo dell'isola contando 7 morti e 41 feriti.
Ancor prima di ricevere i rapporti di Albini e Vacca, il Persano li rimbrottò aspramente per aver interrotto l'attacco a porto Comisa senza chiedere l'autorizzazione.
Nella notte le navi italiane stazionarono fra Lissa e la costa dalmata.

Nel frattempo Tegetthoff, non avendo notizie certe sugli avvenimenti in corso, aveva a sua volta inviato a Lissa, nel pomeriggio del 18 luglio un messaggio con cui chiedeva il tipo di navi che stavano attaccando l'isola.

Nella mattinata del 19 luglio alla flotta italiana si unirono l'Affondatore, giunto ad ancona il 17,  la divisione del capitano di vascello Acton formata da due pirofregate ad elica e da una pirocorvetta a ruote con a bordo una compagnia di fanteria che si aggiunse alle forze da sbarco.

Il 19 luglio Persano decise di ritentare lo sbarco ma per avere successo occorreva ridurre al silenzio le fortificazioni di Lissa ed in particolare quelle di porto S. Giorgio i cui cannoni distrutti per metà erano stati integrati con quelli di porto Manego e di porto Comisa.

Sapendo che Tegetthoff era già a conoscenza che le forze italiane erano nella zona di Lissa, Persano decise di tenere la 1ª Squadra al largo, con funzioni difensive, e di assegnare alla 2ª ed alla 3ª Squadra il compito di bombardare le fortificazioni esterne di Porto San Giorgio.
Le unità della 3ª Squadra ottennero buoni risultati contro tali batterie, che vennero in gran parte distrutte, pertanto nel pomeriggio, non essendovi segno dell'arrivo di forze navali austriache, Persano distaccò 2 navi per cannoneggiare di nuovo porto Comisa.
L'ammiraglio ordinò poi che la 2ª Squadra e la flottiglia di cannoniere compissero lo sbarco, per il quale erano a quel punto disponibili circa 2300 uomini e che esso sarebbe dovuto avvenire su una spiaggia nei pressi di porto Carober.
Ad un primo ordine, Albini non eseguì lo sbarco, adducendo difficili condizioni che ne avrebbero impedito l'esecuzione e nuovamente sollecitato da Persano ad eseguire gli ordini e sbarcare in un altro punto, Albini tentò infine uno sbarco intorno alle otto di sera, ma, anche questa volta, constatando a suo parere che le scialuppe colme di truppe destinate allo sbarco erano bersagliate da un forte tiro di fucileria, ne ordinò il ritorno a bordo.

 Frattanto Persano aveva disposto anche che la 3ª Divisione di Vacca composta da tre navi e rinforzata da una quarta entrasse all'interno dell'insenatura di porto S. Giorgio per ridurre definitivamente in silenzio le due batterie ancora efficienti. L'azione ebbe parziale successo perchè dopo averne smantellata una, Vacca ritenendo erroneamente che all'interno non vi fosse spazio sufficiente per la manovra delle navi ne uscì lasciandovi la nave di rinforzo che per la cronaca era la corvetta corazzata Formidabile. Questa continuò a sparare contro l'unica batteria ancora attiva ma alle 19.00 quando si defilò essendo stata più volte colpita aveva gravi danni al fumaiolo, vari incendi a bordo, alcuni cannoni distrutti, imbarcava acqua e fra l'equipaggio si contarono 14 morti e 30 feriti.

Alle otto di sera, conclusa l'azione, Persano si ritirò con la flotta a circa 15 km da Lissa.

Nel corso delle due giornate di lotta le navi italiane avevano sparato circa 2000 colpi, subito la perdita di 16 morti e  114 feriti.
Le difese austriache avevano sparato 2733 colpi, 26 morti, 64 feriti. Restava tuttavia attiva una batteria a porto S. Giorgio e solo 8 cannoni nelle altre fortificazioni.

Il 19 luglio, dopo che Tegetthoff nella mattinata aveva tenuto una riunione con i comandanti delle sue navi, l'intera flotta si mise in movimento seguita nel pomeriggio dalla nave ammiraglia. Le navi riunitesi si mossero verso sud-est con l'ordine di non attaccare le forze italiane a Lissa se queste stessero compiendo nella zona solo un'azione diversiva.

La sera del 19 luglio, Persano non ritenendo sufficienti i risultati ottenuti contro Lissa dopo due giorni di azione, convocò a bordo della Re d'Italia, nave ammiraglia, una riunione cui parteciparono Vacca, Albini, i capi di Stato Maggiore della 2ª e della 3ª Squadra, D'Amico per la 1ª Squadra ed il comandante delle truppe da sbarco.
Nel suo corso fu evidenziato che già alcune navi avevano carenza di carbone e di munizioni mentre altre denunciavano avarie alle macchine.
Nel corso della stessa riunione D'Amico aveva proposto di rifornire le navi di carbone a Lesina restando quindi in zona pronti a rispondere ad un eventuale attacco ed a chiedere ad Ancona l'invio di ulteriori rifornimenti; Vacca invece propose di ritornare ad Ancona. Entrambe le proposte furono respinte da Persano e soprattutto la seconda perchè equivaleva al fallimento completo del piano attuato fino ad allora.

Persano era dunque incerto e combattuto fra il probabile arrivo della flotta di Tegetthoff, peraltro già a conoscenza degli eventi, e il continuare lo sbarco per completare l'azione intrapresa contro Lissa.

Nella notte tra il 19 ed il 20 luglio si verificarono due nuovi eventi: il peggioramento delle condizioni meteomarine che obbligarono gli uomini a restare ai loro posti anche se stanchi per due giorni continui di combattimento e l'arrivo di una nave da trasporto con a bordo 500 uomini che portarono la forza di sbarco a circa 3000 effettivi.

Il secondo evento soprattutto convinse il Persano nel perseverare nel tentativo di sbarco per cui all'alba del 20 inviò la 2^ squadra a porto Carober per effetture lo sbarco, mantenne la 1^ e la 3^ squadra al largo delle acque di porto S. Giorgio ed inviò due navi a borbardare porto Comisa.

In contemporanea a queste decisioni, la nave vedetta in servizio di vigilianza a nord avvistò la flotta del contrammiraglio Tegetthoff composta da 26 unità, tra cui 7 corazzate, che muoveva per attaccare quella italiana. Senza effettuare alcun tentativo di riconoscimento la nave diresse velocemente verso la flotta italiana comunicando al suo incontro con essa verso le ore 08.00 e nel corso di una intensa pioggia che sospette navi erano state avvistate in direzione ponente e maestro.

A tale informazione Persano ordinò di interrompere tutte le operazioni di sbarco ed ordinò alle corazzate di radunarsi e disporsi per la battaglia facendo assumere alle navi una formazione di linea.
Albini, che aveva già iniziato lo sbarco con le sue lance, nonostante gli ordini ricevuti di lasciare alle cannoniere il compito di recuperarle si attardò in tale operazione. Le altre furono recuperate dalle cannoniere ma in ogni caso l'interruzione dello sbarco e la ritirata furono eseguite in modo frettoloso e disordinato per cui molto fu il materiale che dovette essere abbandonato sulla spiaggia di cui successivamente si impadronirono gli austriaci.

La flotta austriaca era composta da tre divisioni delle quali la 1ª Divisione, al comando di Tegetthoff, consisteva in 7 navi corazzate e in un avviso, la 2ª, al comando del capitano di vascello Anton von Petz, era composta da un potente ma obsoleto,vascello di linea e da 5 pirofregate in legno, da una pirocorvetta ad elica e da un piroscafo avviso ed infine la 3ª, al comando del capitano di fregata Ludwig Eberle consisteva in 7 piccole cannoniere a elica, in altre unità minori ed un piroscafo a ruote usato come avviso.
Una nave navigava davanti alla flotta agendo da esploratore e le tre divisioni erano disposte in tre consecutive formazioni a punta di freccia. 
La 1ª Divisione corazzata al comando di Tegetthoff era all'avanguardia, le più deboli cannoniere e mercantili della 3ª Divisione formavano la retroguardia, mentre i vascelli potenti, ma privi di corazzatura, della 2ª Divisione al comando di von Petz, erano schierati al centro.

Il piano austriaco, in considerazione della relativamente scarsa potenza di fuoco delle navi rispetto a quelle italiane, era stato predisposto in modo da serrare rapidamente le distanze, sparare da posizioni ravvicinate e laddove si fosse riusciti ad isolare qualche nave speronarla per affondarla per demoralizzare la flotta italiana e costringerla se possibile alla ritirata. Inoltre le navi austriache avevano l'ordine di non disperdere il fuoco sulle varie navi ma di concentrarlo su una di esse al fine di danneggiarla e metterla fuori gioco subito. 

Quando la nave avvisò Persano dell'avvistamento della flotta austriaca, quella italiana, come prima detto, era sparpagliata in quanto impegnata nelle operazioni di sbarco ci volle un pò di tempo affinchè si potesse riunire e disporsi nell'ordine di battaglia previsto ovvero su tre colonne affiancate. Ciò, però, per vari motivi non potè essere realizzato per cui inizialmente la flotta si dispose in linea di fronte per poi assumere una linea di fila con in testa le tre navi di Vacca (Principe di CarignanoCastelfidardo ed Ancona) seguite da quelle di Persano (Re d'ItaliaPalestroSan Martino, più l'Affondatore) e, più indietro, dalla divisione di Riboty (Re di Portogallo e Regina Maria Pia) con alcune di esse che avendo già avarie alle macchine, riuscendole a riparare, raggiunsero per tempo la loro posizione.

La flotta italiana diresse quindi a bassa velocità verso quella di Tegetthoff e Persano, approfittando del vantaggio dato dalle proprie artiglierie, intendeva tagliare la T alle navi austriache. In teoria alle corazzate sarebbero dovute seguire le unità in legno di Albini, che avendo perso tempo a recuperare le sue lance usate per lo sbarco, faceva procedere le proprie navi a bassa velocità, tanto da accrescere le distanze dal resto della flotta.

In totale gli italiani disponevano di 8 corazzate nella linea di battaglia, più un'altra in arrivo. Le navi di legno, riunite nella 2ª Squadra, erano molto arretrate rispetto alle corazzate ed inoltre le tre formazioni che componevano la linea delle corazzate procedevano però a velocità differenti: la 3ª Squadra ad 11 nodi, la II Divisione non poteva superare i 9 nodi per via della lentezza della Palestro (il cui comandante, capitano di fregata Alfredo Cappellini, aveva ammassato una scorta supplementare di carbone in coperta) e la III Divisione procedeva ad otto nodi, a causa delle avarie che affliggevano la Re di Portogallo. L'Affondatore si trovava sul fianco estremo della II Divisione, fuori dalla linea di combattimento: è possibile che Persano intendesse mantenerlo di rinforzo.

Inoltre, prima dell'inizio della battaglia, Persano aumentò la confusione decidendo di trasferirsi, insieme a D'Amico ed ai suoi due aiutanti di bandiera, dal Re d'Italia all'Affondatore perdendo altro tempo  ed aprendo così un varco nello schieramento tra la Re d'Italia, prima nave del secondo gruppo, e l'Ancona, ultima del primo gruppo, varco del quale Tegetthoff approfittò poi per tagliare la T alla formazione avversaria. All'apertura di tale varco, lungo oltre 1500 metri, mentre la distanza normale era di 400 metri, contribuì anche il fatto che il contrammiraglio Vacca, non tenendo conto della lentezza delle altre unità, continuò a procedere ad undici nodi.
Una ulteriore difficoltà  fu quella che l'insegna di ammiraglio comandante in capo sulle alberature dell'Affondatore, che erano più basse di quelle della Re d'Italia, ma anche più libere da vele, cordami e manovre, non era molto visibile. Inoltre mentre la gran parte dei comandanti, e soprattutto i diretti sottoposti di Persano, Vacca ed Albini, si accorsero del trasbordo, ma poi lo ignarono per non dover seguire gli ordini del comandante, altri comandanti, non accorgendosi del trasbordo, peraltro non segnalato dal Persano, continuarono a guardare alla Re d'Italia per ricevere ordini invece che all'Affondatore.

A questo punto il Prof. Bongiorno ha sorvolato le fasi della battaglia, che sarebbe stato lungo descrivere nel loro svolgimento, e che si concluse verso le ore14.00

In totale furono sparati 4.456 colpi dalla flotta austriaca, non si conoscono tuttavia quanti colpi andarono a segno, mentre la flotta italiana sparò solo 1.452 colpi, 412 dei quali andarono a segno.

Inspiegabilmente Persano ritornò ad Ancona annunciando una grande vittoria e favorendo inizialmente molti festeggiamenti fino a quando i risultati reali della battaglia non vennero pubblicati: la flotta austriaca lamentava 38 morti, 138 feriti e nessuna unità persa in combattimento, mentre quella italiana sopportava il pesante bilancio di 620 morti, 161 feriti e l'affondamento di due corazzate: la Re d'Italia affondata a causa dello speronamento subito e la Palestro esplosa a causa degli incendi che avevano raggiunto la santa barbara. 

De Pretis decise pertanto di sottoporre al giudizio del tribunale di guerra i comandanti che non avevano adempito al loro dovere. Persano ed Albini furono sbarcati, l'Armata d'Operazioni fu sciolta e le corazzate ancora in efficienza vennero raggruppate in una Squadra d'Operazioni posta al comando di Vacca, che stazionò inattiva ad Ancona, mentre le unità in legno furono rimandate a Taranto sotto il comando di Riboty.

Anche se la sconfitta italiana venne messa in ombra dalla schiacciante vittoria prussiana sull'esercito austriaco nella battaglia di Sadowa, la duplice sconfitta di Custoza e Lissa ebbe pesanti conseguenze politiche e diplomatiche.
Fra tutte le rivendicazioni a cui l'Italia aspirava con la sua entrata in guerra riuscì solo ad ottenere il Veneto ma non direttamente con le armi. L'Austria  accettò di cedere Venezia ed il Veneto a Napoleone III e quest'ultimo a sua volta la cedette all'Italia.
A livello militare ci fu il fallimento globale dello sforzo di guerra italiano, solo parzialmente risollevato dalla vittoria di Garibaldi a Bezzecca.

Nell'ottobre 1866 ebbe inizio il processo contro l'ammiraglio Persano da parte del Senato del Regno per alto tradimento, viltà di fronte al nemico, imperizia e negligenza. Venne privato del grado, della pensione e condannato al pagamento delle spese processuali.
Nel luglio 1867 ebbe luogo l'unico altro processo legato a Lissa, contro il comandante Leopoldo De Cosa della nave Terribile, che, nonostante la sua inazione nella battaglia, fu assolto.
Gli ammiragli Vacca ed Albini non furono sottoposti a giudizio, ma le loro carriere terminarono subito dopo Lissa: il viceammiraglio Giovan Battista Albini fu posto a riposo d'ufficio nell'ottobre 1867, ed il contrammiraglio Giovanni Vacca subì analoga sorte nel corso dello stesso anno, adducendo a motivo l'anzianità di servizio e ragioni di età. 
La vittoria del Tegetthoff e della flotta austriaca fu invece celebrata e ricordata con la posa di molti monumenti. Si dice che il comandante austriaco abbia detto: '' Una flotta composta da navi di ferro comandata da teste di legno è stata sconfitta da una flotta composta da navi di legno comandata da uomini con la testa di ferro''. 

Per atti di valore durante quegli avvenimenti furono concesse in Italia cinque medaglie d'oro al valor militare: alla memoria ai comandanti Faà di Bruno e Cappellini, scomparsi con le loro navi, al comandante Saint-Bon per l'azione contro porto San Giorgio, al marinaio cannoniere di 2ª classe Francesco Conteduca ed al marinaio Antonio Sogliuzzo.

Anche Trapani ebbe nella battaglia di Lissa i suoi morti dispersi in mare, giovani immolatisi in una battaglia da cui certamente non ritornarono, dei quali non si conosce stato civile, professione, se fossero di leva o volontari e chissà il loro avvenire. Ciò che rimane è stata certamente la disperazione delle famiglie cui appartenevano.

I loro nomi, tredici, ricordati perchè riportati su una lapide che si trova nell'androne di Palazzo Cavarretta, e forse dai più non conosciuta, sono:
Barbara Michele, Barraco Antonio, Barraco ( Barracco ) Vincenzo, Bertolino Salvatore, Caito Giuseppe, Cannamela Marco, Catania Gregorio, Cernigliaro Francesco, Greco Giuseppe, Mogliaccio Andrea, Norrito ( Morrito ) Pietro, Sardo Francesco, Torre Francesco Paolo. Non citato sulla lapide, risulta anche se deceduto nella battaglia Francesco Auci. Di essi 6 appartenevano all'equipaggio della Re d'Italia ed 8 a quello della Palestro.

Il Prof. Bongiorno quindi si è intrattenuto sulla situazione italiana precedente e successiva al periodo in cui avvennero le battaglie di Lissa e Custoza.

L'unità d'Italia che era il sogno di molti intellettuali e no, di fatto, con l'annessione del Regno delle due Sicilie, creò una situazione molto diversa da quella sperata. I piemontesi spogliarono il meridione di quanto di buono industrialmente i Borboni avevano fatto, si impadronirono delle sue ricchezze a vantaggio del nord, avendo bisogno di denaro non assegnarono ai contadinie le terre demaniali a cui aspiravano e che vendettero ai nobili del tempo contribuendo a creare il latifondo, imposero tasse e la leva obbligatoria di molti anni cui i meridionali non erano sottoposti privando per un periodo di tempo piuttosto lungo le famiglie dei giovani che nella maggioranza dei casi costituivano il loro sostentamento, ed a cui moltissimi di essi reagirono dandosi alla macchia dando origine al fenomeno del brigantaggio.

I meridionali si ritrovarono così più poveri e vessati di quanto non lo fossero prima.

Alla fine della 3^ guerra d'indipendenza scoppiò a Palemo, estendendosi poi a tutta la Sicilia, la rivolta del sette e mezzo, detta così perche durò esattamente sette giorni e mezzo.
I rivoltosi erano essenzialmente la popolazione sempre più povera e falcidiata dal colera, ex militari, ex funzionari borbonici ed indipendentisti,  tutti stanchi dal sopportare l'integralismo miope dei funzionari statali piemontesi, dalle pesanti misure di polizia e dai vessatori e pesanti balzelli introdotti, nonchè dall'introduzione della leva obbligatoria.
Contro di essi fu inviato il generale Cadorna che bombardò pesantemente la città sedando la rivolta e provocando numerosissime vittime.

Successivamente negli anni novanta altre aspirazioni sociali siciliane nonchè il brigantaggio furono sedate dallo stato sabaudo che fece intervenire duramente l'esercito ed i carabinieri. In questa opera di repressione si dimostrarono molto solerti e duri i generali Cialdini, lo stesso della battaglia di Custoza, nell'Italia penisulare, e Govoni in Sicilia.

Altri eventi come i fasci siciliani, detti anche '' Fasci siciliani dei lavoratori '', che furono un movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista spontaneo, sviluppatosi in Sicilia intorno al 1894 e diffusosi fra il proletariato urbano, i braccianti agricoli, i minatori e gli operai,  furono dispersi da un duro intervento militare durante il governo Crispi, nato a Ribera in Sicilia, avallato dal re Umbderto I. Ma questa è stata un'altra storia.

L'oratore concludendo ha poi anche sottolineato che anche la presa di Roma in seguito alla breccia di Porta Pia, che sancì la completa riunificazione dell'Italia, in reltà fu agevolata dal ritiro dai territori pontifici delle truppe francesi nell'agosto del 1870 dopo che la Francia era stata sconfitta a Sedan dai Prussiani nel mese di settembre dello stesso anno.

In conclusione considerando tutto quanto avvenne in quegli anni e molto più recentemente fino ai nostri giorni, per vari motivi ed anche per colpa della classe politica siciliana, La Sicilia abbia in realtà e complessivamente più dato che avuto.

Alla chiusura della relazone è seguito un dibattito a cui hanno partecipato interessati molti dei presenti che hanno chiesto chiarimenti e fornito altri spunti di discussione ai quali l'oratore ha risposto esaurientemente e fornito ulteriori notizie.

Al suo termine il Prof. Valenti ringraziando l'oratore per l'interessante argomento gli ha donato a ricordo della serata il libro '' Sicilia risorgimentale '' di S. Costanza.
Inoltre prima dei saluti di commiato ha ricordato ai presenti che il prossimo evento inserito nel programma delle attività del XXXII Corso di cultura è stato previsto per sabato 10 febbraio 2018 alle ore 18.00 nella sede dell'Associazione che però sarà preceduto dalla cena del '' Giovedì grasso '' che si terrà presso il ristorante '' Torre perciata '' di Bonagia alle ore 19.30 dell'8 febbraio da raggiungere con mezzo proprio.

Switch to Day Switch to Night